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Cultura e Società

Essere giornalisti: prima di tutto una questione etica

Filippo D'Andrea · 12 anni fa

Le parole pronunciate dal Vescovo Mons. Luigi Cantafora in occasione dell’incontro con gli operatori della comunicazione, radunati nel Salone dell’Episcopio, è stato senza dubbio per tutti motivo di profonda riflessione. Il suo discorso ai giornalisti ha infatti aperto un dibattito ad ampio spettro sul ruolo della comunicazione e dell’informazione e ha posto l’accento su quella che può essere considerata la loro matrice più pura e primaria, ovvero la responsabilità “etica”.

Chiunque operi nel mondo delle comunicazioni e dell’informazione, direttamente come possono essere i giornalisti o anche trasversalmente, dai vari operatori del settore fino agli stessi fruitori dei messaggi veicolati dai mass media, deve avere ben presente prima di tutto quei principi etici fondamentali, come quelli di solidarietà, sussidiarietà, giustizia ed equità, assolutamente indispensabili per perseguire quello che è il fine ultimo e, in qualche modo, la misura della stessa informazione: la persona umana e la comunità alla quale l’uomo appartiene.

La comunicazione dovrebbe essere primariamente un servizio fatto da persone a beneficio dello sviluppo integrale di altre persone, mirando sempre e comunque alla “Verità”, un altro caposaldo imprescindibile per la libertà individuale e la comunione autentica tra le persone. Proprio per questo la Chiesa ricopre un incarico essenziale in relazione al mondo delle comunicazioni, perché prima di tutto ci ricorda come il concetto di “persona umana”, l’uomo in quanto “uomo”, inteso nella sua interezza e nella sua incomparabile dignità, debba sempre essere messo necessariamente al centro di tutto. In questo senso, a beneficio della dignità umana e dei suoi diritti inviolabili, la Chiesa cerca volentieri il dialogo e la collaborazione con i giornalisti, e in generale con gli operatori dell’informazione, per promuovere loro e sostenere elevati modelli etici confacenti al corretto utilizzo dei mezzi di comunicazione: un esercizio che per avere veramente un’utilità sociale, deve disancorarsi dalla propria immanenza per farsi in qualche modo trascendente.

Il comunicatore cristiano incarna un compito profetico, una vocazione: è un trasmettitore della “vera” notizia, deve essere in grado di andare oltre la superficie dei fatti, della cronaca o dei falsi idoli che caratterizzano la post-modernità, ed elevarsi ad un livello più alto per provare a veicolare, oltre al messaggio di informazione in sé e per sé, anche un sovra-messaggio portatore di verità morale, basato sul rispetto incondizionato verso la vita umana e la sua dignità.

Non a caso il Vescovo ha tenuto più volte a sottolineare la corrispondenza che, a questa dimensione, può sussistere tra i professionisti dell’informazione e i grandi comunicatori della parola di Dio: Gesù è stato sicuramente il primo modello in questo senso, insegnando come la comunicazione sia prima di tutto un atto morale; e non soltanto a parole, dal momento che pure i suoi miracoli erano in un certo senso atti comunicativi che volevano far conoscere la forza del Signore.

Anche i Santi sono stati grandi comunicatori, così come lo sono stati grandi uomini di Chiesa, Giovanni Paolo II uno dei più emblematici: personaggi che hanno saputo cogliere la forza pedagogica, morale, cristiana della comunicazione per far prendere coscienza alla collettività del loro essere ontologicamente persone umane e creature meravigliose.

In questo senso il giornalista, prima di sentirsi informatore, deve essere discepolo e trasmettitore di verità. Essere giornalista è prima di tutto una questione etica.