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Il Vangelo della domenica

Riflessione sulla II Domenica di Natale

Gigliotti Saveria Maria · 9 anni fa

Nella seconda domenica dopo Natale la liturgia ricorda nuovamente e celebra la benedizione di Dio, nostro Padre, che si è manifestata nel Verbo fatto carne: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo”(Ef 1,3).. Il Verbo di Dio, e cioè la “sapienza dell’Altissimo”, per usare le parole del testo del Siracide, nella prima lettura della Messa, venne ad abitare in mezzo a noi. Gesù, il Bambino nato a Betlemme, è la luce della divina sapienza, che splende nelle tenebre del nostro mondo e illumina ogni uomo. In Lui solo troviamo la luce per il cammino nel tempo verso l’eternità; da Lui solo abbiamo la vita soprannaturale, che ci fa figli di Dio. Gesù ci ha rivelato il Padre; da Lui provengono a noi la verità e la grazia: “Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia” (Gv 1,16). L'Incarnazione è pura grazia, puro dono, totale autodonarsi di Dio per la nostra salvezza, redenzione e giustificazione. Nella vicenda storica di Gesù, Giovanni, illuminato e reso sapiente dallo Spirito Santo, vede la preesistenza di Gesù, la sua eternità, la sua personalità divina, distinta da quella del Padre e dello Spirito, vede la sua incarnazione nel tempo, vede anche l'opera della sua redenzione, i frutti che sono il dono della grazia e della verità; vede anche la differenza che lo separa da Mosè e da Giovanni il Battista. Gesù è prima di Giovanni, si tratta di un prima eterno, non semplicemente un prima temporale, di grandezza umana. Gesù è più grande di Mosè: Mosè è il servo di Dio, Gesù ne è il Figlio che in principio è presso Dio ed è Dio stesso. Il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio, Creatore e Signore come il Padre, Luce del mondo e principio di ogni sapienza creata che aleggia nell'universo. Ancor prima di farsi carne, egli era già la luce del mondo, anche se il mondo preferiva le tenebre alla luce, perché le sue opere erano malvagie; e tuttavia Egli è la manifestazione nel tempo dell'amore e della misericordia di Dio Padre; Egli è venuto tra noi per rivelare l'amore e la carità di Dio, il quale per amore dell'uomo non risparmia il suo Figlio Unigenito, lo consegna alla morte per il nostro riscatto. Colui che nasce a Betlemme non è solo un uomo, Egli è il Dio che ci ha assunti, assumendo la nostra umanità. Ma si è fatto uomo per noi, per darci la sua vita, per dare se stesso come nostra vita. Nasce la vita, nasce l'amore, nasce il dono, nasce Dio in quel Bambino; nasce assumendo la nostra condizione di poveri, di peccatori, di sfrattati, di abbandonati, di non conosciuti; la condizione di coloro che non sono, che sono rigettati, esclusi, che non hanno posto in questo mondo, che sono di peso, che non hanno nome. Nella sua nascita Cristo Gesù manifesta il nostro peccato, condanna il nostro modo pagano di pensare, di agire, di comportarci. Egli ci manifesta quella falsità satanica che ci ha segnati: egoismo, superbia, vanagloria, idolatria, empietà, negazione dei diritti dei fratelli e di quelli più elementari, essenziali; rivela il nostro mistero di iniquità che chiude l'uomo in se stesso e non lo fa aprire né a Dio e né al prossimo. Chi nasce è Dio stesso e ci insegna la comunione piena: Egli prende su di sé la nostra miseria, il nostro niente, anche il nostro peccato. Per Lui non c'era posto nell'albergo; non c'era posto neanche su questa terra, perché la terra appartiene all'uomo peccatore e Lui, il Santo ed il Giusto, il Signore, per stare su questa terra il tempo di salvarci è dovuto nascere in una grotta, non avere fissa dimora, fare il viandante ed il pellegrino, morire su una croce, risuscitare dal sepolcro, ritornarsene in cielo. Anche la Chiesa, corpo di Cristo, non ha spazio, non ha luogo, vive in un pellegrinaggio continuo, in una tensione di speranza, in una ricerca continua dell'altro regno, di quel paradiso che sarà la sua dimora eterna e il luogo del suo riposo. Dalla nascita di Gesù a Betlemme, dobbiamo imparare la non appartenenza alla terra, anche se su di essa dobbiamo vivere, operare, agire, svolgere la nostra missione per la salvezza delle anime. Grande è l'insegnamento del Natale: la terra non è il luogo "naturale" dell'uomo. Il Giardino dell'Eden era il suo posto naturale; la terra divenne luogo di abitazione solo a causa del peccato. Cristo Gesù, nascendo nella grotta, ci insegna che la terra non il nostro luogo, la nostra patria, la nostra terra; essa è solo via, cammino, deserto da attraversare, esilio, fino al compimento in noi della speranza eterna e del dono dell'eredità nel regno dei cieli. Egli ci insegna che è impossibile appartenere alla terra e a Dio, servire Dio e Mammona, il tempo e l'eternità. Egli rinunziò ad avere la terra, poiché volle essere tutto di Dio e fin dal primo istante in cui vide la luce come uomo vero e perfetto. Il Natale è questo mistero di assunzione, di non appartenenza al mondo, di povertà in spirito, di essenzialità, anche di denuncia dei mali che affliggono l'umanità che esclude e rinnega, toglie il diritto all'uomo di essere.