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Cultura e Società

Saverio Strati, la Passione e la Calabria

Antonio Cataudo · 10 anni fa

Saverio Strati è morto a Firenze lo scorso 9 aprile. Aveva novantanni ed è sicuramente uno dei più grandi scrittori calabresi. Pagine bellissime le sue, in cui ha dato voce alla nostra terra, con 13 romanzi, un ricchissimo diario e 170 racconti. è stata una voce calabrese, “con speciali meriti artistici riconosciuti” dallo Stato Italiano, anche se con lunghi anni di vergognosa dimenticanza. Se ne è andato, senza aspettare neanche il festeggiamento della sua gente per i suoi novant’anni. Un artista calabrese ante litteram. Una parabola di vita, tra lavoro e studio, sacrificio e cultura, povertà e nobiltà, che lo ha reso famoso, ma senza troppa gloria. Un artista che ha portato con sé la sorte della sua terra, di cui ha ereditato l’essere schivo e nobile, alla quale era legato tanto da scrivere: «Io amo profondamente la mia Calabria, ho dentro di me il suo silenzio, la sua solitudine tragica e solenne». Una pagina stupenda della nostra Calabria la scrisse nell’aprile del 1992, affidando alle trame e allo scorrere dei riti della Settimana Santa, tutta la Passione secondo i calabresi. In questa sua descrizione di riti ormai passati, canti di donne e processioni, emerge tutto il senso religioso di un popolo, ma anche tutta la povertà, la meschinità e la carnalità litigiosa dei calabresi.

Strati sembra far vedere come il calabrese sia naturalmente predisposto a vivere il Venerdì Santo, come gli risulti familiare e facile, più di chiunque altro, commuoversi pensando al Venerdì Santo. Tale partecipazione emotiva al dramma della Passione, è reso attraverso i baci alle ferite del Cristo Morto, i pianti delle anziane, la solennità delle processioni e i rigidi cerimoniali delle Confratenite. Fino ad arrivare all’epilogo di questo dramma, la Resurrezione, con la processione dell’affruntata.“Una storia – questa, secondo Strati - che con semplicità elementare si ripete ogni anno, come il sorgere e il tramontare del sole”. C’è un passo di questo articolo molto commuovente e quasi aulico! Saverio Strati riporta il verso di un canto popolare: “Poi lu passari la petra a lu suli, la petra cumu cira s’abbi a fari, la petra ca parrau a lu Signuri, chiu mulla io, ‘i comu su non pozzu fhari” (Poi passarono – il Signore - alla pietra e al sole, la pietra si dovrebbe fare come cera, la pietra che ha parlato al Signore: più morbida di come sono io, non posso essere). Sono parole di un lamento funebre, ma sono le parole che un calabrese si sente dire dalle sue pietre, dalla sua terra. Una terra che non gli vuole male, ma è dura e più morbida non può essere! Benedetto XVI aveva descritto la Calabria, bella, ma con problemi troppo acuti e destabilizzanti. “Una terra dove la disoccupazione è preoccupante, dove una criminalità spesso efferata, ferisce il tessuto sociale, una terra in cui si ha la continua sensazione di essere in emergenza”. In un Venerdì Santo può capitare anche questo: capire che la Passio Domini è anche Passio hominis. Forse per questo un calabrese sa immedesimarsi in questo dramma, sentirlo proprio, quasi col bisogno patetico di entrarci. Certo, non ha senso il Venerdì Santo se non arriva la Domenica di Pasqua. E Strati descrive la Domenica di Pasqua, come lo scatenarsi di “un’inferno di petardi, con le campane impazzite! Ci sono donne che piangono, altre che baciano la terra, altre che implorano pace e prosperità per tutto il mondo e per tutti gli uomini, amici e nemici”. Il dramma calabrese non può terminare al Venerdì Santo, deve arrivare a Pasqua. Le parole di Benedetto XVI di quasi tre anni fa, le abbiamo coltre come un invito a risorgere: “Non cedete mai alla tentazione del pessimismo e del ripiegamento su voi stessi. Fate appello alle risorse della vostra fede e delle vostre capacità umane”. Ora attendiamo Papa Francesco a Cassano il prossimo 21 giugno, sarà quello anche per noi, un motivo in più per credere che è possibile risorgere. Nel frattempo sentiamo lo stesso desiderio di Saverio Strati: « Dalla Calabria pure qualcosa dovrà venire fuori di lì; un giorno o l’altro dovrà ritrovare dentro di sé ancora quelle tracce che conserva della antica civiltà della Magna Grecia». Questa terra che si scusa per essere troppo dura, un giorno dovrà dare qualcosa anche ai suoi figli!