Quanto è lunga la distanza che intercorre tra il potere suggestivo, e propulsivo, delle parole e la presa di coscienza di una realtà radicalmente differente? Molto lunga probabilmente, soprattutto se si considera che la realtà non è una sola, ma cambia contestualmente a seconda delle varie differenze geografiche, culturali o ambientali, tanto da rendere disomogeneo l’ancoraggio delle parole ad una oggettività piuttosto che ad un’altra. Capita quindi che a determinati discorsi non corrisponda una realtà confacente a quegli stessi discorsi, che dimostri cioè di esistere proprio grazie alla messa in pratica di determinati principi. Si prenda la cronaca degli ultimi mesi in Calabria: uno degli eventi che ha aperto il 2014 di Lamezia Terme è stato l’incontro con la giornalista Paola Bottero in occasione della presentazione del suo ultimo libro, “Carta Vetrata”, in cui l’autrice, di fronte agli studenti del liceo Campanella, ha spiegato come il suo romanzo sia nato dalla necessità di parlare di giornalismo per distinguerne quelle parti ancora “pure” da quelle invece manipolate da obblighi di spettacolarizzazione della notizia a tutti i costi.
Ma soprattutto ha voluto ricordare il valore etico dell’informazione, che dovrebbe essere libera, e quindi il diritto irrinunciabile del giornalista a poter indagare la realtà senza restrizioni di sorta. Proprio da Lamezia si era alzato dunque un appello, proveniente peraltro da una voce autorevole del settore, al rispetto della professione giornalistica e in generale di tutti i soggetti che fanno informazione. Un appello al quale, curiosamente, nell’arco di appena due mesi la realtà calabrese ha “risposto” portando sotto i riflettori della cronaca prima il caso del quotidiano “l’Ora della Calabria”, che non sarebbe andato in stampa in una delle sue edizioni (il condizionale è d’obbligo visto che nulla è stato ancora accertato) a seguito di presunte pressioni politiche affinché non uscisse un determinato articolo, e poi, quello più recente, del cronista de “il Quotidiano della Calabria”, schiaffeggiato per aver tentato di scattare una fotografia ad uno dei personaggi coinvolti nell’inchiesta sulle consulenze d’oro all’Asl di Cosenza. Due fatti che, qualora fossero confermati, adombrerebbero ulteriormente l’immagine della nostra regione e insinuerebbero il dubbio, legittimo, che in Calabria non si possa difendere il valore etico dell’informazione e il diritto costituzionale che ne costituisce il sostrato. Naturalmente la minaccia alla inviolabilità di una corretta informazione non è un problema solo della Calabria, e la cronaca in questo senso ci restituisce democraticamente, purtroppo, casi analoghi a quelli presentati in questa sede consumati in ogni dove, sia in Italia che all’estero. La sensazione però è che in alcuni contesti, magari nelle realtà più piccole e meno abituate a stare sotto i riflettori di quello che è ormai un “circo mediatico” globale, la carta risulti, prendendo in prestito il titolo del romanzo della Bottero, ancora più “vetrata”, ovvero più ruvida, più scomoda. Serve parlarne allora, portare allo scoperto i fatti per stimolare giudizi e opinioni, creare dibattito. Parlarne bene o male, purché se ne parli.