Davanti a noi la Croce di Cortale, una croce in pietra che ci ricorda la nudità e la durezza della croce, l’asperità della nostra terra, ma anche la base solida su cui si appoggia la nostra fede: I nostri padri…bevevano tutti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo (1Cor 10, 4).Testimone silenziosa ed eloquente della nostra storia di fede,ci sta davanti e, attirando il nostro sguardo, ci raccoglie in preghiera.Infatti questa croce ha più di 1000 anni; apparteneva al monastero basiliano di Sant’Elia, presso Cortale. Quei monaci, giunti in seguito alla lotta iconoclasta che si consumò in oriente, sono testimoni di come la croce, la nuda croce, sia l’unica nostra salvezza. Noi siamo abituati a venerare il crocifisso, ma la croce, che è uno strumento di morte, ci turba.Se poi ci troviamo –come in questo caso - davanti ad una croce in pietra, ci sembra un’immagine austera!Cosa ci trasmette questa croce nella sua nudità?In un mondo che perde la memoria di Dio e delle sue radici storiche, in un mondo che gioca tutto su ciò che è immediato, fugace, effimero, questa croce ci ricorda prima di tutto la misericordia del Signore per noi, il dono della sua vita per salvarci, la sua pazienza amorosa, ma anche l’amore del nostro popolo per il Signore! Infatti, essa è anche testimone della nostra fede storica. Mentre veneriamo la croce affiorano nel cuore le preghiere, le afflizioni, le prove vissute dal nostro popolo, per oltre un millennio. Fu rinvenuta in un campo di Cortale tra il 1100 e il 1200 e da allora venerata.Noi preghiamo davanti alla croce e ci uniamo, nella comunione dei santi, a quanti ci hanno preceduto nella fede, ai nostri antenati.La sua forma ci colpisce: è un torchio stilizzatocon la forma caratteristica del tino dove si pigia l’uva. Qual è il significato di questa croce-torchio? Interroghiamo la Sacra Scrittura. Il primo testo che ci aiuta a capire il senso della croce-torchio lo troviamo nel libro dei Numeri, quando il popolo dopo quarant’anni nel deserto si trova davanti alla terra promessa. Giosuè invia degli esploratori che ritornano portando i frutti lussureggianti di quella terra. In particolare i grappoli d’uva erano così grandi che il testo dice: Tagliarono un tralcio con un grappolo d'uva, che portarono in due con una stanga (Nm 13,23). S. Agostino interpreta questa immagine come un simbolo della croce: Il primo grappolo d'uva schiacciato nel torchio è Cristo. Quando tale grappolo venne spremuto nella passione, ne è scaturito quel vino il cui calice inebriante quanto è eccellente! Anche il profeta Isaia ci parla di Dio vendemmiatore:Chi è Colui che viene da Edom con le vesti tinte di rosso?... Perché rossa è la tua veste e i tuoi abiti come quelli di chi pigia il torchio? Nel torchio ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me (Is 63, 1-2).La tradizione attribuisce questa immagine al Servo sofferente. Passando al Nuovo Testamento troviamo nell’Apocalisse, l’immagine della vendemmia riferita alla sorte del popolo perseguitato: L’angelo lanciò la sua falce sulla terra, vendemmiò la vigna della terra e rovesciò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio. Il tino fu pigiato fuori della città e dal tino uscì sangue fino al morso dei cavalli, per una distanza di milleseicento stadi (Ap 14,18-20).Ora il punto è che questo tino riempito d’uva è il corpo di Cristo. Chi è torchiato è Lui fuori dalla città di Gerusalemme.Ma tutta la terraè toccata dal sangue di Cristo! (La distanza di milleseicento stadi indica i quattro angoli della terra: 4x4 moltiplicato 100).Nell’immagine del tino e dell’uva vendemmiata noi ritroviamo l’offerta del sangue di Gesù fatta una volta per sempre (cfr. Eb 10,10) e, dopo di Lui, l’offerta di tutti coloro che sono stati martirizzati per il suo nome e per il Vangelo. Ma ben fecondo è questo essere spremuti nel torchio. Finché è sulla vite, l'uva non subisce pressioni: appare intera, ma niente da essa scaturisce. La si mette nel torchio, la si calpesta e schiaccia; sembra subire un danno, invece questo danno la rende feconda, mentre al contrario, se le si volesse risparmiare ogni danno rimarrebbe sterile. Anche la stauroteca riprende questi temi. Il tessuto ricamato da una ditta napoletana dei primi del ‘900, richiama i simboli della passione nella parte superiore e centrale dove campeggia una singolare croce greca, i cui bracci sono costituiti da quattro cerchi con all’interno un angelo; nel centro il volto di Gesù sofferente (Christuspatiens). L’evangelista Luca ci dice che Gesù nel Getzemani fu confortato da un angelo (Lc 22,43). Tale croce è incorniciata da steli di grano con le spighe – chiaro simbolo eucaristico. L’immagine della premitura e dell’effusione del sangue la ritroviamo nella metafora del pellicano che domina tutta la parte inferiore della croce. Si sa che il pellicano adulto curva il becco verso il petto, per dare da mangiare ai suoi piccoli i pesci che trasporta nella sacca. Gli antichi pensavano erroneamente che si ferisse per nutrire i piccoli col proprio sangue.Il pellicano è divenuto pertanto il simbolo dell'abnegazione, dell’offerta con cui si amano i figli. Per questa ragione l'iconografia cristiana, soprattutto nel medioevo, ne ha fatto l'allegoria del supremo sacrificio di Cristo, salito sulla Croce e trafitto al costato da cui sgorgarono il sangue e l'acqua, fonte di vita per gli uomini. Non è un caso dunque che questa croce dalla forma singolare si trovi nella nostra terra, terra ospitale, terra di profughi fin dall’antichità, terra dove i monaci hanno trovato rifugio e luoghi per pregare, terra in cui si respira l’anelito per l’unità delle Chiese mentre il sangue del Signore Gesù continua a essere effuso su di noi per la nostra salvezza.
Vita diocesana
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