Sentiamo ormai la vicinanza del Natale. L’Avvento ci avvicina ad esso attraverso le sue quattro domeniche! La terza domenica d’Avvento ci offre sempre accenti particolari alla gioia, che si manifestano con colori caldi nella sua veste liturgica. La gioia è antitesi della tristezza e del timore. E perciò, invitando alla gioia, il profeta Sofonia proclama: “Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente. Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa” (Sof 3,16-18). Lo stesso invito alla gioia ripete San Paolo nella lettera ai Filippesi. Mentre il profeta ha annunziato la presenza del Signore in Sion, l’Apostolo preannuncia la sua vicinanza: “Rallegratevi nel Signore, sempre: ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!” (Fil 4,4-5). La consapevolezza della vicinanza di Dio, che viene per “essere con noi” (Emmanuele), deve rispecchiarsi in tutta la nostra condotta. E di questo ci parla la liturgia della terza domenica di Avvento soprattutto per bocca di San Giovanni Battista, che predicava presso il Giordano. Diversi uomini vengono da lui per domandargli: “Che cosa dobbiamo fare?” (Lc 3,10). Le risposte sono varie. Una per i pubblicani, un’altra per i soldati: invita i primi all’onestà professionale; gli altri a rispettare il prossimo nei semplici problemi umani. E tutti invita allo stesso atteggiamento, al quale avevano invitato i profeti in tutta la tradizione dell’Antico Testamento: a condividere tutto con gli altri; a mettersi al loro servizio secondo la propria abbondanza; a compiere opere di benevolenza e di misericordia. Queste risposte di Giovanni presso il Giordano le potremmo allargare e moltiplicare, trasferendole anche ai nostri tempi, alle condizioni in cui vivono gli uomini d’oggi. La sensazione della vicinanza di Dio provoca sempre domande simili a quelle che sono state poste a Giovanni presso il Giordano: “Che cosa devo fare?”. “Che cosa dobbiamo fare?”. La Chiesa non cessa di rispondere a queste domande. Basta leggere con attenzione i documenti del Concilio Vaticano II per constatare a quante domande dell’uomo contemporaneo il Concilio abbia dato le risposte adatte. Risposte indirizzate a tutti i cristiani e ai singoli gruppi, ai Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi, ai laici, alle famiglie, alla gioventù, agli uomini della cultura e della scienza, agli uomini dell’economia e della politica, agli uomini del lavoro... L’Avvento conduce ciascuno di noi, per così dire, “nell’interna stanza del suo cuore” per vivere qui la vicinanza di Dio, rispondendo alla domanda, che questo cuore umano deve porsi nell’insieme della verità interiore. E quando, così sinceramente e onestamente, ci poniamo questa domanda, al cospetto di Dio, allora si compie sempre ciò di cui parla Giovanni presso il Giordano nella sua suggestiva metafora: ecco il ventilabro per ripulire l’aia. Esso permette all’agricoltore di raccogliere il frumento nel granaio, la pula da bruciare col fuoco (inestinguibile) (cf. Lc 3,17). Proprio così bisogna fare più di una volta. Bisogna concentrarsi dentro di sé, con l’aiuto di questa luce, che lo Spirito Santo non ci risparmierà, delineare in sé e separare il bene e il male. Chiamare per nome l’uno e l’altro, non ingannare se stessi. Allora, questo sarà un vero “Battesimo”, che rinnoverà l’anima. Colui che “è vicino” (Fil 4,5) viene a battezzarci in Spirito Santo e fuoco (cf. Lc 3,18). L’Avvento – preparazione alla grande solennità dell’Incarnazione – deve essere collegato con tale purificazione, se quella gioia della vicinanza del Signore deve essere vera. La liturgia di questa domenica di Avvento ci indica la duplice fonte della gioia: la prima è quella che deriva dall’onesta realizzazione dei nostri compiti della vita; la seconda è quella che ci viene data dalla purificazione sacramentale e dall’assoluzione dei peccati. “Il Signore è vicino!”, annuncia San Paolo nella lettera ai Filippesi. Con questo fatto si collega l’invito alla speranza. Poiché, in quanto la nostra vita può opprimere ognuno di noi con un molteplice peso, “Dio è la mia salvezza” (Is 12,2). Ed ecco, come guardando verso il Giordano, l’Apostolo grida: “Non angustiatevi per nulla!, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti” (Fil 4,6). Non angustiatevi per nulla! Perfino così. Non dobbiamo realizzare i nostri doveri e i nostri compiti con tutta scrupolosità, come abbiamo sentito dalla bocca di Giovanni Battista? Certamente. Richiede da noi tutto ciò la vicinanza di Dio. Contemporaneamente però la stessa vicinanza di Dio, la sua Incarnazione, la sua salvifica volontà nei confronti dell’uomo, richiedono da noi che non ci lasciamo assorbire completamente dalle sollecitudini temporali; che non viviamo in modo tale come se fosse importante solo “questo mondo”, che non perdiamo la prospettiva dell’eternità. La venuta di Cristo, l’Incarnazione del Figlio di Dio, richiede da noi che apriamo nuovamente nei nostri cuori questa prospettiva divina. E questo proprio vuol dire l’Avvento! Questo vuol dire l’odierno “Rallegratevi”. La divina prospettiva della vita, che sorpassa le frontiere della temporaneità, è la fonte della nostra gioia. Questa prospettiva è anche la fonte della pace spirituale. Per l’uomo contemporaneo, che ha diversi motivi per l’inquietudine e per la paura, devono avere un particolare significato le ultime parole della seconda lettura d’oggi: “La pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Fil 4,7). Ecco l’augurio che la Chiesa rivolge ad ognuno dei suoi figli nella vicinanza del Natale.
Il Vangelo della domenica
Riflessione sulla liturgia della terza Domenica di Avvento
Gigliotti Saveria Maria · 9 anni fa