Educazione e formazione permanente dei laici impegnati nella società, nella politica e nell’economia. Promuovere la coerenza tra fede ed azione. Superare la tentazione dell'indifferenza. Questi gli obiettivi della Scuola di dottrina sociale, attivata dalla Diocesi di Lamezia Terme e promossa da Mons. Luigi Cantafora. A Nocera Terinese ha avuto luogo il secondo incontro dell’anno pastorale 2012-2013, condotto da padre Giulio Parnofiello, titolare della cattedra di Etica e Teologia morale, presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. Ad introdurre la lezione il prof. Alfredo Saladini, membro della Commissione per le Comunicazioni sociali e la Cultura.
Tema della serata: “Educare alla cittadinanza responsabile”. Il concetto di cittadinanza responsabile investe la visione cristiana della vita pubblica, una cittadinanza intesa come spazio per l’esercizio delle responsabilità. La trattazione di padre Parnofiello si è articolata in tre punti: percorso storico del concetto di cittadinanza; il rapporto tra fede cristiana e cittadinanza; la relazione tra dottrina sociale e cittadinanza.
Quanto al primo profilo, la ricostruzione è partita dalle società antiche. Qui, il rapporto politico tra singoli e polis, era passivo, privo di partecipazione attiva (se si eccettuano alcuni casi esemplari, come la democrazia ateniese). Il cittadino «obbediva senza discernere e la società politica s'identificava con un esercizio di autorità non partecipativo». L’incarnazione di Cristo e la diffusione del Cristianesimo hanno cambiato l’umanità ed il mondo: ciò ha prodotto profondi riflessi sulla società, «desacralizzando il potere, riducendo la cittadinanza al campo della mondanità». Si è determinata una scissione tra le due dimensioni, tra cittadinanza religiosa e cittadinanza politica, tra membro della Chiesa e membro della polis, tra ciò che appartiene al Cielo e ciò che appartiene alla terra. In età moderna, con l’affermazione degli Stati-nazione, la cittadinanza ha assunto un senso pieno, si è fatta portatrice di diritti individuali. Hanno iniziato a manifestarsi le relazioni tra individui e Stato, identificate da diritti e doveri. Tra questi ultimi, il lavoro inteso come contributo attivo al benessere ed alla vita della città e le tasse, come strumento di riallocazione delle risorse tra soggetti attivi ed inattivi.
La seconda sfera, quella attinente al rapporto tra fede e cittadinanza, non può prescindere dal riferimento ai testi sacri. Nelle Scritture, non è presentata una visione, una definizione dettagliata della città terrena. Anzi, la città terrena, emblema della mondanità, assume una connotazione negativa: nelle Antiche Scritture, è Caino a fondare la prima città per ripararsi dal delitto e dal peccato mortale, per sfuggire agli occhi del Creatore. Invece, alla fine della Scrittura e del Nuovo Testamento, la città per eccellenza diventa la “Città celeste”, il luogo della comunione e del compimento della salvezza. Tale differenza si può cogliere nel Salmo 107: il salmista per superare le difficoltà concettuali, legate alla città terrena, deve ricercare una definizione nuova e positiva, coniando il termine “città dove abitare”. è l’opera dei padri conciliari a segnare una tappa decisiva: la Chiesa in quanto tale è segno di unità, non è un'altra città ma un modo per vivere nella città degli uomini (Lumen Gentium). La Gaudium et Spes sancisce «la permanenza del bene nella vita eterna, purificato da ogni macchia, trasfigurato»: i valori umani come dignità, comunione e libertà riceveranno continuità nell’eternità. «Ciò dà pienezza di significato alle azioni compiute nella città terrena» perché «la Chiesa cammina con l'umanità» (Gaudium et Spes, 40). Cristo ci chiede «di essere umani fino in fondo ed in senso pieno, di umanizzare la vita degli uomini: quel Cristo che ha amato più di ogni altra cosa l’umanità, donando se stesso. Il Signore richiama, quindi, il cristiano «ad un’esperienza di maggiore e più intensa umanità: un’umanità a cui ci doniamo e dalla quale riceviamo perché il mondo è comunque frutto ed opera del Creatore».
Il terzo e conclusivo aspetto è quello più pregnante proprio perché la dottrina sociale fa parte dell'Annuncio, della missione della Chiesa. La dottrina distingue tra la cittadinanza secolare ossia l’appartenenza ad una società configurata in forma statale; la cittadinanza ecclesiale che identifica l’appartenenza alla Chiesa, attraverso la metafora del corpo e delle membra e la distinzione delle funzioni che si esercitano; la cittadinanza escatologica per cui la vera patria dell'essere umano è il regno di Dio, che ci attende nella comunione. Caratterizzante, sotto il profilo della dottrina sociale, è il bene comune inteso come principio. Il bene comune, in questo senso, è un criterio di discernimento a cui il cristiano impegnato si converte: l’impegno del cristiano nella città secolare dev’essere orientato proprio al «bene comune, inteso non mera somma di beni individuali ma come tensione, come priorità alla comunione. Si tratta - ha sottolineato padre Giulio - di avviare un percorso di ripensamento delle priorità, di vivere il rapporto con la responsabilità in maniera piena, come Benedetto XVI ci insegna in modo esemplare».