·

Lavoro e Sviluppo

Lavoro: la crisi rilancia l'importanza della formazione

redazione · 12 anni fa

Intervista a Maurizio Drezzadore Presidente dell’Associazione Italiana degli Enti di Formazione Professionale FORMA D. Presidente Drezzadore per molti anni lei è stato alla guida del Dipartimento lavoro delle Acli. Un osservatorio importante nello scenario nazionale. Quali sono state le proposte delle Acli che, a suo parere, hanno inciso in modo significativo nella realtà socio-economica italiana? R. Sicuramente la proposta più incisiva e' stata quella denominata "verso uno Statuto dei lavori". Con quella campagna, condotta nel 2009, che ha toccato 90 province italiane raccogliendo oltre 100 mila firme, abbiamo indicato ai due governi che si sono succeduti una serie di proposte per riequilibrare i

diritti e le tutele in un mercato del lavoro fortemente squilibrato. I principali capisaldi sono stati la riforma degli ammortizzatori sociali e l'estensione delle tutele a tutta la platea dei lavoratori, compresi quelli atipici; la nuova disciplina dell'apprendistato, da noi indicato come contratto d'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro; la riduzione dei contratti a termine e atipici a favore di una nuova tipologia che abbiamo chiamato "contratto prevalente a tempo indeterminato" con una maggiore rigidità in ingresso a fronte di una maggiore flessibilità in uscita; l'estensione dei diritti formativi dei lavoratori e la valorizzazione del sistema di istruzione e formazione professionale quale strada principale per favorire l'apprendimento permanente lungo tutto l'arco della vita; una maggiore chiarezza e più tutele sulle dimissioni in bianco, attitudine incivile che contamina il mercato del lavoro italiano. In parte il ministro Sacconi, per quanto attiene l'apprendistato , in misura prevalente il ministro Fornero, relativamente alla riforma del mercato del lavoro, hanno attinto, attraverso un utile confronto, ai contenuti che le Acli avevano proposto. Certo la crisi che stiamo attraversando, per la sua pesantezza, ma anche per la sua lunga durata, sta ancor oggi limitando gli effetti positivi di questi provvedimenti.

D. Adesso è alla direzione di Forma. Quali sono i programmi di Forma? Quale la mission? Perché tanti importanti Enti di formazione si incontrano? Avete in cantiere una strategia che vada in direzione delle migliori prassi europee?

R. E' triste doverlo ammettere, ma ci è voluta questa pesante crisi perché la formazione assumesse una maggiore centralità nelle politiche italiane. Oggi si propone con maggiore convinzione la formazione come antidoto alla crisi sia da parte delle istituzioni che dalle rappresentanze delle parti sociali. Ci si sta finalmente convincendo che una parte della disoccupazione italiana, in particolare quella giovanile e quella di lunga durata, non è dovuta alla crisi e alle difficoltà di molte imprese, ma al grande divario che permane tra i saperi e i contenuti della scuola e le competenze richieste dal mercato del lavoro e alla inadeguatezza delle politiche ed ancor più dei servizi. La quasi totale assenza di un servizio di orientamento professionalizzante; l'inadeguatezza del collocamento, sia pubblico che privato, che nell'insieme intermedia meno del 15 per cento dei rapporti di lavoro avviati e che costringe tantissimi a dover affrontare in perfetta solitudine passaggi fondamentali della propria vita professionale; la limitatissima offerta formativa rivolta ai lavoratori che consente l'accesso a percorsi professionalizzanti solo al 6 per cento della popolazione adulta. Sono tutti temi sui quali FORMA ha saputo assicurare una maggiore attenzione nelle scelte di indirizzo sia sul Programma di Riforme nazionale (PNR) sia sulle priorità che si stanno definendo relativamente all'impiego delle risorse comunitarie nel prossimo settennato.

Hanno ripreso centralità nel dibattito questi temi, anche perché sospinti dalle sollecitazioni dell'Unione Europea ed hanno trovato soprattutto nella recente riforma del mercato del lavoro una nuova e più adeguata rimodulazione. Resta comunque centrale per il successo delle politiche formative e dei servizi del mercato del lavoro assicurare una più adeguata governance che eviti quella babele di modelli e quella frammentazione di azioni che in passato purtroppo è ripetutamente accaduto.

D. So che Forma sta organizzando dei seminari formativi al Sud, al Centro e al Nord. Tre seminari su “ Apprendistato, lavoro occasionale accessorio e politiche attive per il lavoro rivolte ai giovani”. In linea con la domanda del Paese. Non pensa che l’Italia ha bisogno di accelerare per dare, da subito, risposte ai giovani?

R. Abbiamo deciso di realizzare sei seminari interregionali per gli operatori e i dirigenti della formazione professionale con lo scopo di attrezzare gli enti territoriali aderenti a Forma con una progettualità più completa e per poter avviare una fase nuova di presenza nelle politiche attive del lavoro. Con la piena consapevolezza che la formazione deve concorrere a contrastare gli effetti di una crisi pesante e persistente, che sta portando il paese verso 3 milioni di disoccupati e dove i giovani sono per il 38 per cento fuori di ogni attività lavorativa.

Inoltre i provvedimenti legislativi contenuti nella recente legge di riforma del mercato del lavoro affidano alla formazione professionale compiti nuovi. Dando loro attuazione, si andrà progressivamente verso la costruzione all'interno dei Centri di Formazione di una gamma si servizi che consentano un più facile inserimento lavorativo dei più giovani, facilitando l'erogazione di un vero orientamento professionalizzante, riducendo il divario tra scuola e mercato del lavoro, facilitando l'erogazione formativa in apprendistato, attuando i tirocini formativi, e rendendo accessibile per ogni lavoratore una certificazione delle competenze possedute, in tal modo arricchendo il curriculum e aiutando la mobilità professionale.

E' ormai universalmente riconosciuto il ruolo propulsivo sullo sviluppo che istruzione e formazione, quando sono di qualità, danno ai paesi. Tanto più nei contesti delle economie occidentali che devono affrontare le ardue sfide della globalizzazione dei mercati e di una crescente concorrenza su tipologie di prodotti sempre più ampia e che potranno trovare le opportunità della crescita solo con l'innovazione, la tecnologia e l'internazionalizzazione.

D. Ci può sintetizzare perché scelte mirate sull’apprendimento permanente e perché oggi, dall'UE, vengono imposti i sistemi di certificazione delle competenze?

R. La qualità delle risorse umane resta l'elemento centrale per le economie occidentali, ma come ben sappiamo la realtà europea presenta forti differenziazioni. è l'accesso alla formazione degli adulti e la qualità della formazione continua che fanno la differenza. Anche in questo campo, la Germania ci è di esempio con un collaudato sistema duale di istruzione e formazione che consente ad oltre la metà dei giovani di acquisire competenze professionali adeguate tramite la formazione professionale e l'apprendistato e che da la possibilità di conseguire nei luoghi di lavoro una formazione ricorrente di buona qualità. L'Italia parte purtroppo da livelli molto bassi e trova nella piccolissima dimensione aziendale di moltissime imprese un ostacolo spesso insormontabile. Fino ad ora non si è compreso che solo una alleanza cooperativa tra i sistemi formativi e di istruzione e le imprese può dare una marcia in più per far uscire il nostro paese dalle secche dell'immobilismo. Auspichiamo che il recente provvedimento del mistero Fornero, con il provvedimento attuativo dell'apprendimento permanente, possa dare una svolta in termini di crescita quantitativa e qualitativa della formazione nel mondo del lavoro.

In Europa, dove da anni si punta ad una mobilità internazionale delle attività lavorative, si sta progressivamente insistendo con tenacia e con crescenti vincoli ad affermare un grande ed unitario mercato del lavoro continentale, creando le condizioni, anche con programmi comunitari di sostegno, alla contaminazione di diverse esperienze lavorative, sviluppate in Stati diversi, come percorso di arricchimento della professionalità lavorativa. Anche in Italia dovremo affermare con più vigore le pratiche europee ed essere meno preoccupati delle migrazioni quando sono esperienze transitorie di miglioramento professionale.

D. Presidente, andiamo verso alcune iniziative concrete. Cosa ne pensa del programma europeo “ Youth guarantee” vale a dire “ Garanzia per i giovani”. Questo programma è di respiro europeo perché la crisi è diffusa in quasi tutti i Paesi dell’Unione. Con delle regioni che sono soffocate dal dramma della disoccupazione. Quelle del Mezzogiorno in particolare. Oltre al programma “ Garanzia per i giovani” quali altri strumenti utili di intervento per una politica di sviluppo e in quali settori.

R. Ad ogni giovane che si trovi in condizione di disoccupazione prolungata va offerta una serie di opportunità che siano in grado di favorire un più rapido inserimento lavorativo. Questo e' il concreto punto di partenza della programmazione comunitaria in tema di contrasto della disoccupazione giovanile. Una tale impostazione trova molti e concreti punti di convergenza con l'analisi socio-economica italiana. Nel nostro paese infatti si è dimostrato come il prolungarsi della disoccupazione abbia finito col rappresentare una vera e propria gabbia senza via d'uscita per molti giovani e ancor di più per numerosi adulti che negli anni passati hanno perso il lavoro. Basti ricordare l'esperienza, spesso inconcludente, dei bacini degli Lsu (lavoratori socialmente utili), con i quali si sono sussidiati migliaia di lavoratori con ingentissime risorse pubbliche senza rimuovere i veri ostacoli che impedivano il reinserimento lavorativo ed anzi, inculcando l'idea che il sistema pubblico potesse supplire a vita alla mancanza di reddito di lavoro.

Le politiche europee sono dunque un banco di prova per l'Italia, che è chiamata a dimostrare che sarà in grado di impiegare le risorse comunitarie per creare sviluppo e miglioramento qualitativo del sistema economico.

D. Un’ultima domanda. L’Onu entro un decennio, prevede che nel mondo avremo oltre un miliardo di sessantenni, addirittura raddoppierà intorno al 2050. Per l’Italia le cose non sono diverse se si pensa che fra quarant’anni avremo un cittadino su tre che sarà “ over 60”. Secondo lei sono urgenti anche le politiche in direzione dell’invecchiamento attivo ? Quali sono i vantaggi se investiamo su una forza lavoro che invecchia e che tipo di formazione bisogna ripensare?

R. Siamo arrivati all'appuntamento con i nostri deficit demografici assolutamente impreparati. Col risultato che le pur necessarie politiche di prolungamento dell'impegno attivo nel lavoro e con lo spostamento in avanti dell'età pensionabile non ha trovato in parallelo la giusta valorizzazione della popolazione anziana. In altre parole ci siamo tenuti gli anziani al lavoro senza la convinzione di poter valorizzare il prolungamento della loro vita attiva. Si è radicata nella coscienza collettiva solo la convinzione che i lavoratori maturi sono il tappo per l'ingresso dei giovani al lavoro. Bisogna cominciare a fare qualche passo nuovo in questa direzione.

Un esempio e' la staffetta generazionale attraverso la quale si avvia un affiancamento tra un lavoratore dipendente, nei suoi ultimi anni di lavoro, che accetta di fare un par time e un giovane che viene assunto con le agevolazioni del contratto di apprendistato. Entrambi lavorano in affiancamento con il trasferimento di competenze lavorative al più giovane da parte del lavoratore maturo che ha accumulato una grande esperienza professionale.

Anche nella creazione di impresa si potrà valorizzare l'esperienza del lavoratore anziano, creando una sintesi tra esperienza ed innovazione, conoscenza dei prodotti e dei mercati e slancio imprenditoriale giovanile.

Se sapremo, con intelligenza e fantasia, utilizzare tutti i saperi e le esperienze aprendo le porte all’innovazione daremo un contributo ai giovani, ma anche una spinta alla crescita in questo sfiduciato paese.

D. Qui, a questo punto, è coerente un’altra domanda. Avremo la capacità programmatica e culturale per far camminare insieme politiche attive per l’emergenza giovanile e politiche programmate per l' invecchiamento attivo. Qual è il ruolo del Terzo settore in queste dinamiche sociali?

R. Il terreno principale su cui si è cimentato il terzo settore in quest'ultimo decennio e' la gestione del welfare, ed è proprio su questo che purtroppo è mancata la spinta al rinnovamento delle politiche. Troppo spesso ci si è limitati a criticare la riduzione progressiva che, di anno in anno, ha contraddistinto la spese pubblica; come se la riduzione di spesa pubblica in ambito sociale fosse esclusivamente imputabile a miopi scelte dei governi che si sono succeduti. Si è sostanzialmente ignorato che esiste una reale insostenibilità del vecchio modello di welfare e che questo non è un tema esclusivamente italiano ma riguarda l'intera Europa.

Non si è colto a pieno che siamo entrati in una nuova stagione del welfare, che dovrà essere meno condizionata dal denaro pubblico, e che dovrà caratterizzarsi con un modello di gestione più partecipato, come espressione della mutualità; dove risorse pubbliche, risorse private ed efficienza di gestione assumano un nuovo equilibrio. Non si è capito che bisogna porre nuovi confini tra diritti universali che vanno tutelati dalla spesa pubblica e aree di servizi sociali che dovranno trovare una sostenibilità nuova dove anche la contribuzione privata deve fare la sua parte. Non si è capito che i livelli di insufficiente efficienza anche nelle imprese sociali sono di ostacolo all'ottimizzazione delle risorse disponibili, soprattutto quando sono pubbliche.

Stiamo insomma affrontando la crisi del welfare italiano con armi spuntate che non riescono ancora a distinguere le misure indispensabili a carico della fiscalità generale che devono ricomprendere anche adeguati stanziamenti nei confronti delle povertà estreme, dall’insieme delle tutele che va affrontato con nuovi strumenti.