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Cultura e Società

Lo studio è la migliore previdenza per la vecchiaia

Paolo Emanuele · 10 anni fa

«Lo studio è la migliore previdenza per la vecchiaia», diceva Aristotele, secondo Diogene Laerzio, in La vita dei filosofi. Mentre l’anno scolastico si apre, proponendo sempre il problema dei fondi e dei finanziamenti per la scuola, sembra utile ricordare questa massima antica che presenta lo studio, come la miglior forma di previdenza per la vita. Non si vuole parlare del divario tra mondo della scuola e del lavoro. Però certo si vuole ricordare che la scuola non è sinonimo di inutilità per la vita o di arretratezza. Una certa cultura ha portato ad ecclissare tante figure, che nella vita quotidiana, si è stati soliti chiamare “figure di riferimento”.Edmundo de Amicis nel libro Cuore aveva coniato questa frase: “Maestro: dopo quello di padre, è il più dolce nome che possa dare un uomo a un altro uomo” . è una frase ardita, forse un po’affettata, ma, senz’altro meritevole di riflessione. Ci troviamo in giorni, in cui si è fatto velocemente, piazza pulita non solo dei padri e delle madri, ma anche dei maestri e delle maestre. Anche nella Chiesa, citando a torto Paolo VI, si è voluto mettere in contrapposizione “maestri” e “testimoni” come se i testimoni non fossero maestri e i maestri veri, testimoni. Anzi l’uno è la cartina di tornasole della verità dell’altro. Nessuno di noi ha avuto maestri perfetti, come forse, anche padri e madri perfetti, ma aver cancellato queste “figure di riferimento” ha fatto crescere un senso di povertà e di smarrimento nelle giovani generazioni. Fino a pochi anni fa, nella Chiesa italiana occupava tanto spazio l’idea di un progetto culturale, ora il Convegno Ecclesiale di Firenze previsto per il 2015 sembra voler valutare questo aspetto, parlando di umanesimo cristiano. Un fatto è certo, se i frantumi delle giovani coscienze sono visibili a tutti, allora è necessario ritrovare un centro di gravità che stabilizzi un mondo di criteri, di principi e di valori che fanno parte di una cultura e di un’identità, che oggi sembrano essere scomparse. La persona, privata di padri e maestri, si trova continuamente insidiata dalla frantumazione e dallo smarrimento. Non mancano le esperienze, manca invece il criterio di interpretazione, il criterio di sintesi, in poche parole la capacità di leggere ciò che accade, in quanto il clima in cui viviamo tende a sfilacciare le persone e a frantumare i loro punti di vista. Non a caso un grande educatore cristiano, che amava parlare dell’educazione come rischio, mentre ricordava i giorni di insegnamento in un liceo, scriveva: «Fino dalla prima ora di scuola ho sempre detto: “Non sono qui perché voi riteniate come vostre le idee che vi do io, ma per insegnarvi un metodo vero per giudicare le cose che io vi dirò. E le cose che io vi dirò sono un’esperienza che è l’esito di un lungo passato: duemila anni”». Del resto per ogni maestro cristiano, lo scopo, sia che parli di Dante o di algebra, di scienze come di musica è poter mostrare quanto sia pertinente la fede alle esigenze della vita. Se si sfugge da questo compito, da questo impegno rischioso, difficilmente un maestro cristiano potrà essere un testimone cristiano, e vivere così la sua missione. Non è un caso che il Beato don Puglisi, da vero Maestro – ha insegnato matematica, per la cronaca- e Testimone, dicesse: “La scuola è il miglior rimedio contro la mafia”.

Don Roberto Tomaino