Donne che continuano a lavorare molto meno degli uomini, soprattutto rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea. I giovani non lavorano e non mettono su famiglia, in un’Italia ancora letteralmente “spaccata in due”, dove quasi il 62% delle famiglie che abitano al Sud guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord. Di fronte a questo scenario, l’Italia resta in coda ai Paesi europei per aiuti e sostegni da parte dello Stato alla famiglia. A quasi una settimana dall’inizio del Sinodo, potrebbe sembrare fuori luogo sviscerare freddi e asettici “numeri” per raccontare la famiglia oggi. Eppure anche con questa realtà, la Chiesa è chiamata a confrontarsi! I vescovi e soprattutto i sacerdoti, che vivono più davicino la complessità delle realtà familiari odierne, devono rapportarsi con un contesto in cui “fare famiglia” è sempre più difficile e la famiglia resta il soggetto debole, vittima di politiche economiche e sociali fallimentari che fino ad oggi si sono disinteressate della famiglia e non hanno creduto alla realtà familiare come risorsa su cui investire per far crescere il Paese. I dati del RapportSvimez dell’estate scorsa, che hanno scosso fortemente l’opinione pubblica e dato il la al solito ritornello di dichiarazioni e comunicati stampa “cuciti ad arte” per l’occasione, racconta un’Italia dove le famiglie in questi anni hanno pagato di più delle altre realtà sociali la crisi economicae l’assenza di qualificate politiche familiarinazioanli. Così scopriamo, dai dati comunicati solo qualche mese fa dallo Svimez, che dal 2011 al 2014 le famiglie assolutamente povere sono aumentate in Italia del 37,8% al Sud e del 34,4% al Centro-Nord. Ma nel 2013 una persona su tre nel Mezzogiorno era a rischio povertà, contro una su dieci al Centro-Nord. Sicilia e Campania le regioni dove il pericolo è più elevato. Allarmanti anche i dati relativi al calo demografico nel nostro Paese, in particolare nelle regioni meridionali: il tasso di fecondità al Sud è arrivato a 1,31 figli per donna, ben distanti dai 2,1 necessari a garantire la stabilità demografica, e inferiore comunque all'1,43 del Centro-Nord. Nel 2014 al Sud si sono registrate solo 174mila nascite, un livello che ci riporta al minimo storico registrato oltre 150 anni fa, durante l'Unità d'Italia. Nascite in calo anche al Centro-Nord e, per la prima volta, anche nelle coppie con almeno un genitore straniero, che in precedenza avevano invece contribuito ad alimentare la ripresa della natalità nell'area. A ben ragione, lo Svimez ha parlato di “uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così a pesare per il 27,3% sul totale nazionale a fronte dell'attuale 34,3%".La tanta invocata “parità” tra uomo e donna, quando si discute su temi “eticamente sensibili”, pare non susciti lo stesso attivismo quando è in gioco la crescita professionale delle donne italiane: sempre lo Svimez infatti ci ha segnalato nei mesi scorsi che in Italia lavora soltanto il 20,8% delle donne contro una media Ue del 51%. Parlare di famiglia, oggi, in Italia, significa dunque farlo in una società oggettivamente “vecchia” e che non presenta condizioni favorevoli perché le famiglie svolgano a pieno la loro funzione sociale. E se grandi economisti stanno progressivamente smontando la tesi della relazione tra “denatalità” e sviluppo economico – dimostrando invece che le politiche familiari riescono ad attivare circuiti positivi di crescita economica – l’Italia sembra non essere convinta di questa tesi e continua a “non credere” nella famiglia. Ce lo confermano, anche in questo caso, i dati di un’indagine del Centro studi ImpresaLavoro secondo i quali per il sostegno alla famiglia e alla natalita' l'Italia spende risorse pari a solo l'1,4% del Pil: una cifra sensibilmente inferiore al 2,2% del Pil che i paesi dell'Unione a 27 e dell'Area Euro spendono in media a favore dei nuclei con figli a carico.Tra i grandi paesi europei, peggio di noi fanno solo Portogallo (1,2%) e Olanda (1,1%) mentre il trend della spesa e'opposto nel Regno Unito (1,9%), in Germania (3,2%), in Francia (2,6%) e addirittura in Grecia (1,6%). Questo significa che ogni anno in Italia vengono stanziati e spesi per la famiglia 363 euro a cittadino. Una cifra in valore assoluto superiore a quella di Spagna, Grecia e Portogallo (dove pero' la vita costa sensibilmente di meno) ma nettamente inferiore a quella di tutti gli altri grandi paesi continentali. Tralasciando i paesi nordici e il Lussemburgo, che rappresentano eccezioni oggettive, non si puo' fare a meno di notare come in Germania la spesa pubblica a favore della famiglia sia tre volte superiore alla nostra: 1.049 euro a cittadino (686 in piu' dell'Italia). Meglio di noi fa anche la Francia con 792 euro pro capite (429 in piu'dell'Italia) e il Regno Unito con 569 euro pro capite (206 in piu' dell'Italia). Il nostro datoe' sensibilmente inferiore sia rispetto a quello dell'Unione Europea a 27, dove la media e' di 571 euro pro capite, che dei paesi che adottano la moneta unica dove in media si spendono per la famiglia 651 euro a cittadino. Se su altri temi la società italiana mostra una particolare apertura alla modernità e alla laicizzazione, sull’investimento nella famiglia assistiamo a una vera e propria involuzione, a un crescente disinteresse nei confronti del ruolo della famiglia nella società. Ma su questi temiscomodi, difficilmente assisteremo a scioperi della fame o a manifestazioni di piazza. Dimenticandoci che quando si parla di “sconvolgimenti demografici”, di famiglie che non ce la fanno ad arrivare a fine mese, di giovani che non riescono a costruire nuove famiglie, non è in gioco una “bandiera” o un convinzione ideologica: è in gioco il futuro stesso della società italiana.
Cultura e Società
Famiglia italiana: crescono povertà e denatalità. In coda ai Paesi europei per investimento nella famiglia
Paolo Emanuele · 9 anni fa