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Cultura e Società

Dall’insegnamento di Benedetto XVI una traccia per lo sviluppo economico

redazione · 13 anni fa

Papa Benedetto XVI nella sua recente visita pastorale a Lamezia Terme, ha parlato della Calabria come una bella regione in cui però «riconosciamo una terra sismica, non solo dal punto di vista geologico, ma anche da un punto di vista strutturale, comportamentale e sociale; una terrà cioè – ha proseguito il Papa – dove i problemi si presentano in forme acute e destabilizzanti; una terra in cui si ha la continua sensazione di essere in emergenza».

Il Pontefice ha mostrato di avere piena consapevolezza che la realtà umana e sociale calabrese è, sotto certi aspetti, terremotata antropologicamente e necessita di un restauro umano più e prima che uno sviluppo di progettualità. Ci sono due aspetti dell’antropologia calabrese, riflessi nel carattere e nella socialità, che possono riassumersi in utopia e cinismo. Una visione utopica nel senso che spesso i calabresi pensano «qui non si può, altrove sì»; è, in un certo senso, una ricerca della terra promessa testimoniata poi dai tanti calabresi che riescono ad affermarsi in diversi campi, professionali, imprenditoriali, culturali, fuori dalla Calabria. C’è poi una sorta di cinismo, come se tutto ciò che avviene fuori dal proprio uscio non interessa. Da ciò discende anche una incapacità di lavorare insieme, di creare squadra, di sviluppare progetti che non siano individualistici. E anche l’incapacità di una competizione, in quanto chi riesce è visto solo con invidia e non come possibile esempio.

E’necessario quindi un realismo che parta dalla realtà oggettivamente presente, lasciando spazio a quelle idee, quelle tensioni positive, individuali e collettive, da cui può scaturire una genialità e una fecondità di opere capaci di generare l’economia nel corso dei secoli.

Ed occorre una responsabilità che coinvolge vari aspetti: costruire una realtà sociale ed economica positiva anziché attenderne passivamente i frutti, rispettare e valorizzare le risorse naturali, ambientali ed umane esistenti lottando contro la corruzione le mafie nelle attività di tutti i giorni senza lo sbandieramento di patenti auto attribuite di moralità e legalità.

E’come constatare il bisogno di una ricostruzione dell’umano, analoga a quella che avvenne grazie al monachesimo nel periodo medievale, ben descritta dal cardinale Newman.

«San Benedetto trovò il mondo sociale e materiale in rovina, e la sua missione fu di rimetterlo in sesto, non con metodi scientifici, ma con mezzi naturali, non accanendosi con la pretesa di farlo entro un tempo determinato o facendo uso di un rimedio straordinario o per mezzo di grandi gesta: ma in modo così calmo, paziente, graduale che ben sovente si ignorò questo lavoro fino al momento in cui lo si trovò finito. Si trattò di un restauro piuttosto che di un’operazione caritatevole, di una correzione o di una conversione. Il nuovo edificio che aiutò a far nascere fu più un aiuto che una costruzione (…). Uomini silenziosi si vedevano nella campagna o si scorgevano nella foresta, scavando, sterrando, e costruendo, e altri uomini silenziosi, che non si vedevano, stavano seduti nel freddo del chiostro, affaticando i loro occhi e concentrando la loro mente per copiare e ricopiare penosamente i manoscritti che essi avevano salvato. Nessuno di loro protestava su ciò che faceva; ma poco per volta i boschi paludosi divenivano eremitaggio, casa religiosa, masseria, abbazia, villaggio, seminario, scuola e infine città». (John Henry Newman, Historical Studies II)

Non più quindi l’inseguimento di progetti più o meno grandi di sviluppo imprenditoriale mossi più dalla ricerca dell’arricchimento fine a sé stesso, quanto l’ottica di uno sviluppo complessivo dell’umano che superi anche quel «sistema di economia assistita quasi esclusivamente pubblica e parassitaria.» denunciato ancora recentemente da un giovane politico emergente.

Certo la situazione da cui si parte non è facile. Da recenti dati dello Svimez, sostanzialmente confermati proprio ieri da Confindustria, emerge che nelle principali cinque regioni del Sud (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna) il PIL pro-capite è sceso negli ultimi 60 anni (precisamente dal 1951 al 2009) dal 65,3% al 58,8% in rapporto a quello del Centro-Nord. Ciò nonostante l’intervento straordinario prima e i fondi europei poi.

Il tasso di disoccupazione reale, cioè comprensivo anche di coloro che non si iscrivono nelle liste di disoccupazione e che il lavoro non lo cercano più, è nel 2010 del 25,3% (rispetto al 22,5 del 2008 e al 10,1 del Centro-Nord).

Altissima al Sud la quota di laureati, sul totale dei giovani, che fa parte della condizione NEET (non studio e non lavoro), ben il 26,9%, rispetto al 16,6% del Nord. Un dato, insieme ad altri correlati, che fa dire allo Svimez che al Sud si è passati dalla “fuga dei cervelli” allo “spreco dei cervelli” (brain waste), “una sottoutilizzazione di dimensioni abnormi del capitale umano formato che non ha neppure più la valvola di sfogo delle migrazioni”.

L’insegnamento che meno è stato recepito da tutti gli anni dell’intervento straordinario e delle cosiddette “Cattedrali nel deserto” è quello che lo sviluppo di un’area, di una regione, non può basarsi su dei progetti, spesso calati dall’alto e fini a sé stessi, senza tener conto della crescita del soggetto umano capace di interpretare e realizzare un percorso di sviluppo.

Solo così un vero sviluppo può essere costruito, evitando il parassitismo e l’assistenzialismo.

Storie di imprese e di uomini che vogliono questo tipo di sviluppo del Sud, e che resistono anche agli attacchi spesso portati da più fronti, ce ne sono anche vicino a noi, anche nella nostra Diocesi. Ed è da queste che si può ripartire ancora una volta.