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Il Vangelo della domenica

Domenica delle Palme

Paolo Emanuele · 10 anni fa

Nella Domenica della passione del Signore la Chiesa professa la fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, Figlio consostanziale al Padre. Vero uomo e, insieme, vero Dio. Dai testi emerge però la figura del Figlio dell’Uomo sottoposto a interrogatori e torture. Isaia già così scriveva del futuro Messia: “Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi” (Is 50,6). Paragonando queste sue parole ai tragici avvenimenti tra la notte del giovedì e la mattina del venerdì, la somiglianza è sorprendente; il profeta scrive come se fosse testimone di quelle scene, eppure le sue parole risalgono a molti secoli prima che quegli avvenimenti si compissero.

Con eguale precisione, il Salmo della liturgia di oggi preannuncia le sofferenze di Cristo: “Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: Si è affidato al Signore, Lui lo scampi; Lo liberi, se è suo amico” (Sal 22,8-9). Sono parole che il testo evangelico confermerà, fin quasi nei minimi dettagli, nel narrare la crocifissione di Gesù sul Golgota. Allora si compiranno anche le parole del salmista che descrivono le piaghe di Cristo: “Hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa” (Sal 22,17-18), e la divisione dei suoi abiti: “Si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte” (Sal 22,19). Il racconto della passione del Signore ci accompagna oggi fino al momento in cui il corpo di Gesù, morto sulla croce, resta in un sepolcro di pietra. E, tuttavia, la liturgia odierna vuole introdurci più profondamente nel mistero pasquale di Gesù Cristo. Per questo, il testo conciso della seconda lettura, preso dalla Lettera di san Paolo ai Filippesi, è la chiave per scoprire, nel complesso degli avvenimenti della Settimana Santa, la piena dimensione del mistero divino. Difatti, Gesù Cristo “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Fil 2,6-7). Gesù Cristo è per tanto, Dio vero, Figlio di Dio, il quale avendo assunto la natura umana si è fatto uomo. Visse su questa terra come Figlio dell’uomo. In Lui, precisamente in quanto Figlio dell’uomo, si compie la figura del servo di Jahvé, annunciato da Isaia. Sulla croce la vita di Cristo acquista tutto il suo senso; la morte è l’atto fondamentale della vita di Cristo. Per questo, il testo di san Paolo approfondisce il mistero divino che avvolge la vita di Gesù: “Apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,7-8). Il centro di tutta la vita di Cristo è la sua morte sulla croce; quello è l’atto fondamentale e definitivo della sua missione messianica. In quella morte di compie “la sua ora” (cf. Gv 18,37). Cristo prende la nostra carne, nasce e vive tra gli uomini, per morire per e a vantaggio di ogni uomo. è importante sottolineare l’affermazione paolina: Cristo “si è umiliato facendosi obbediente fino alla morte”. Non è lecito misurare la morte di Gesù con il comune metro della debolezza e limitazione umana. La si deve guardare con la vera misura dell’obbedienza salvifica. L'autore della vita è tolto da questo mondo con morte ignominiosa e crudele. La passione di Cristo è per ogni uomo, non per Lui, è il frutto del suo amore eterno ed infinito. Essa manifesta nel contempo la crudeltà dell'uomo e la sua cecità spirituale, la sua stoltezza ed insipienza, la sua congiura contro il bene e la verità. Essa però non può essere spiegata, o compresa, se non a partire dall'amore eterno e divino del Figlio di Dio per ogni uomo. Anche oggi sfugge questa comprensione, poiché nel mondo regna il profitto, lo sfruttamento, la violenza, il sopruso ed ogni genere di ingiustizia e il peccato personale acceca gli occhi dello spirito e fa diventare di pietra il cuore. A motivo di ciò si rischia di trasformare la sua passione in un puro rito, in gesti ormai storicizzati che non parlano più alla mente per convertirla, cambiarla, orientarla all'amore puro e a quell'oblazione che furono in Cristo redentivi per tutto il genere umano. Ma la morte di Cristo non è solo il termine della vita. Cristo si fa spontaneamente obbediente fino alla morte sulla croce, per dare con la sua morte, un nuovo inizio alla vita: “Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo” (1Cor 15,21-22). Con l’infinita abnegazione di Cristo, Figlio consostanziale del Padre – come uomo, come servo di Jahvè, come uomo di dolori – l’Apostolo proclama allo stesso tempo la sua esaltazione. Al mistero pasquale appartengono sia la morte sia la resurrezione gloriosa di Cristo, la sua esaltazione. Si comprenderà veramente la passione del Signore, solo quando ci si lascerà governare dall'amore purissimo che in Cristo, per Cristo e con Cristo, diviene dono di vita per il mondo intero.