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Cultura e Società

Alla riscoperta del nostro dialetto, retaggio di cultura e tradizione

Antonio Cataudo · 12 anni fa

Attenzione a come si parla: no, non vuole essere un monito a qualcuno affinché moderi il linguaggio e rifletta su quello che dice, ma un consiglio che introduce una riflessione, e cioè che si faccia attenzione “letteralmente” a come si parla, al linguaggio che adoperiamo normalmente. La nostra lingua è l’italiano, perlopiù ripulito da tutte quelle componenti localizzanti in modo da essere “buono per tutte le occasioni”, sia che si abiti al Nord, che si faccia un week end a Roma o si passi l’estate in Calabria. Un Italiano insomma nazionale e omnicomprensivo, modello standard per le scuole, i mezzi di comunicazione e per l’editoria, che nulla denota del luogo di origine di un individuo, salvo cadenze e altri segnali fonetici inequivocabilmente aderenti ad un territorio.

Ma quanto può essere positivo, soprattutto in un periodo di forte dispersione culturale e di perdita delle tradizioni, comunicare soltanto con una lingua comune e mettere da parte le tanto discusse e criticate forme dialettali regionali? Si pensi per un momento alle origini della nostra lingua: l’Italiano, nella sua forma attuale, altro non è che una lingua romanza, discendente sostanzialmente dal volgare fiorentino trecentesco, che per molto tempo è stato l’alternativa popolare, e più diffusa, al latino dotto ed elitario utilizzato di solito dagli studiosi. Se Dante Alighieri, da tutti considerato il padre della lingua italiana, scriveva in un linguaggio decisamente localizzato, pieno di espressioni tipiche della sua regione, e se proprio da lui è poi partito quel processo di “italianizzazione” che ha poi portato ad una lingua nazionale, questo dovrebbe dare la giusta idea di come la nostra lingua, per quanto possa essere depurata e de-localizzata, non può fare a meno di ammettere, quanto meno in parallelo, l’utilizzo delle sue varianti regionali, i dialetti. Purtroppo ormai comunicare con un sistema linguistico che non sia quello nazionale è visto con una certa diffidenza, spesso viene erroneamente interpretato come un segno di arretratezza, chiusura mentale se non addirittura di ignoranza o mancanza di cultura; eppure è un’ombreggiatura che male si lega a quello che invece è il vero significato, profondo, delle forme dialettali. Al di là delle persone più anziane che sono nate e cresciute parlando il dialetto, è importante sentire, soprattutto per noi giovani, un senso di appartenenza alla nostra terra anche attraverso la conoscenza del dialetto, da non dover utilizzare per forza in ogni circostanza, ciò sarebbe impossibile, ma quantomeno da avere appreso e, nel caso, saper parlare in occasioni in cui sia possibile farlo. Perché il dialetto non è solo una lingua, è un retaggio della nostra tradizione e delle nostre origini, una sorta di filigrana che distingue la storia della nostra terra da quella di un’altra. In cosa potremmo definire la nostra “calabresità” se non nell’unicum, nella specificità di un mezzo di comunicazione come il linguaggio! La storia della nostra regione è tutta nel dialetto, anzi “nei dialetti”: sì perché uno dei motivi di fascino, una peculiarità solo della Calabria, consiste nell’avere una più che evidente diversità linguistica anche all’interno della nostra stessa regione, dovuta alle diverse influenze lessicali susseguenti a diversi tipi di colonizzazioni, dominazioni e incursioni di vari popoli, come arabi, greci, romani. Per questo il sostrato del nostro dialetto è in qualche modo multi partito tra latino, greco, arabo e francese. Il suo essere poi così aspro, difficile, la durezza delle sue parole pronunciate alle volte con aggressività, non può essere miglior testimonianza di un processo evolutivo di un territorio forgiatosi attraverso mille sacrifici, calamità, naturali prima e sociali poi, di un microcosmo che ha dovuto fare a spallate per farsi spazio in una nazione piena di prevaricazioni e pregiudizi molto spesso superficiali.

Ad oggi si riscontra una crescita continua dell’uso dell’italiano nei confronti delle diverse forme dialettali, seppure a ritmi meno sostenuti rispetto agli anni compresi tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta. La buona notizia è che a fronte di una diminuzione dell’utilizzo esclusivo del dialetto, un dato evidente e anche giusto dal momento che tutti devono saper parlare bene l’italiano, c’è parallelamente un significativo aumento dell’uso alternato di italiano e dialetto. Un segnale di ripresa forse, una ritrovata convinzione che il dialetto non può non fare parte integrante del patrimonio linguistico e culturale dei lametini, dei calabresi e degli italiani in generale.

In questo senso è interessante segnalare a Lamezia Terme iniziative importanti a “tutela”, se cosi vogliamo dire, della nostra lingua locale. è tornato infatti anche quest’anno il teatro dialettale grazie alla rassegna “Vacantiandu 2012”, presentata dalla compagnia teatrale “I Vacantusi” e il Comune di Lamezia Terme con un cartellone dedicato alla tradizione del teatro vernacolare. La manifestazione, iniziata ufficialmente a fine dicembre ma con il programma degli spettacoli che proseguirà fino ad aprile 2013, vede la partecipazione anche di compagnie itineranti provenienti da altre regioni; la location, suggestiva, è quella del teatro Politeama. Il dialetto si fa così addirittura “evento” attraverso il veicolo artistico, e privilegiato, del teatro. La speranza è che non rimanga relegato alla sola forma artistica, e un po’nostalgica, che rimanda a qualcosa che non c’è più, ma che anche attraverso iniziative come questa trovi nuova propulsione per entrare di nuovo nella nostra vita quotidiana.