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Favola

La foca salvatrice

Gigliotti Saveria Maria · 8 anni fa

«Su, Stefano, è ora di andare! La mamma s’inquieterà per il ritardo...».

«Ancora un istante, nonno, aspettiamo che esca. Sono troppo curioso di vedere come è fatto...».

«Ma siamo qui già da dieci minuti, e il sole picchia. Secondo me, col caldo che fa, non ha nessuna intenzione di lasciare il fresco della sua “casetta“... In fondo hai già visto la gazzella di Grant, l’armadillo della Patagonia, l’ippopotamo nano, il lemure del Madagascar...». E il nonno enumerò tutte (o quasi) le specie animali che avevano scoperto durante la loro visita al Bioparco, che il nipote chiamava Zio... parco.

«Dai, tapiro, ti prego, esci fuori», supplicò Stefano sporgendosi sulla recinzione.

Niente da fare. Nel buio della “casetta” si intravedeva vagamente qualcosa di peloso, ma il famoso “tapiro dalla gualdrappa” rimaneva sordo ad ogni invito.

Nonno Umberto stava spazientendosi di fronte a quell’ostinazione, quando ebbe un’idea. A dire il vero si trattava di un ricatto vero e proprio...

«Se non ti decidi a venir via con me, non ti racconto della “foca salvatrice”… è una storia vera, sai – continuò mentre Stefano drizzava gli orecchi –. L’ho letta proprio questa mattina sul giornale...». Perso ogni interesse verso il tapiro con la sua gualdrappa (a proposito, di che si tratta?), il bambino si lasciò riportare a casa.

Poco dopo nel soggiorno, mentre la mamma finiva di sfaccendare in cucina, si preparava ad ascoltare il nonno. Per l’occasione, s’era aggiunta Alessia, la sorellina di sei anni. Il nonno spiegò il giornale ed esordì: «Quello che vi racconto è proprio un fatto eccezionale. Avrete sentito di cani che salvano i padroni in pericolo e perfino di delfini che soccorrono gente in procinto di annegare... ma quando mai s’è sentito parlare di foche che abbiano compiuto atti eroici?».

«Veramente, se le guardi bene in faccia, le foche sembrano un po’dei cani... » intervenne Alessia.

«Zitta tu! Ti prego, nonno, continua!» tagliò corto Stefano.

Come se niente fosse, nonno Umberto lesse: «II titolo della storia è: “Cane sta annegando in un fiume. Una foca va in soccorso e lo salva”». Poi chiuse il giornale e continuò: «Naturalmente, ve la racconto a parole mie. Premetto che ci troviamo nell’Inghilterra settentrionale...

«Il mattino era sorto grigio e nebbioso, e sull’ultimo tratto del fiume Spey stormi di procellarie, lanciando acute strida, volteggiavano in cerca di cibo sugli isolotti della foce, già lambiti dalle gelide acque del Mare del Nord...

«La foca Bessie (avrà pur avuto un nome!), dopo essersi riempita la pancia di pesce, stava per arrampicarsi sulla scogliera di uno di quegli isolotti disabitati, domicilio di sue compagne e di innumerevoli uccelli marini, quando sentì un lontano abbaiare: tra i detriti galleggianti che il fiume riversava nel mare aperto c’era una tavola di legno che trasportava un cane: un vecchio cane malandato, ferito ad una zampa. Come s’era ferito? chiederete voi. Scivolando su una scogliera. Dopodiché il suo padrone un pescatore, ingrato e senza cuore, non sapendo più che farsene di uno come lui, se ne era sbarazzato gettandolo in mare. Per fortuna Buck (senz’altro avrà avuto un nome pure lui...) aveva trovato quella tavola di legno a cui aggrapparsi. Ora però, sfinito dalla fame e dal terrore, non sapeva come cavarsela su quel precario rifugio che stava finendo nel Mare del Nord».

«Nonno – interruppe di nuovo Alessia –, ma se era una zona deserta come hanno fatto quelli del giornale a sapere cos’era accaduto?».

«Uffa!» sbottò Stefano, indispettito.

«Calma, calma – intervenne nonno Umberto –; la domanda della sorellina è sensata. Vedete, il fiume non era del tutto deserto: le rive erano punteggiate di casupole, e l’ultimo tratto verso la foce frequentato da pescherecci. Alla scena hanno assistito appunto i marinai di una di queste imbarcazioni...

«Andiamo avanti! La tavola di legno ondeggiava sempre più pericolosamente, per via della corrente fattasi impetuosa, e più pietosi erano diventati i latrati di Buck, quando dai gorghi si vide emergere un muso fornito di ispidi baffi, e due occhi umidi fissarono la bestiola ormai allo stremo. Era Bessie, che si era gettata di nuovo in acqua e da perfetta nuotatrice era giunta in un baleno vicino alla tavola.

«Per la sorpresa il cane ammutolì; ammutolirono pure i pescatori che stavano seguendo la scena da un vicino peschereccio. Quello che videro, infatti, era qualcosa di assolutamente fuori dal comune. La foca si portò quasi al di sotto della tavola, e un po’sostenendola, un po’spingendola col dorso, riuscì ad avvicinarla ad un banco sabbioso quasi attaccato alla riva, in un posto dove l'acqua era bassissima. «Finalmente Buck poté trascinarsi all'asciutto. Bennie pure riemerse per accertarsi che fosse proprio in salvo. I musi di due animali così diversi si sfiorarono, si annusarono a vicenda, come se si fossero compresi. Poi la foca si rituffò con un ultimo guizzo gioioso...».

«Ed è scritto proprio così su quel giornale?», esclamò Stefano, tutto contento per quel lieto fine. «Beh, pressappoco... Sai, la notizia – ammise l’anziano con un sorriso furbo – è di sole dieci righe...».

«Ah, nonno! Davvero la fantasia non ti manca!» cinguettò Alessia.

Era ormai ora di andare tutti a pranzo.