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Vita diocesana

L’INSIGNE RELIQUIA DEL CUORE DI SAN CAMILLO

Paolo Emanuele · 10 anni fa

Di reliquie di San Camillo i nostri antenati ce ne hanno tramandate in modo copioso, ma la reliquia più preziosa e importante è sicuramente il suo cuore che attualmente è offerto alla venerazione dei fedeli di Lamezia e che da quattro secoli si conserva a Roma presso la Casa Madre dei Camilliani in Piazza della Maddalena, custodito gelosamente presso l’infermeria dove Camillo morì la sera del 14 luglio 1614 alle ore 21.15, trasformata in Cappella. Per la storia del cuore ci affidiamo al P.Sanzio Cicatelli, contemporaneo di Camillo, che giornalmente andava annotando quanto osservava del Padre Fondatore, compilando un prezioso “manoscritto” che gli permetterà di stampare subito all’indomani della morte una biografia. Parlando dell’espianto del cuore, ci riporta quanto affermato dal Padre Giacomo Mancini che al momento della morte era il Prefetto della Casa Generalizia di Roma. Per soddisfare la curiosità sulla causa della morte, ma soprattutto per estrarne il cuore come reliquia, furono chiamati due chirurghi dell’Ospedale Santo Spirito di Roma, dove Camillo aveva servito i malati per alcuni decenni e a lui molto devoti: il dottor Girolamo Bianchi primario e l’aiuto Michele Ercolini. Ecco il testo originale: “fu aperto per vedere di che male fusse morto, e stante che morisse con opinione di santità, fu risoluto che se ne pigliasse il Core, e quello se conservasse, sperando un giorno che si sarebbe venuto all’informatione delle sue rare attioni che però ne dovesse essere Beatificato, et così poi in mia presenza, levato detto core dal corpo, fu posto in un catino, e sopra un poco di aromi e di lì messo in una cassetta di cipresso, e detto da Padri che si mandasse in Napoli per dare parte del corpo alla Casa Professa, che fu la seconda da lui fondata”.Appena estratto, il cuore apparve di un rosso così vivo che:”pareva un rubino ed era di tanta grandezza che fece restare ammirati quanti lo videro”. Messa nella cassettina di legno di cipresso, la preziosa reliquia venne affidata al Padre Giovanni Califano che riferisce: “il Core, che io testimonio ritenni appresso di me per mia devotione et per la credulità di santità che io avevo, et ho, et per mia devotione domandai a Superiori licenza di portarlo a Napoli come reliquia, et mi fu concesso, et lo portai a Napoli”. Questo speciale affetto nutrito dal Padre Califano per il Fondatore è dovuto allo speciale privilegio che ebbe di assistere il Fondatore la sera della morte, il quale testualmente afferma:”Mi fece chiamare dicendo che voleva che io solo quella notte fossi appresso di lui”.Ma il profondo legame con il Fondatore non finisce quì: nominato poco dopo Superiore della Comunità di Messina, prima di andarvi, il Padre Califano fece al Padre Generale un’altra richiesta in merito al cuore di San Camillo: “ottenni da superiori di levarne un pezzo di esso et fu riposto nella Casa nostra di Messina dove è conservato come reliquia assieme con un coscino , che era sotto il suo capo quando spirò et un pezzo di tovaglia insanguinata pel core quando fu aperto, che sono conservati in Messina con detto pezzo di Core…”Questa fetta di cuore portata a Messina dal Padre Califano nel 1616( Insignem et Incorruptam Cordis Portionem) è stata conservata ininterrottamente e gelosamente fino ai giorni nostri, mentre la parte più grande rimase a Napoli conservata in un busto reliquiario d’argento. I religiosi però della città partenopea non si limitarono ad una privata venerazione, ma spinti dalla eccessiva devozione arricchirono con un ‘aureola la statua aggiungendo anche al nome di Camillo il titolo di Beato. Erano usciti da poco i decreti del Papa Urbano VIII che vietava in maniera forte tali abusi. La situazione evidentemente dovette degenerare se nel luglio del 1649 , l’Arcivescovo di Napoli, Ascanio Filomarino, sottrasse ai Camilliani la statua con il cuore e la fece trasportare nell’archivio della Curia. Il cuore poi passò nella sede della Inquisizione napoletana dove rimase per ben 93 anni. Nel 1742, dopo la beatificazione di Camillo, fu fatta istanza al Sant’Uffizio napoletano per la restituzione della reliquia,della quale se ne erano perse le tracce, dal Superiore della comunità camilliana di allora Padre Paolo Emilio Orenghi. Arcivescovo della città partenopea era in quel tempo il Cardinale Giuseppe Spinelli, particolarmente sensibile alle “Reliquie dei Santi”. Per rintracciare la preziosa reliquia, il Superiore indicava al Cardinale tre segnali particolari che ne potessero garantire l’autenticità: il primo era la smisurata sua grandezza come risulta dalle deposizioni dei testimoni, il secondo era che nel predetto cuore” si deve ritrovare una incisione per una porzione recisa quando fresco era e donata alla casa di Messina della stessa Religione, il terzo era” un odore di aromi balsamici e medicinali che i Padri vi posero sopra quando estratto fu dal deposito”.Viene celebrato il Processo con le testimonianze di tre Ufficiali della Curia di Napoli interrogati separatamente, dove le tre prove indicate dai Religiosi Camilliani e dai periti risultavano perfettamente aderenti alla realtà dei fatti, con la seguente conclusione:”Lo che tutto avverasi minutamente per giudizio fermo de’periti Tortora e Ventura nel Cuore, che ora ritrovasi .Resta dunque per vera la congettura, che quello del Beato Camillo sia, ad ogni altro dubio e congettura in contrario cade”. Era necessaria questa documentazione storica sul Cuore di San Camillo, perché dopo quattro secoli, per chiunque di noi è legittimo dubitare se non si esibiscono le prove che ne documentino l’autenticità. Al di là però della verità storica, il messaggio reale che la presenza del cuore vuole offrire ai credenti è il significato profondo che la presenza del cuore suggerisce a tutti noi: proprio San Camillo ripeteva spesso, soprattutto a quelli che assistevano i malati: “ Più cuore in quelle mani fratelli”.Volendo dire che ogni gesto della vita che noi compiamo ha un valore solo se compiuto con amore e con gioia, tanto più quando questi gesti si compiono verso coloro che soffrono e attendono dai noi una carezza e un sorriso. Concludo pertanto con l’augurio che Camillo rivolgeva a quanti si dedicavano al servizio degli infermi-e chi di noi oggi non ha in casa un bambino, un anziano, un disabile, un malato? Pertanto“Felici e Beati voi se potrete essere accompagnati al Tribunale di Dio da una lacrima, da un sospiro di questi poverelli infermi ! Siatene certi che andrete a godere Dio eternamente”.