“Ma tu sei felice?” Una domanda da un milione di dollari e forse qualcosa di più. Di fronte a questo interrogativo cruciale dell’esistenza, preferiremmo rispondere a domande tecniche su qualsiasi altro argomento, investigare qualsiasi altro campo dello scibile umana. Ma di fronte alla domanda se siamo o meno felici, si entra facilmente in crisi, vengono meno tante sicurezze personali e ci domandiamo quale differenza di spessore ci sia tra le piccole o grandi soddisfazioni quotidiane e quella “cosa complicata” che si chiama Felicità. Di felicità parla il messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Gioventù che come ogni anno sarà celebrato nelle singole diocesi la Domenica delle Palme è avrà come tema la prima delle Beatitudini Evangeliche “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3)
Se le Beatitudini sono già di per sé l’espressione più efficace della rivoluzione del messaggio cristiano, tanto da essere definite da un non cristiano come Ghandi “l’espressione più alta di tutto il pensiero umano”, ancora più rivoluzionaria è la scelta di Papa Francesco di accostarle alla grande questione della felicità. Come si fa ad essere felici mettendo in pratica quelle 10 frasi pronunciate da Gesù che sconvolgono le logiche umane di tutti i tempi, i modi con cui gli uomini di ieri e di oggi pensano di costruire la loro felicità? Papa Francesco, nel suo messaggio, scrive che “le Beatitudini di Gesù sono portatrici di una novità rivoluzionaria, di un modello di felicità opposto a quello che di solito viene comunicato dai media, dal pensiero dominante. Nella logica di questo mondo, coloro che Gesù proclama beati sono considerati “perdenti”, deboli. Sono esaltati invece il successo ad ogni costo, il benessere, l’arroganza del potere, l’affermazione di sé a scapito degli altri.”. Gesù di Nazareth ribalta la filosofia epicurea per cui “la voce della carne è: non aver fame, non aver sete, non aver freddo. Chi ha queste cose può gareggiare in felicità anche con Zeus”. Cristo ci propone una via diversa e più “stretta” per raggiungere questa grande aspirazione del cuore umano, ma non una via impossibile. E in questa ricerca della felicità, che accomuna gli uomini di tutti i tempi, Papa Francesco rivolgendosi ai giovani usa una parola chiave: “coraggio”. Il coraggio di “aspirare a cose grandi”, di “allargare i cuori”: il Papa chiede ai giovani di far emergere le aspirazioni più profonde del cuore per scoprire “il desiderio inestinguibile di felicità” e “respingere le tante offerte a basso prezzo che trovate intorno a voi”. E’possibile essere felici, non è vero – come affermava Leopardi – che la natura matrigna ha messo nell’uomo il bisogno della felicità senza darvi appagamento: la felicità descritta nelle Beatitudini riflette la grandezza dell’uomo al quale, per essere felice, non basta soddisfare gli istinti minimali, ma desidera “cose grandi”, desidera trovare qualcosa – che poi scoprirà essere Qualcuno - che lo sazi nel profondo e per sempre. Il Papa, soffermandosi sulla prima delle Beatitudini, ci parla della povertà di spirito. Anche qui c’è il paradosso di legare la felicità a una condizione poco desiderabile, quale quella della povertà. La povertà delle Beatitudini – spiega il Papa – significa “libertà dalle cose, dalla brama di avere, dal denaro idolatrato e poi sprecato” per mettere “Gesù al primo posto”; significa riscoprire la cultura della solidarietà incontrando i poveri nei quali si può “incontrare Cristo stesso, toccare la sua carne sofferente”, imparare da loro che “una persona non vale per quanto possiede”, farci educare da loro “all’umiltà e alla fiducia in Dio.” Il Pontefice, in conclusione del messaggio, si lascia andare a un ricordo personale: “Le gioie più belle e spontanee che ho visto nel corso della mia vita sono quelle di persone povere che hanno poco a cui aggrapparsi”. Tra la felicità “sensistica” epicurea all’impossibilità di essere felici della natura matrigna leopardiana, c’è la novità di Cristo che ci svela una felicità che si raggiunge percorrendo la via della povertà, dell’umiliazione, del donarsi per amore. La Via della Croce, quella croce che trent’anni fa Giovanni Paolo II consegnò ai giovani la domenica di Pasqua “come segno dell’amore del Signore Gesù per l’umanità”, per “annunciare a tutti che solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione”. Attraverso la Croce, si intravede la gloria futura ma si assapora già nel presente quella felicità generata dall’Amore gratuito, dall’Amore senza condizioni, dall’Amore “fino alla fine”. Un Amore che rende “beati”, “felici”, chi lo accoglie con un cuore povero e libero.