Ai piedi del Monte Subasio, tra la grotta di San Francesco e la Cappellina di Santa Maria, il Vescovo ha voluto offrire ai sacerdoti “giovani”, riuniti con Lui per un momento di formazione umana, un pensiero partendo dal capitolo 6 del Vangelo di Matteo. Di seguito l’omelia offerta ai presbiteri che hanno concelebrato l’Eucaristia
«Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». Ricevere dal Signore questa Parola così grande, in un luogo così bello e suggestivo come l’Eremo delle Carceri, è davvero una grazia particolare. Infatti, quest’Eremo è legato all’esperienza di preghiera e di solitudine di San Francesco. Qui, egli si ritirava in contemplazione, insieme ai primi frati. Le Fonti Francescane ci narrano che Francesco consegnava una parola al mattino che, i frati meditavano, durante tutta la giornata, lavorando e annunciando il Vangelo. La sera, poi insieme condividevano quanto avevano potuto leggere di se e della propria storia, alla luce di quella Parola. In cosa consiste la formazione umana, spirituale e integrale se non nel saper leggere con senso unitario tutta la propria vita alla luce di una Parola all’interno della Chiesa? Abbiamo terminato la nostra tre giorni di formazione in cui è stato bello sperimentare la fraternità, la crescita umana e spirituale. Del resto vi è ben noto, come la Santa Sede chieda espressamente questo impegno ai sacerdoti e ai Vescovi. A tal proposito sono convito, personalmente, che l’itinerario di formazione che distingue la nostra proposta sia sempre più valido e necessario, considerate anche le condizioni attuali in cui viviamo il ministero sacerdotale. Perché ci è necessaria la formazione permanente? Un antico detto dei Padri del deserto recita così: «All’eremita sono risparmiate tre battaglie: quella degli occhi, quella della lingua e quella delle orecchie. Gliene resta una: quella del cuore». La Scrittura ci avverte nel dirci che il cuore è un abisso, perché è il segno e il luogo dell’interiorità. Il salmista prega Dio così: «Insegnaci a contare i nostri giorni e conquisteremo un cuore sapiente » (90, 12). è facile, allora, comprendere come il cuore divenga anche la sede della volontà, delle decisioni e delle scelte. Il libro dei Proverbi è davvero lapidario: «Il cuore dell’uomo determina la sua vita». Per questo la Scrittura ci dice anche che è possibile avere un cuore «ingrossato/ ingrassato o indurito», volendo rappresentare l’ostinazione nel male. è quindi necessario «circoncidere il cuore» perché è dal cuore - come notava Gesù - che «escono le intenzioni cattive» (Mc 7, 21-22). Per circoncidere il cuore, il Signore si serve di tanti strumenti. In primis la grazia che riceviamo dall’ascolto della sua Parola e dai sacramenti, ma anche da tutti gli strumenti umani che la Chiesa mette a nostra disposizione, attingendo alla sua sapienza secolare e anche alle scienze umane. La formazione permanente è un modo concreto, con cui circoncidere il nostro cuore, perché ci ricorda che è un’illusione pretendere di vivere il ministero sacerdotale senza il confronto con se stessi, con il Vescovo e con gli altri. Così il libro dei Proverbi è lapidario: «Il cuore intelligente cerca la conoscenza» (15, 14). Quindi un cuore intelligente cerca non di chiudersi e di trincerarsi, ma desidera formarsi e si apre. Tutti sappiamo quanto siano sterili le chiusure e i pregiudizi e quanto sia difficile distinguerli da colpevoli omissioni che sfociano nell’accidia spirituale. La circoncisione del cuore è una prefigurazione del Battesimo e segnava l’inizio della vita all’interno del popolo eletto. Aveva un po’il senso della rinascita: grazia che vorremmo chiedere tutti noi, qui all’Eremo delle Carceri. Anche per Francesco questo posto è stata una rinascita. Infatti, proprio qui, frate Silvestro gli disse che non doveva vivere per sé solamente ma darsi anche all’apostolato. Una parola decisiva per tutta la storia della Chiesa, eppure affidata da Dio alla voce di uno sconosciuto fraticello. Per Francesco si è trattato di dover discernere tra una vita totalmente dedita alla contemplazione oppure dedicarsi all’apostolato. è stato un passaggio non facile da vivere, comune a molti santi. Del resto, anche per noi i passaggi non sono qualcosa di nuovo. Essi sono spesso momenti di oscurità, in cui non sappiamo ancora bene ciò che vogliamo diventare. Inoltre, la loro difficoltà è dovuta al fatto che possiamo sperimentare equivoci perché non entriamo nella logica di Gesù, ancòrati come siamo ai nostri schemi e alle nostre categorie. Che grande ostacolo all’apostolato è l’incapacità di mettersi nei panni degli altri. Mentre un altro grande ostacolo è la rigidità dei ruoli nei quali ci siamo rifugiati. Ecco allora che nascere di nuovo, “rinascere”, (a cui è finalizzata la formazione permanente), non è ripetersi quanto già detto. Non è cercare nuovi stimoli o nuove motivazioni per trovare quella spinta ad andare avanti. Rinascere è decidere di vivere in modo nuovo perché la vita ce lo chiede. è la storia, che ha sempre, un compito per noi. Rinascere è affrontare con i mezzi necessari, alcuni nuovi, altri già noti, le situazioni nuove che la vita ci mette davanti. Lasciamo che la grazia si serva degli strumenti che la Chiesa ci mette a disposizione, per affrontare la lotta del cuore che a nessuno viene tolta. Per vivere il sacerdozio abbiamo bisogno di un cuore circonciso, ferito per il Signore, capace di rinascere sempre con l’allegria e l’audacia dei giovani. L’augurio che si fa preghiera e benedizione, in questo luogo santo è proprio questo: «Tutto ciò che è nel tuo cuore va' e mettilo in opera!» (2Sam 7, 3).