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Cultura e Società

Le "Forme del vuoto" di Fiorenzo Zaffina al Maon di Rende

Paolo Emanuele · 8 anni fa

Il Maon di Rende fino al dieci settembre apre alle “Forme del vuoto” di Fiorenzo Zaffina, l’artista lametino che da oltre quaranta anni vive e lavora a Roma. Nella suggestiva cornice della zona storica del centro del cosentino, infatti, è stata inaugurata la mostra curata da Tonino Sicoli e Massimio Scaringella e dove Zaffina ha anche realizzato “Siamo tutti santi” che rappresenta un nuovo progetto con cui utilizza il plexiglas inserito, però, sopra un fascio di solchi nel muro che, “dal un punto in alto si allargano a ventaglio verso il basso, in una sorta di rappresentazione della luce. Come dire luce simbolica e luce vera su un’aureola illuminata dall’interno a ironizzare su una santità profana”.Con le “Forme nel vuoto”, Zaffina abbandona i muri sbrecciati, i mattoni frantumati, il marmo scheggiato passando alla materia-non materia con l’utilizzo di blocchi di plexiglas quasi a scavare all’interno dell’aria dandone ogni volta una forma ed una colorazione diversa. Ed infatti il nuovo Zaffina, come viene spiegato nel catalogo, è “uno scultore etereo, che buca la materia del vetro sintetico, tagliato a parallelepipedo, come un monolito, smozzicato dalla fresatrice, con squarci asimmetrici, in un angolo, su uno spigolo, sulla faccia levigata. Le brecce hanno l’aspetto di grossi graffi con segni colorati, dall'andamento curvilineo, che a volte si arricciano come onde marine. La luce, che filtra dal materiale trasparente, funziona come animatrice di un dinamismo interno con visioni multiple e cangianti a seconda del punto di vista. Basta girare attorno al solido trasparente per scoprire prospettive nuove; anche dall'alto e dal basso si ottengono immagini, con un interno vista, che rifrange la luce in strisce, spirali, effetti sempre nuovi e diversi. Forme primarie e segni dai colori intensi creano “statue” impalpabili, delicate, vaghe apparizioni di un processo che si sviluppa in direzione di una infra-scultura, post-moderna e linguisticamente elementare. Si legge la contaminazione di un'arte progettuale, fatta un po’di concettualismo e un po’di industrial design. Eppure prevale in Zaffina un’artigianalità, un lavoro manuale, che trae la forma dal blocco squadrato e dall’impiego di trapani e frese, di levigatrici e smerigli”.Un modo nuovo di concepire il rapporto con lo spazio e la materia, quindi, “che svuota i contenuti e che mostra come noi uomini ci avviciniamo con difficoltà all'assenza della materia” e dove le sue sculture altro non sono che “forme dinamiche che comunicano in continuazione. Oggetti quasi illusionistici, ipnotici, il cui potere è quello di riflettere ma allo stesso tempo distorcere”. Come per altri lavori, l’artista insiste “sulla potenzialità degli oggetti di divenire qualcos’altro, mettendo in atto ancora una volta il dialogo tra lui e lo spettatore in cui la materializzazione della forma è una maniera per apprendere, per appropriarsi del mondo”. Da sempre, infatti, Zaffina, nella sua ricerca artistica “ha cercato l’anima della creazione all’interno della materia e nello spazio. Una ricerca continua di elaborazione la sua, che svuota i contenuti e che mostra come noi uomini ci avviciniamo con difficoltà all'assenza della materia. Un’indagine quindi di natura simbolica e spirituale che amplia il concetto di scultura nell’arte”. (da ANSA)