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Il Vangelo della domenica

Commento al Vangelo: Esaltazione della Santa Croce

Paolo Emanuele · 10 anni fa

La solennità dell’esaltazione della croce ci parla della meravigliosa ed incessante azione di Dio nella storia dell’umanità, nella storia di ogni uomo, donna o bambino. Difatti, la croce di Cristo sul Golgota è diventata per tutti i tempi il centro di questa opera di salvezza di Dio. Cristo è il salvatore del mondo, perché in Lui e per mezzo di Lui l’amore con il quale Dio ha tanto amato il mondo è continuamente rivelato: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Questa verità contenuta, nel Vangelo di questa festa, emerge con chiarezza come fulcro centrale del dialogo che c’è stato tra Gesù e Nicodemo. La conversazione ha avuto luogo di notte perché Nicodemo, un importante giudeo, andò a parlare con Cristo con la protezione delle tenebre. Cristo guidò quest’uomo, un maestro, fino al vero centro del mistero rivelato da Dio. è il mistero del Figlio di Dio disceso dal cielo e, poiché anche Figlio dell’uomo, ha portato a compimento la sua missione messianica tra il popolo di Israele. Questa missione era indirizzata verso “l’innalzamento” di Cristo sulla croce. Gesù dice a Nicodemo: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo” (Gv 3,14). Nicodemo conosce le Scritture approfonditamente: egli conosce il messaggio suggerito dal Vecchio Testamento. Egli può ricordare l’avvenimento che ebbe luogo durante il viaggio del popolo eletto nel deserto. Al comando di Yahwé, “Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta” (Nm 21,9). Questo serpente di rame avrebbe riportato la salute e salvato le vite degli Israeliti che erano stati morsi dai serpenti dotati da un veleno mortale. Ma il serpente fatto di rame e posto sopra una lunga asta sarebbe diventato un mezzo di salvezza: chiunque lo avesse guardato sarebbe vissuto. Proprio a lui, a Nicodemo, Gesù specifica che il “Serpente” divino che il Padre lascerà che venga innalzato sul monte Calvario per la salvezza dell’intera umanità è Gesù stesso, così che “chiunque crede in Lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14-15). La famiglia umana ha ricevuto all’inizio della sua storia terrena un morso mortale da parte del “serpente antico” (cf. Ap 12,9). Esso ha iniettato un veleno satanico – il veleno del peccato originale – nelle anime del primo uomo e della prima donna. E da quel momento in poi la storia dell’uomo sulla terra è stata oppressa dal peccato. La tendenza verso il peccato ha generato numerosi demoni nelle vite delle persone singole, nelle comunità delle quali fanno parte, nelle famiglie, in interi popoli e nazioni. Solo credendo in Gesù si potrà essere salvi, chi lo guarderà con fede guarirà. Chi invece si asterrà o si rifiuterà di farlo, resterà con il suo veleno di morte. Di certo mai potrà guarire, perché la guarigione è solo da Lui. L’innalzamento di Gesù al Calvario è un vero giudizio, perché è il dono di salvezza del Padre, dono di vita nel tempo e nell’eternità. Solo Lui è questo dono perfetto, completo, pieno, perenne, universale. Il Padre non ha altri doni di redenzione da offrirci. Se noi lo accogliamo, vivremo per la nostra fede in Lui. Se invece lo rifiuteremo, moriremo, ma solo per nostra colpa, perché non abbiamo accolto la grazia e la verità della nostra vita eterna. Chi non accoglie questa offerta rimane nella sua morte. Vi rimane perché nella morte vi è già. In più questa condizione ora viene aggravata dal suo rifiuto di accedere alla sorgente della vita. Non è Dio che manda sull’uomo la morte eterna. Questa viene scelta dall’uomo che non vuole e spesso anche si oppone nel credere nel suo Figlio Unigenito. Credere nel Crocifisso è fare propria la sua obbedienza, la sua verità, la sua grazia, il suo Vangelo, ogni sua Parola. La fede in Lui è la via unica per ogni uomo della vita eterna. Questo è il significato della croce di Cristo. Questo è il suo potere. “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,17). San Paolo guarda l’esaltazione di Gesù quale frutto solo della grande umiliazione, contempla nel Crocifisso la sua grande umiltà che si fa obbedienza fino alla morte di croce. Vede il suo annientamento e abbassamento dinanzi agli uomini, i quali lo prendono e lo inchiodano sul legno. Chi vuole essere vera sua comunità non può non imitarlo. Chi Lo imita non va alla ricerca di una gloria effimera, mondana, umana e terrena, cerca invece come vivere solo e tutta la volontà di Dio amando i fratelli, umiliandosi dinanzi a loro perché il suo servizio sia utile, fruttuoso, efficace. Chi contempla Cristo Crocifisso impara che si vive sulla terra non per fare la nostra volontà ma quella del Padre; non per servire noi stessi ma i fratelli; non per esaltarci bensì per umiliarci; non per rivestirci di superbia bensì per spogliarci di essa; non per arricchirci, ma per diventare i più poveri.