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Cultura e Società

La dignità del lavoro ai tempi della crisi

Paolo Emanuele · 11 anni fa

Il ricordo di Daniele Gasbarrone, Alessandro Panella ed Enrico Amati, gli operai caduti sul lavoro a Lamezia, non può ridursi alla fredda cronaca o ad un necrologio. La loro drammatica scomparsa ci consegna l’obbligo di occuparci e preoccuparci della sicurezza sul lavoro. Tema di immane peso sociale, che necessita di un’azione efficace: un’azione che non può limitarsi a semplici provvedimenti o enunciazioni di principio. Dopo tutto, una normativa organica in materia esiste già dal 1994: a mancare è la cultura della sicurezza e della prevenzione. Ciò si riflette nell’assenza di controlli stringenti e nella debole applicazione delle leggi, soprattutto in settori produttivi a rischio come l’edilizia, l’industria e l’agricoltura.

In Italia, da anni si consuma una “guerra civile silente”. Gli incidenti mortali, rilevati dall’Inail nel 2012, sono stati 790, in calo rispetto agli anni precedenti, ove le tragedie professionali avevano superato quota mille. Nel 2013, siamo già a quota 305 vittime (dati aggiornati a luglio); la cifra diventa sconvolgente se si sommano gli infortuni e le denunce relative a malattie professionali.

Sono numeri violenti dietro cui si cela il dramma di mogli, mariti, genitori e figli. Tale angoscia coinvolge anche la Chiesa: una Chiesa che ha scelto di stare tra i suoi figli, di vivere la società, di attraversare i problemi, risolvendo in chiave cristiana le inquietudini dell’Uomo.

Dopo tutto, la dignità del lavoro è un valore evangelico, radicato nel più ampio valore della dignità umana. Nell’esortare i cristiani all’operosità, che è maestra di virtù, Paolo ammonisce: «Chi non vuole lavorare, neppure mangi» (2Ts 3, 10) perché solo con «l’impegno quotidiano, sereno e operoso ci si prepara all’incontro con Cristo». Il lavoro come strumento di riscatto per l’umanità; il lavoro come metafora e sintesi dell’impegno; l’impegno come mezzo per raggiungere il “pane celeste” ossia la salvezza. Quel lavoro che è al centro dell’opera contemporanea della Chiesa attraverso il Magistero sociale. Un Magistero che si esprime non solo attraverso la Parola ma mediante l’azione di Francesco, Vicario di Cristo: «Custodire il creato, custodire l’uomo con un lavoro dignitoso sia impegno di tutti» (Incontro con il mondo del lavoro, Cagliari, 22 settembre 2013). Con ciò, il Santo Padre ha richiamato l’universo cristiano e laico alla responsabilità.

Il Pontefice, nella recente visita in Sardegna, ha incontrato lavoratori, famiglie ed imprenditori: l’isola, colpita dalla grave crisi del settore minerario ed estrattivo, è l’emblema dei malesseri che sfiancano il mondo dell’occupazione. «Lavoro, lavoro, lavoro. è una preghiera necessaria. Lavoro vuol dire dignità, lavoro vuol dire portare il pane a casa, lavoro vuol dire amare». E di lavoro, in qualche caso si muore, come è accaduto agli operai della Ilsap: sintomo di un “sistema economico idolatrico”, che accantona l’Uomo per dare centralità al profitto. Eppure, ci insegna il Papa, «Dio ha voluto che al centro del mondo non sia un idolo bensì l’uomo, l’uomo e la donna, che portino avanti, col proprio lavoro, il mondo. Ma adesso, in questo sistema senza etica, al centro c’è un idolo e il mondo è diventato idolatra di questo “dio-denaro”». Quello stesso “dio-denaro” che spinge a risparmiare ed a transigere sulle misure di sicurezza e prevenzione e che genera inevitabili tragedie.

Ciò pesa ancor di più sulla Calabria, schiacciata tra la disoccupazione giovanile, il lavoro sommerso, gli incidenti sul lavoro e le nuove migrazioni. Tutti questi drammi impongono una presa di coscienza e di responsabilità, oltre che una risposta a tutti i livelli. Altrimenti, cadranno gli anelli deboli: i lavoratori ed «i giovani che non trovano il lavoro e la loro dignità… perché è difficile avere dignità senza lavorare». Ed una società senza dignità non può contare su un solido futuro.