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Spiritualità

Può un giornalista aver bisogno del silenzio?

Paolo Emanuele · 10 anni fa

La giornata che inizia con il suono della sveglia e continua, scandita dal cellulare che squilla in media una volta ogni due ore, tra mail da leggere, persone da ricontattare, post, tweet, whatsup e chi più ne ha e più ne metta. Quanto è importante per un giornalista, per un operatore della comunicazione “il silenzio”? Che valore ha il silenzio per chi fa della comunicazione con gli altri, della parola, il suo pane quotidiano? Detta da volontari di un ufficio comunicazioni sociali, è una domanda provocatoria, venuta fuori in una domenica pomeriggio in cui, spenti i cellulari e archiviata ogni forma di public relation, si è dato spazio a una sola “Relation”, quella vitale: la relazione con Dio, il parlare a Dio “come si fa con un amico”, facendo silenzio, ascoltandosi, facendo tacere le altre voci per dare ascolto a una sola Voce.

In una domenica di marzo, a contatto diretto con la natura, meditando i momenti della Passione di Cristo nella Via Crucis, c’è una dinamica di “morte e resurrezione” che avviene anche in chi fa del parlare e delle relazioni 24hsu24 il proprio mestiere: crollano tutte le maschere, vengono meno tutte quelle identità costruite da noi stessi e, nel silenzio, ascoltando solo se stessi e ascoltando l’unica Parola che parla davvero al cuore, ci si sente “nudi”, si tocca con mano la propria fragilità umana e al tempo stesso la propria autenticità, ciò che si è veramente.

Nella meditazione della Passione di Cristo, ci si accorge che le parole pronunciate da Gesù dalla cattura nell’orto degli ulivi fino all’ultimo respiro sulla croce sono state molto poche: Gesù non parla di fronte a coloro che gli faranno del male, dirà solo poche parole di fronte ai sommi sacerdoti e a Pilato e poi le parole pronunciate dalla Croce, da dove affiderà la Madre al discepolo amato, griderà “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”, consegnerà al Padre lo spirito.

Di fronte ai silenzi di Cristo, è terribile accorgersi della vanità delle tante parole, della superficialità di una comunicazione ridondante che soffoca e schiavizza la vita. E mentre, stazione dopo stazione, procediamo nel cammino verso il “nostro” Calvario rivivendo i singoli attimi della Passione del Signore, ci si domanda: quanto bene, quanta ricchezza riceverebbe la nostra vita se riuscissimo a portare questi silenzi nella vita di ogni giorno? Se questo meditare su un Dio che senza fare rumore, senza far presa sui media, dona la sua vita per amore, segnasse i passi della nostra vita quotidiana?

Tornando alla domanda iniziale – a cosa può servire il silenzio a un operatore della comunicazione – penso che la risposta è proprio ciò che il silenzio ci lascia: quel senso di pace, quella serena consapevolezza che la vita non è fatta di grandi parate mediatiche ma da quei gesti che ci fanno mettere in gioco, quei gesti ispirati alla logica del dono di se, dell’amore che si offre gratuitamente e incondizionatamente. Il silenzio ci fa capire che la vita è fatta di attimi in cui è racchiuso il mistero più profondo della vita dell’uomo e che, se le parole o le tante relazioni della vita quotidiana lasciano il tempo che trovano, nel silenzio resti “tu” con la tua fragilità e la tua grandezza, senza maschere o artificiosità, ma solo tu che parli cuore a cuore con Chi ti conosce e di ama come nessun altro.

Forse per questo anche a un giornalista fa bene il silenzio. Fa bene a un giornalista credente, che nella sua professione è chiamato a testimoniare la sua fede in Cristo, ma a chiunque vuole cogliere oltre i rumori, oltre le parole, oltre le grandi parate, quel senso ultimo che indica l’orizzonte, il fine ultimo del cammino di ogni uomo.

“E’il silenzio la parte più grande di tutto il mistero di Cristo” scriveva David Maria Turoldo nell’opera “Anche Dio è infelice”: “come dire Dio e che cosa dire? Dio che tace non è già un annuncio? Tanto più che è difficile dire se Dio sia un suono oppure il silenzio ... Di contro non stanno che le nostre parole sfocate; i nostri discorsi inutili e interminabili; e tutti uguali, questo gran dire, che poi non muta nulla, non trasforma, non fa soffrire nessuno.... Io penso veramente che Cristo abbia sofferto di più nel decidersi a parlare che nell’accettare la passione. Articolare un mistero dentro sillabe; dare un suono al silenzio; creare un’immagine a ciò che è al di là di ogni immagine: questa la grande impresa di Gesù”