Nella liturgia della quarta domenica di Quaresima, Cristo Gesù viene presentato quale Pastore Eterno dell’umanità intera, perché in Lui ogni uomo è scelto dal Padre come suo figlio adottivo e, per mezzo della sua opera redentrice, viene unito allo Spirito Santo, in modo da partecipare così anche alla Sua missione di “Sacerdote, Profeta e Re”. Queste verità, in un certo qual modo, sono anche rintracciabili nella prima lettura, tratta dal Primo Libro di Samuele, che narra la scelta e l’unzione del futuro Re Davide da parte del Profeta. Dal racconto dello storico episodio risulta che nell’Antico Testamento solo qualcuno era scelto dall’Altissimo per la realizzazione dei suoi disegni.
In questo caso, uno solo dei sette figli di Jesse fu scelto e consacrato re di Israele. La rivelazione di Cristo e l’insegnamento perenne della Chiesa affermano che invece, nel Nuovo Testamento, la scelta è universale: tutta l’umanità e perciò ogni singolo uomo è chiamato e scelto in Cristo a partecipare alla stessa vita divina mediante la grazia dell’“unzione” e della “consacrazione” del Battesimo e della Cresima. Difatti, con il battesimo il cristiano è fatto corpo di Colui che è la Luce del mondo. Questo passaggio che è avvenuto per via sacramentale, deve compiersi per volontà. Ogni giorno egli deve camminare di luce in luce. è ciò che nella seconda lettura raccomanda san Paolo ai cristiani della città di Efeso.“Un tempo eravate tenebra – scrive l’apostolo – ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce” (Ef 5,8). L’esortazione di san Paolo rimane sempre attuale: “Cercate ciò che è gradito al Signore” (Ef 5,10). “Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre” (Ef 5,11).Chi cammina nelle tenebre non può essere uomo di luce e chi cammina nella luce non può essere uomo di tenebra. Né si possono seguire contemporaneamente l’una e l’altra. Il discepolo di Gesù spesso è convinto che tenebre e luce possano coabitare nel suo corpo. La coabitazione non sarà mai possibile. O si segue la luce, o si cammina nelle tenebre. Si è colpevoli della propria tenebra e di quella creata in ogni altro uomo. Nella vita di fede non si può essere leggeri, superficiali; tutt’altro, occorre essere fermi, forti, risoluti perché le tenebre del mondo sono sempre in atteggiamento di aperta ostilità alla luce di Cristo a cui partecipa il credente. Talvolta, invece, c’è rifiuto e indifferenza, o anche critica ingiusta e parziale. Il racconto evangelico della guarigione del cieco nato, come ci è presentato dall’Evangelista Giovanni, mette bene in risalto questa contrapposizione, che è lotta astiosa e piena di invidia del mondo delle tenebre contro il regno della luce del Signore Dio. Quando la luce di Cristo viene rifiutata, allora il peccato del mondo rimane e le tenebre si eternizzano assieme alla morte, poiché si rinnega quella luce, l'unica, che rischiara il buio che è nell’uomo. Anche in questo il mondo attuale è in grave difetto: è nelle tenebre, ignora la luce, non fa niente per conoscerla, si ostina inoltre con caparbietà nel suo peccato e nella sua cecità, peggiorando di giorno in giorno il suo stato morale. Spetta ora all'uomo compiere gesti concreti di buona volontà, se vuole essere non solo illuminato da Cristo, ma anche riscaldato nel cuore e nella mente e reso capace di compiere il bene soprannaturale. Gesù, difatti, è il solo che può ridare la vera luce all’uomo, la luce eterna, spirituale, santa, divina, umana, universale, del cielo, della terra, perché solo Lui è l’Inviato di Dio per portare la guarigione al mondo intero. Il miracolo della guarigione del cieco nato dimostra proprio questo e, nel contempo, mostra la divinità di Gesù e la conseguente necessità di accogliere la Sua persona e il suo messaggio. Il cieco, una volta guarito, non sa ancora chi è Gesù, ma lo intuisce, e contro l’incredulità dei Giudei e il timore dei suoi stessi genitori, afferma: “Da che mondo è mondo, non si è mai sentito che uno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”. Quando poi Gesù gli dice chiaramente di essere il “Figlio dell’Uomo” e cioè il Messia, il Figlio di Dio, il cieco guarito non ha alcun dubbio e subito fa la sua professione di fede: “Io credo, o Signore”. Ecco quindi il significato immediato del miracolo operato da Gesù: Egli è veramente Dio, il quale come può immediatamente dare la vista ad un cieco, così tanto più può dare la vista all’anima, può aprire gli occhi interiori perché conoscano le Verità supreme che riguardano la natura di Dio e il destino dell’uomo. Perciò la guarigione fisica del cieco, che è causa poi della sua fede, diventa un simbolo della conversione spirituale. In questo modo Gesù riconferma la verità delle parole già da Lui pronunciate: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Cristo è Buon Pastore, perché è la luce delle nostre anime. Non resta altro da fare che credere in Lui, seguirlo, amarlo, ascoltarlo.