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La parola del Vescovo

Gesù ci ha costruito pastori

Cesare Natale Cesareo · 12 anni fa

"Ciascuno diventa grande in rapporto alla sua attesa" Omelia di S.E.M. Luigi Antonio Cantafora per la Messa Crismale. - Cattedrale 28 marzo 2013 - (Is 61,1-3.6.8-9; Sal 88; Ap 5,1-8; Lc 4,16-21) 1.Carissimi fratelli vi saluto con gioia in questo giorno solenne! Sant’Ambrogio scriveva: «Il giorno brilla di più, quando noi celebriamo i sacri misteri» (De Ioseph 52).

E il Giovedì Santo brilla per la solennità della liturgia, per il fluire degli olii santi e del loro profumo; ma soprattutto per il mistero grande del nostro sacerdozio e della comunione nella Chiesa. Pertanto celebrando insieme, vediamo compiersi la parola del profeta Isaia: «Voi sarete chiamati sacerdoti, ministri del nostro Dio sarete detti. (…) Coloro che li vedranno riconosceranno che essi sono la stirpe benedetta del Signore» (cfr. Is 61,9).

Fratelli lodiamo e ringraziamo il Signore per il dono del Santo Padre Francesco, a lui esprimiamo la nostra filiale obbedienza. Preghiamo Dio perché conservi e benedica il suo ministero e conceda a tutta la Chiesa docilità all’insegnamento del suo Pontefice.

2. Gli eventi ecclesiali appena trascorsi hanno rafforzato la nostra consapevolezza che solo uno sguardo di fede può essere uno sguardo vero sulla Chiesa, sulla nostra Chiesa. Per questo motivo vorrei, con cuore di Padre, far risuonare l’appello a tutta la Diocesi di Lamezia Terme a rinnovarsi nella fede. L’Apostolo Paolo scrive: «Esaminate voi stessi, se siete nella fede» (2Cor 13,5). Questo monito ai Corinzi, Paolo lo rivolge a una comunità da lui fondata e dopo appena quattro anni di cammino. Mi chiedo, abbiamo noi il coraggio di verificare noi stessi? Abbiamo noi il coraggio di interrogare i nostri fratelli, cristiani da decenni, sulla loro fede?

Nel suo luminoso magistero, Benedetto XVI non ha mai cessato di richiamarci all’inquietudine per il Vangelo.Così affermava: «al posto della parola “desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmettercil’inquietudine verso Dio, rendendoci proprio così anche aperti e inquieti gli uni verso gli altri» (Omelia Epifani 2013).Siamo noi pronti a lasciare le nostre false comodità e l’autosoddisfazione che ci contraddistingue per una certa forma di chiesa?

Una Chiesa soddisfatta di sé, non è una Chiesa missionaria! è una Chiesa che non evangelizza. Essa programma, organizza, discute, elargisce ruoli, ma non avverte più l’urgenza e il senso dell’annuncio per sé stessa e per gli altri, vicini o lontani. Ma «Gesù Cristo ha fatto di noi un regno e ci ha costituiti sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1,6) appositamente per interiorizzare e diffondere il Vangelo.

3. La messa crismale, epifania del popolo di Dio, richiama i membri di tutta la Chiesa alla loro identità e missione. «Nella partecipazione di tutto il popolo di Dio alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il Vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri vi è una speciale manifestazione della Chiesa» (Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Conclium, 41).Le parole del Concilio illuminano questa solenne liturgia della Messa crismale dove saranno benedetti gli olii della nostra salvezza; ma dove cantiamo anche la gioia grata e stupita del sacerdozio. Sì, è la nostra festa, festa per il sacerdozio ricevuto e festa della nostra comunione. E allora, in questo giorno, che cosa dirvi?

Oltre a rinnovare il mio affetto di Padre e Pastore per ciascuno di voi, per il vostro servizio, vorrei, in quest’Anno della fede, riflettere con voi su Abramo, nostro padre nella fede e per questo motivo padre anche per noi presbiteri diocesani e religiosi.

4. Siamo portati naturalmente a guardare Abramo come a un modello di fede, ma raramente lo vediamo vicino al nostro essere presbiteri.Eppure la Scrittura ci presenta due prerogative presbiterali di Abramo: l’anzianità e l’amicizia con Dio. Riflettiamo sulla prima: l’anzianità. Origene in un’omelia sulla Genesi commenta: «L’anzianità di Abramo non era un’anzianità degli anni, era maturità del cuore».

Questo vuol dire che Abramo diventa anziano ed è reso anziano dalla vocazione che ha ricevuto, attraverso un’educazione che viene dal Signore. La maturità del cuore alla quale lentamente arriva, facendo i conti con le sue debolezze e fragilità, lo porta a riconoscere che i tempi di Dio non sempre corrispondono alle nostre attese. Si tratta spesso di mettere in gioco, anche perfino a far morire le proprie attese, per accogliere la novità del disegno del Signore, che compie in maniera sorprendente i desideri più profondi del cuore.

Carissimi fratelli, un presbitero per poter vivere il suo ministero, fatto di luci, di orizzonti promettenti, ma talvolta anche di assurdi e frustranti ritardi, deve avere con sé la maturità dell’uomo che sa confidare nel Signore e sa discernere le sue vie nel concreto della storia. Nella vita, non sono mancate le occasioni in cui abbiamo percepito certi interventi di Dio, o della Sua Chiesa, come “ritardi”. E addirittura ritardi con nomi precisi, quali: nomine, successo delle nostre iniziative, ricerca di consolazioni.Il cammino della Chiesa conosce tempi lunghi, diremmo biblici. Essa non risponde talvolta alle nostre aspettative, ai nostri sogni.

Ma la consegna di noi stessi viene sempre provata nella fedeltà e nella disponibilità a lungo termine. Siamo chiamati a fidarci di Dio non occasionalmente, ma per tutta la durata della nostra vita. Perché ci sia fede non basta il solo entusiasmo iniziale di seguire il Signore quando Lui ti promette le cose che vuoi. Ci vuole la fede costante di tutta una vita!Tale maturità, che sa conoscere e rispettare i tempi del Signore, si acquista solo con una vita interiore intensa e radicale. Scriveva un autore cristiano: «Ciascuno diventa grande in rapporto alla sua attesa; uno diventa grande con l’attendere il possibile, un altro con l’attendere l’eterno, ma colui che attese l’impossibile, divenne più grande di tutti» (Kierkegaard).Non nascondiamo il timore che una vita troppo intrisa di mondanità, spenga l’attesa e raffreddi l’ardore di un cuore totalmente consegnato a Dio.

La vigilanza sull’uso del tempo, sulle relazioni amicali, sul vestiario e il valore del denaro sono punti che dovrebbero continuamente far parte del nostro esame di coscienza. Occorre che ci rivestiamo del necessario e anzitutto dell’Essenziale. Lo stile di vita di noi presbiteri non può essere più alto, nel senso di più dispendioso e necessario, di quello di un padre di famiglia.

5. Come ogni Giovedì Santo, dopo l’omelia rinnoverete le promesse sacerdotali e tutto il popolo di Dio pregherà per il suo presbiterio e per il suo Vescovo. Noi tutti sappiamo quale ruolo hanno avuto nella vita di Abramo le promesse che aveva ricevute da Dio. Spesso le promesse possono essere un peso! Abramo si è dovuto fidare di promesse che non avevano alcun riscontro nella sua realtà. Perché credere a promesse che sembrano solo appesantire l’esistenza?

Abramo diventa l’uomo della speranza e impara a non pretendere tutto subito e a non fuggire. Man mano che il tempo trascorre, Abramo è sempre più povero, sempre più sprovvisto di quegli elementi che consentono a un uomo di essere padrone della propria vita.

Come presbiteri, sia religiosi o diocesani, se siamo veramente consacrati al Signore, anche noi ci ritroviamo nella stessa condizione di Abramo: privati di tutto ciò che un uomo vorrebbe avere per essere padrone della propria vita.

Ma se abbiamo consegnato la vita a Cristo, cosa può spaventarci? Con Paolo diciamo: «Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? (Rm 8,35).Solo un costante cammino di conversione e di formazione, può portarci a dire: «Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati» (Rm 8,37). Pertanto «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!» (Gal 2,20).

L’anzianità di Abramo allora, è maturità del cuore, speranza nel futuro di Dio e consegna di se stessi a Dio.Come ci ha richiamato Papa Francesco nell’omelia della S. Messa di inizio del ministero petrino «Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato».

6. Andiamo alla seconda prerogativa sacerdotale di Abramo, l’amicizia con Dio. Abramo è l’amico a cui il Signore si avvicina e che condivide i segreti e le pene del cuore di Dio. In tutta la Scrittura l’essere presbiteri-anziani equivale a essere amici di Dio. Nel Nuovo Testamento, ad esempio, troviamo un presbitero, Giovanni, del quale si dice che è il discepolo amato da Gesù ed è colui che è così anziano che forse non muore più. La vocazione presbiterale di Giovanni nel Nuovo Testamento è la vocazione dell’amico del Messia. Il Vangelo secondo Giovanni ci dice che il discepolo-amico china il capo sul petto del maestro. Egli è colui che compatisce, che patisce con il maestro in quel momento di così profonda afflizione, di fronte al tradimento imminente, così come Abramo, che condivideva i sentimenti di tristezza con cui Dio guardava un mondo lontano dal suo amore. Accostando Abramo e Giovanni, il presbitero è l’uomo della compassione; l’uomo dell’intercessione, l’amico del Signore, colui che compatisce la tristezza di Dio.

7. Allora carissimi fratelli, senza intimità con il Signore, senza quella disponibilità a condividere il peso del cuore di Cristo, come possiamo vivere la nostra vocazione? Se non avvertiamo in noi l’irresistibile pungolo della grazia che ci lascia inquieti, quale evangelizzazione possiamo portare avanti? è vero! Non mancano momenti difficili come comunità cristiana.

Ci ritroviamo a volte affaticati, incompresi, quasi come stretti d’assedio. Ma nonostante questo, restiamo stupiti di come Dio non cessi di operare e di riaccendere la speranza. Siamo amici di Dio solo se viviamo la passione di Dio. Si è preti “appassionati”: prima perché si “patiscono” le gioie e le tristezze, le speranze e la fatiche di ogni uomo; poi perché si appassionano per la Chiesa, dove la vita vera cresce e si trasmette.

Si è preti appassionati, solo se si è disposti a vivere la Passione di Cristo «che si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di Croce» (cfr. Fil 2,5-11). Questa sera entreremo nel Triduo Pasquale, chiediamo al Signore la grazia di celebrare e vivere la Pasqua con passione e autentica fede.

8.Cari confratelli tra poco nelle nostre Chiese risuonerà la voce del Risorto: “La pace sia con voi”. è questo il mio augurio, per voi e le vostre comunità.

Vorrei, in questo giorno santo, far arrivare il mio pensiero anche a quanti non sono presenti con noi; ai confratelli forse malati e impediti o a quanti non si trovano con noi attorno all’altare in questa Celebrazione.Il Signore riconduca all’unità la Chiesa che soffre per le dispersioni degli uomini. Un saluto grato e pieno di stima, lo rivolgo alle tante comunità religiose femminili che servono con amore e dedizione Cristo e i poveri, in questa Chiesa.

Mentre il mio pensiero va anche ai tanti laici che vivono e testimoniano con generosità la loro fede e a quanti si impegnano per il bene della società civile.

Su tutti invoco la benedizione del Signore.

Carissimi, siate certi della preghiera e dell’affetto del vostro Vescovo, Dio ci conservi uniti come siamo oggi attorno a quest’altare. Amen