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Cultura e Società

Quell'obiezione di coscienza permessa sugli animali e contestata sui bambini

Paolo Emanuele · 8 anni fa

“I cittadini che, per obbedienza alla coscienza, nell'esercizio del diritto alle liberta' di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, si oppongono alla violenza su tutti gli esseri viventi, possono dichiarare la propria obiezione di coscienza ad ogni atto connesso con la sperimentazione animale". Così recita il primo dei quattro articoli della legge numero 413 del 12 ottobre 1993 che introduce l'obiezione di coscienza per ricercatori universitari, medici, personale sanitario che all'interno di qualsiasi struttura si occupano di sperimentazione sugli animali. Una legge che, attingendo a testi di carattere universale per la tutela dei diritti delle persone come la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dà la possibilità a chi ha particolarmente a cuore la causa animalista di astenersi da quelle sperimentazioni scientifiche che, attraverso gli animali, vorrebbero trovare nuove farmaci e nuove cure per le malattie degli uomini. Tutto legittimo e più o meno condivisibile. E' una battaglia portata avanti da movimenti e associazioni animalisti e ambientalisti. Uno Stato liberale è tale se riconosce, per quanto la razionalità faccia fatica ad accettarlo, che per un ricercatore scientifico la vita di un animale non debba mai essere sacrificata anche se potrebbe risultare utile a salvare vite umane. Per i bambini, e in generale gli esseri umani, la situazione è diversa. E ancora una volta il caso drammatico della donna di 32 anni morta a Catania incinta di due gemelli riapre la discussione sulla legittimità dell'obiezione di coscienza, fino a paventare le soluzioni più drastiche: togliere il diritto all'obiezione o addirittura impedire ai medici e ai professionisti che se ne avvalgono di lavorare nelle strutture pubbliche. Sulla storia e sul dramma di Valentima Milluzzo, sarà la magistratura già al lavoro ad accertare come siano andate realmente, se l'obiezione di coscienza sia stato solo un vezzo per coprire un abuso di professione medica o una gravissima inadempienza del professionista. Anche perché si trattava di aborto terapeutico per salvare la vita della madre, situazione che di fatto limita e annulla l'obiezione di coscienza del medico. Il punto è un altro ed è un punto interrogativo: Perché mettere in discussione una conquista di civiltà, per la quale tanti, anche all'infuori del mondo cattolico e cristiano, si sono battuti per molto tempo? Qual è il discrimine per il quale viene considerato un diritto opporsi a maneggiare un'arma nell'esercito o a manipolare il corpo di un animale mentre viene considerato un abuso dire no alla soppressione della vita umana nel grembo materno? E' un doppiopesismo preoccupante. Una contraddizione non tanto e non solo con il fatto che si dia maggiore tutela a chi non vuole uccidere un animale rispetto a chi non vuole uccidere un feto, ma con il riconoscimento di una libertà individuale che in quanto deve essere per tutti. Non si possono ghettizzare i medici obiettori, né confinarli in strutture private. Sarebbe come ripetere la frase che il proconsole romano Dione rivolse a quello che viene considerato il primo obiettore della storia, Massimiliano Di Tebessa: “Fa' il militare se non vuoi morire”. Svuotiamo la vicenda dell'astio ideologico di chi non vuole accettare che, non per un imposizione dall'alto ma per scelta, secondo una relazione del Ministero della Salute del 2005 in Italia ben sette ginecologi su dieci si rifiutano di effettuare interventi di aborto volontario per motivi etici, con un incremento del 12% rispetto al 2005. Sono dati che dovrebbe far riflettere chi vuole strumentalizzare una disgrazia per dare vita all'ennesima crociata ideologica contro la libertà di coscienza, fino a sfociare nella discriminazione contro chi decide di scegliere seguendo i propri principi. Dimenticando che sono le stesse motivazioni per cui, dall'altra parte della barricata, si sono battuti nei decenni passati fino ad ottenere una legge: la 194. Ma se per Benedetto Croce la libertà per sé ha l'eterno, per gli abortisti oltranzisti la libertà vale a seconda delle circostanze e delle opportunità. Così come la pietà e la compassione valgono di fronte ai cuccioli, purché non siano cuccioli d'uomo.