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Spiritualità

“Se sei il figlio di Dio scendi dalla Croce”: nella Passione di Cristo l’altra faccia del potere

Paolo Emanuele · 10 anni fa

“Se tu sei veramente il Figlio di Dio, scendi dalla Croce”. Ogni anno la lettura della Passione di Cristo, nel giorno che apre la Settimana Santa, ci mette di fronte a una storia che dopo oltre duemila anni parla agli uomini di tutti i tempi, suscita quelle domande che pongono ogni uomo di fronte alle scelte cruciali della vita, di fronte al dovere di “scegliere da che parte stare”. Un credente legge in quelle pagine di Vangelo la storia della propria redenzione, rivive la passione del Figlio di Dio che si è donato fino alla morte di croce per la salvezza di ogni uomo. Un non credente può leggervi la storia di un uomo che, a torto o a ragione, paga con la vita l’intransigenza morale, la volontà di rimanere coerente fino alla fine a dei valori che egli riteneva superiori alla legge del popolo d’Israele.

Tra le tante domande che vengono fuori rileggendo la Passione di Cristo, ce n’è una che colpisce per il suo stretto legame con l’attualità, con la cronaca quotidiana: cos’era il “potere” per Gesù di Nazareth e cos’era per coloro che vollero la sua crocifissione. Bastano le parole pronunciate dal sommo sacerdote, mentre Gesù era già da qualche ora inchiodato alla croce, per capirlo: “se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla Croce..”. Nella rappresentazione cinematografica firmata Mel Gibson della Passione di Cristo, si vede Satana che già nel Getsemani tenta Cristo costruendo il suo “inganno” su due questioni: “pensi che davvero l’uomo meriti di essere salvato con la tua sofferenza” e “se tu sei Figlio di Dio, che bisogno hai di soffrire? Non puoi salvare in modo più semplice l’umanità?”. Il potere nelle parole del sommo sacerdote è concepito come uno strumento per aggirare le regole, per mettere in discussione qualsiasi ordine sociale e morale, per seguire una “via facile” per raggiungere i propri obiettivi. Un potere che non conosce limiti, né legali né etici, e che ha come scopo il raggiungimento delle proprie ambizioni personali piuttosto che il servizio a una causa più grande. E’questa visione del potere che porta il sommo sacerdote, “comprensibilmente” dal suo punto di vista, a spingere Gesù a utilizzare il suo “potere” di Figlio di Dio per rovesciare una situazione scomoda, per tentare una via di fuga agevole rispetto alla missione troppo dura che il Padre gli aveva affidato. Quella stessa tentazione posta dal sommo sacerdote a Gesù la rivediamo in tante altre forme nella vita di ogni giorno e le rassegne stampa quotidiane ce la ripresentano in tutte le salse: la corruzione, gli abusi di potere, le varie forme di raccomandazione, le degenerazioni di un potere politico ed economico che arrivato a un certo punto non vede alcun limite se non l’appagamento dei propri interessi personali. “Se tu sei il Figlio di Dio, scendi dalla Croce”. Gesù non scenderà da quella Croce e realizzerà “fino alla fine” la missione per la quale il Padre lo aveva mandato nel mondo. Mostrerà un potere “folle”, poco furbo, o come vuole il gergo politichese “poco pragmatico”. Mostrerà un il volto di un potere che si realizza nel dono, nel servizio, nell’abbassarsi fino al sacrificio estremo per qualcosa di più grande, per un amore che esigeva il dono della stessa vita. Di fronte alle cronache quotidiane, tra rimborsi elettorali e i multiformi privilegi, questa tipologia “strana” di potere rischia di restare una chimera, un ideale irraggiungibile. Ma – dicevamo all’inizio – rileggere la Passione di Cristo ogni anno aiuta a mettersi in discussione, anche se le risposte non si trovano subito. E viene da domandarsi – cominciando da ciascuno di noi – cosa faremmo di fronte alla tentazione del sommo sacerdote: “scenderemmo dalla croce”, scegliendo la logica del pragmatismo politico, o “resteremmo sulla Croce”, anche se è la via meno conveniente, anche se è una scelta che non paga nell’immediato ma è in nome di un bene più grande? Nel potere che siamo abituati a vedere ogni giorno, da troppo tempo manca una parola che abbiamo confinato all’ambito sentimentalistico e privato: “amore”, quell’amore all’uomo e alla comunità che esige il dono di sé gratuito, senza condizioni, “fino alla fine”. Il potere del sommo sacerdote ormai ci ha stancato, né è prova la disaffezione crescente della gente verso chi occupa i piani più alti dei “palazzi”. Cresce il bisogno di un potere che sia capace di “non scendere dalla croce”, di dire no al compromesso e alle situazioni di comodo. Un potere che scelga “senza se e senza ma” da che parte stare. E lo faccia, senza vergognarsi, per Amore.