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La parola del Vescovo

Omelia per la S. Messa Crismale Chiesa Cattedrale 2 aprile 2015

Cesare Natale Cesareo · 10 anni fa

Omelia per la S. Messa Crismale Chiesa Cattedrale 2 aprile 2015

Il Signore vuole fare di noi uomini e donne felici. Con queste parole il nostro Vescovo Diocesano ha concluso l’omelia tenuta dinanzi a tutto il Clero Diocesano, in occasione della Santa Messa Crismale, celebrata il 2 aprile, XI anniversario di ingresso in Diocesi del Presule. Di seguito se ne offre il testo completo

Carissimi oggi celebriamo il dies natalis del nostro sacerdozio. La nostra Chiesa Cattedrale riecheggia il Cenacolo, il luogo in cui Gesù istituì l’Eucaristia prima della sua passione! Questa nostra celebrazione è anzitutto rendimento di grazie a Dio Padre, perchénel Figlio ci ha resi ministri della Nuova Alleanza. In questo giorno la memoria grata ci porta a ricordare e pregare in primo luogo per i sacerdoti ammalati o impediti. Non venga meno, per loro, il nostro sostegno. Ricordiamo anche il diacono Andrea Taiani, che in quest’anno ci ha preceduto nell’incontro col Signore. Undici anni fa, facevo il mio ingresso nella Diocesi di Lamezia Terme e, in questi anni, ho avuto modo di conoscere l’amore che voi sacerdoti avete per questo nostro popolo. Insieme abbiamo sperimentato la fatica che l’annuncio del Vangelo comporta, come anche la gioia di “portare frutto”. Ho conosciuto il vostro servizio e in molti anche la costanza nelle tribolazioni che non mancano mai. Per tutto ringrazio Dio perché, «Egli sopporta coloro che balbettano le grandezze delsuo amore e della sua grazia in Cristo Gesù» e ringrazio anche voi. Carissimi presbiteri ricordatevi che la dignità che Dio vi ha donato fa sì che «coloro che vi vedranno ne avranno stima, perché siete la stirpe che il Signore ha benedetto»[1] - così si esprimeva S. Basilio. è opportuno che ne siamo veramente consapevoli, pronti a vivere in maniera degna il nostro presbiterato, e rilanciarlo in uscita, allaricercadella pecora perduta. La gioia dell’Evangelo è un cammino di libertà: non è un peso, un macigno, ma un evento che accade, un impatto esistenziale con Cristo che trasfigura la nostra vita e l’umanità dei fratelli. Di questa gioia noi siamo ministri! Abbandoniamo perciò la ricerca di conferme e di sicurezze o rimpiantidi un certo passato. Occorre sentire in noi il brivido della vera libertà e della forza dirompente dello Spirito Santo. Un sano atteggiamento di libertà nell’annunciare il Vangelo ci immunizza dal “rintanarci” nei nostri gusti o di rifugiarci in uno sterile buonismo oaddirittura dal sentire la nostalgia delle bende di morte. Come dice il Santo Padre: «si sviluppa la psicologia della tomba che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo. Con il rischio evidente di formare cristiani con una tristezza dolciastra senza speranza, immancabile elisir prezioso del maligno» (cfr. EG 83). Riscopriamo in noi la carica profetica (non parolaia), dell’annuncio del Vangelo, che coinvolga prima di tutto la nostra vita, senza ritenerci troppo “maestri”, ma piuttosto diventando “testimoni” capaci di rendere ragione della nostra speranza. “Non lasciamoci rubare la gioia dell’Evangelizzazione” (EG 83). Oggi, solo la forza di una testimonianza consapevole ci permette di entrare nelle sfide attuali insieme ai tanti laici che, facendo l’esperienza della riscoperta del loro Battesimo e percorrendo veri itinerari di fede, sono pronti a coinvolgersi nell’annunzio del Vangelo. Senza i laici, non c’è pastorale di Chiesa ma di una sparuta porzione di Chiesa: ricordiamocelo bene! «Il Signore mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore». Nel giorno natale del nostro sacerdozio, risuonano ancora nel nostro cuore queste parole. Ci sentiamo come Gesù destinatari di un messaggio gioiosoda portare ai poveri? Sappiamo condurre gli uomini e le donne alla vera libertà che solo il Vangelo può dare? Carissimi c’è un lieto annuncio da portare con urgenza ai poveri, c’è una libertà da indicare, c’è una luce da far crescere. Questo fa un sacerdote! Per questo motivo, diceva S. Giovanni Paolo II, lo «Spirito del Signore è sopra di noi e ci consacra con la sua unzione… All’inizio del triduumsacrum… noi siamo invitati a leggere la profondità della nostra vocazione, che è ministeriale»[2], cioè a servizio dei poveri, dei prigionieri, dei ciechi, degli oppressi di oggi. Sono essi la categoria privilegiata dell’Evangelo. Per loro c’è un grido, un annuncio, una potenza, una “dynamis” (Rm 1,16). Il Vangelo accade mentre si annuncia. Non è un insieme di precetti, ma piste di vera felicità e genuina umanità. Una parola di mitezza quella di Gesù, che non si impone, ma che fa l’uomo veramente libero… cominciando da sé stesso. Solo una Chiesa “in uscita” esprime con forza questo annuncio della morte e resurrezione di Gesù, evento che abbatte i potenti e dà gioia agli umili e ai poveri. Carissimi fratelli, l’unzione che abbiamo ricevuto mediante l’ordinazione sacerdotale non può cadere nel vuoto o, non sia mai, nel vittimismo di nostre beghe, rubandoci la gioia della buona notizia. Occorre seminare senza risparmio e in comunione, in particolare col Vescovo, altrimenti rischiamo di disperdere prima o poiil nostro carisma presbiterale, o di snaturarlo coltivando il culto di unaerronea immagine di noi stessi. Per poter vivere questo ministero cerchiamo l’incontro, primariamente, con tante persone che sono in attesa del lieto annuncio del Vangelo. Non ci servono le dogane davanti alle chiese, ma le porte aperte! Non possiamo perdere il contatto con la gente, selezionando i nostri destinatari e rischiando di trasformarci in un “gruppo di eletti che guardano a se stessi” (EG 28), sui quali talvolta trasferiamo il nostro familismo possessivo. Anche in questo modo non si vive il celibato. Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium ci spinge a fare veramente nostra la scelta preferenziale di una Chiesa povera e perciò missionaria, “capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale per l’evangelizzazione del mondo, più che per l’autoconservazione” (EG 27). Il “comodo criterio pastorale del si è fatto sempre così” non può più sussistere (EN 33). La pigrizia, la ricerca di privilegi, di posti di onore, uniti a tanta mediocrità non ci tolgano “la dolce e confortante gioia d’evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime” (EN, 80). Per questo, Papa Francesco, visitando una parrocchia romana, ci ha ricordato che il primo comandamento della pastorale è la vicinanza! Carissimi, l’evento che ogni Giovedì Santo ci ricorda non ci deve far dimenticare che l’unzione, da noi ricevuta, è anche per noi! Essa infatti, come profumo ci avvolge e come olio ci penetra, poiché Egli “ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre” (cfr. Ap1,5-8). L’unzione con cui il Signore ci ha consacrati è Spirito di gioia, e Spirito di fortezza. Ed è su questo che vorrei soffermarmi con voi. Spirito di gioia! Carissimi, “il segno che il nostro cuore sta perseguendo il bene” è proprio la gioia! è l’annuncio del Vangelo che ci dà gioia; una gioia missionaria! Dire che ci è stato dato lo Spirito della gioia e che questa gioia è la prova del nostro ministero, significa riagganciare la nostra vita all’evento chiave e più gioioso della storia: la Pasqua. Nulla di sentimentale in tutto ciò. La Pasqua è la sorgente della Chiesa. La Pasqua è l’architrave e insieme il fondamento della vita di un presbitero! Conosciamo lo smarrimento profondo dei discepoli, dopo la morte di Gesù. Ma la gioia di aver scoperto il Cristo risorto, ha capovolto la loro vita: da tristi e rassegnati sono diventati uomini gioiosi e pasquali. Questa gioia ci spinge a darne l’annuncio. Se oggi non riprendiamo contatto con questa “fonte di gioia”, qualunque iniziativa di evangelizzazione rimane nell’ambito delle tecniche di pastorale, magari anche buone e utili ma purtroppo non decisive per una profonda conversione della vita delle persone. Il contrario di questa gioia non è il dolore, ma «una cronica scontentezza» che dà sempre la colpa agli altri, «un’accidia che inaridisce l’anima», un «cuore stanco di lottare», che «non ha più grinta» e non esamina più se stesso (EG n. 277). Questa tristezza è ciò che avvelena la vita di molte persone, compresi noi sacerdoti: è un tarlo mortifero! Se abbiamo gustato la vera gioia, non temeremo di smascherare l’insoddisfazione profonda che alberga in ogni chiusura in se stessi. Per questo motivo lo Spirito di gioia è anche Spirito di Fortezza. «Abbiamo certamente il tesoro dell’unzione in un vaso di creta, ma non ci perdiamo d’animo, perché la nostra potenza straordinaria appartiene a Dio, e non viene da noi» (cfr. 2Cor 4, 7). Cristo ha vinto il mondo, e lo vince anche attraverso il nostro ministero. La vita genera la vita. Anche per questo motivo, ogni sacerdote che vive veramente il suo ministero è attento a scorgere le vocazioni dei giovani e delle giovani. Occorre chiedere al Signore - per noi - una vera paternità in questo campo e osare di più e meglio nell’accompagnamento. Così, anche se ogni vocazione è dono dall’alto, Dio chiede la nostra collaborazione per donare più sacerdoti e consacrati alla sua Chiesa. Non siamo pigri in questo, ma amiamo la Chiesa. Siamo vigilanti, per non rattristare mai lo Spirito di gioia e di fortezza che ci abita con l’unzione. Non rattristiamolo: con tutto ciò che causa in noi scoraggiamento, amarezza e tristezza; con tutto ciò che causa fra noi divisioni, discordie o rotture! Quanto è triste talvolta, fratelli, constatare come là dove si dovrebbe esercitare la corresponsabilità ci sia invece critica e bieco disfattismo, con indignazione anche del popolo, se non addirittura scandalo in quei laici che sono veramente generosi nel servizio ecclesiale! Al contrario, il salmoci ricorda «Ecco, come è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! […] Perché là il Signore manda la benedizione, la vita per sempre». (cfr. Salmo 123) Carissimi, noi riceviamo tanti aiuti dalla Chiesa. Anche l’indizione del Giubileo della misericordia sia un invito a vivere e far sperimentare la misericordia di Dio, vera anima della nostra pastorale. Così anche noi, come nella sinagoga di Nazareth, vivremo “l’oggi” dell’anno di grazia del Signore, immersi anche noi, nella misericordia gratuita del Padre. Anche a voi, carissimi fedeli, chiedo preghiere per i sacerdoti. Sosteneteli perché non prevalga mai in loro la tristezza del cuore. Preghiamo poi per i diaconi e soprattutto preghiamo per i nostri carissimi seminaristi. Il Signore rinnovi la loro mente, perché possano chiaramente discernere la volontà di Dio sulla loro vita. In quest’anno della Vita Consacrata, un pensiero grato va ai religiosi e alle religiose. Specie a quelle sorelle che operano nei nostri piccoli paesi, spezzando la solitudine di tanti nostri malati e nostri anziani e sono portatori di gioia e speranza anche per i giovani, accerchiati da abbandono e solitudine. Veramente grazie! Ricordiamoci, fratelli che il Signore vuole fare di noi, uomini e donne veramente felici! è questa la vocazione cristiana per tutti. E pregate per me! Amen

[1]S. Basilio, Il Battesimo I. 2.

[2]Giovanni Paolo II, Lettera Lo Spirito del Signore 1 (10-3-91), EV 13/32.