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La parola del Vescovo

Celebrata in Diocesi la Festa della Vita Consacrata

Paolo Emanuele · 11 anni fa

Domenica 2 febbraio, Festa della Presentazione del Signore al Tempio, come tradizione si è celebrata la Giornata di Preghiera Diocesana per il Clero e la Vita Consacrata. Monsignor Cantafora ha celebrato l’Eucarestia per le sorelle religiose della Diocesi, domenica mattina alle ore 12.00 presso l’Oasi Bartolomea. Di seguito l’omelia. 1. Con gioia celebriamo la festa della Presentazione di Gesù al tempio che, come sappiamo, è vissuta con grande intensità da tutte le famiglie religiose maschili e femminili. La presentazione di Gesù al Tempio, come ci ha annunciato il profeta Malachia, è vista come la “presa di possesso” del Tempio; il Signore entra nel luogo che è il suo: «e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate, l’angelo dell’alleanza che voi sospirate…».

Gesù dunque “viene presentato”, segue le prescrizioni della Legge, ma in realtà con questo gesto, viene incontro al suo popolo che l’attendeva con fede. Gesù trasforma un “dovere” in un atto di misericordia! Egli entra nel Tempio, si fa in tutto simile agli uomini, chiamandoli “fratelli” e dichiara di prendersi cura «della stirpe di Abramo».

Qui è racchiuso il senso di tutta la vita religiosa: è il dono di noi stessi al Signore per i fratelli.

2. Ora ciò non avviene senza “il sangue”. Non voglio che pensiate ad un discorso “cruento”, ma vitale e di offerta.

Entriamo nel testo.

Dopo la nascita di un bambino, in Israele, occorre ottemperare a tutta una serie di prescrizioni. Si nasce nel sangue e questo comporta una grande “impurità legale” perché il sangue è legato alla vita e la vita è di Dio (cfr. Gen 9,4-5).

Per questo occorre purificarsi dal sangue “pagando” il prezzo del riscatto. La madre che ha dato alla luce il figlio lo fa in un modo; il figlio, che dal sangue ha preso vita, lo fa in un altro.

La purificazione della madre e l’offerta del figlio, con il riscatto espiatorio adeguato (un agnello o, come in questo caso, le tortore o i colombi) vanno di pari passo, ma non hanno lo stesso significato.

La madre viene purificata, il figlio viene offerto o riscattato con un animale. Il rito è molto antico e risale ai tempi dell’Esodo: «Consacrami ogni essere che esce per primo dal seno materno tra gli Israeliti» (Es 13,2).

Nel caso di Gesù c’è l’uno e l’altro. Maria e Giuseppe offrono il figlio e insieme portano l’offerta espiatoria dei poveri.

«Tu non hai voluto né sacrificio né vittima, un corpo invece mi hai preparato», recita il salmo 40.

Gesù paga in anticipo – diciamo così – il prezzo che tutto Israele deve al suo Dio per aver sacrificato i primogeniti dell’Egitto, paga il prezzo del nostro peccato che completerà con la morte in croce.

Per questo motivo, l’autore della Lettera agli Ebrei rilegge in chiave cristologica questo evento: «Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita».

3. Gesù, offrendosi, assume il debito del nostro peccato, Maria con la purificazione, diventa la sposa che si prepara alle nozze, immagine della Nuova Gerusalemme che scende dal cielo.

Questa immagine della purificazione della donna ci rimanda infatti, alla figura femminile di Ezechiele 16 che il Signore lavò dal sangue in cui si dibatteva, per farla sua sposa. Per diventare spose occorre un’offerta. Anche questo passaggio non avviene però senza il sangue: «anche a te una spada trafiggerà l’anima».

Ai piedi della croce Maria, attraverso il sangue del Figlio, diventerà sposa del Dio vivente e al tempo stesso, madre di tutta l’umanità.

è trascorso poco più di un mese dalla nascita di Gesù e siamo trasferiti immediatamente alla Pasqua del Figlio di Dio.

Questa è la luce attesa da Simeone: un uomo trasformato dalla speranza della fede che trasforma il peso dei suoi anni in gioia, perché l’incontro è avvenuto. Ora può morire, perché per Lui «vivere è Cristo e morire un guadagno».

Il suo corpo non può contenere più tanta grandezza, racchiusa in un piccolo d’uomo.

La scena si conclude così al femminile con la presenza di Anna, profetessa, vedova. Anche lei si ricongiunge al suo Sposo.

Tutte le figure, tra offerta, attesa e speranza, sembrano una sorta di parabola umana verso la Pasqua del Signore e la nostra stessa pasqua.

Tutte confluiscono infatti verso la pienezza dell’incontro con Dio riconosciuto come Sposo, Signore del tempio e della vita.

A lui aneliamo, Lui cerchiamo, Lui solo desideriamo e, per questo a Lui ci offriamo.