Stiamo arrivando al termine di questa legislatura e le ultime Conferenze Unificata e Stato-Regioni hanno approvato alcuni fondamentali accordi in tema di Apprendimento Permanente. Dalla ridefinizione del sistema IFTS all’accordo sull’Orientamento Permanente, dall’intesa sull’Apprendimento Permanente allo schema di decreto legislativo sul sistema nazionale di certificazione delle competenze: per gli addetti ai lavori si tratta davvero di una rivoluzione culturale, trasversale peraltro a tantissimi ambiti di attività (dal mondo del lavoro, all’istruzione, all’orientamento, alla formazione professionale).
Risultati importantissimi, certo non casuali o sporadici, ma frutto dell’intenso lavoro interistituzionale di questi ultimi mesi scaturito dalla definizione della legge n.92 che, al di là delle valutazioni e degli aspetti per i quali è probabilmente molto più conosciuta e dibattuta (revisione articolo 18, nuovi ammortizzatori sociali, nuovo quadro contrattuale del mercato del lavoro, nuove tutele del lavoratore ecc.) ha avuto sicuramente il pregio di introdurre, grazie soprattutto al suo art. 4, un nuovo paradigma di riferimento: l’Apprendimento Permanente, la versione italiana del più famoso concetto del Lifelong Learning di origine comunitaria.
Grazie a questa innovazione – e chiaramente alle azioni di attuazione che ne stanno rapidamente conseguendo – è possibile già oggi affermare, in modo omogeneo e diffuso su tutto il territorio nazionale, l’esistenza di un quadro giuridico certo, in cui può finalmente svilupparsi il Diritto all’Apprendimento Permanente per ogni nostro Cittadino, al momento certo non ancora pienamente rappresentato in termini di servizi già pronti ed erogabili, ma già pienamente intuibile secondo un percorso ora ampiamente tracciato, direi ineludibile.
Neanche la gestione del tempo necessario a concretizzare queste innovazioni dovrebbe preoccuparci più di tanto se si pensa che tutti gli attori in gioco sono ora praticamente costretti a fornire tutta la concretezza operativa necessaria per focalizzare al meglio gli aspetti di dettaglio, come la validazione degli apprendimenti non formali ed informali o gli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze.
Sono, infatti, temi questi che ricorrono già nel Position Paper di metà novembre in cui la Commissione Europea ha sintetizzato raccomandazioni specifiche per l’Italia e rappresentano pertanto precise condizionalità ex-ante che sarà necessario soddisfare alla svelta per poter essere in linea con il nuovo ciclo di programmazione 2014/2020.
Potrebbe comunque sembrare ingeneroso far originare tutto questo nuovo sviluppo esclusivamente dalla legge 92 di appena 6 mesi fa, dovremmo infatti ricordare l’importanza di molti passaggi preliminari o concorrenti: come l’accordo in Conferenza delle Regioni di un paio di mesi prima sul sistema di certificazione delle competenze, o il lavoro già avviato da un anno con il processo di referenziazione all’EQF, ma anche la definizione del sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale del 2010 con l’istituzione di qualifiche e diplomi in una logica per competenze, fino al tavolo interistituzionale del 2007 sugli standard professionali, formativi e di certificazione delle competenze.
Certo questa legge segna una tappa fondamentale per il nostro Paese, potremmo dire che ci consente finalmente di uscire dal guado della sperimentazione, creando le condizioni di base per uno sviluppo omogeneo su tutto il territorio nazionale di una serie di dispositivi fondamentali per il cittadino, in grado di avvicinarci rapidamente all’Europa e di recuperare velocemente il tempo perduto, visto il ritardo che si è venuto ad accumulare in questo ambito negli ultimi anni, in cui sembrava quasi che non avessimo mai fatto parte del processo di Bologna del ’99 o della nuova Europa della conoscenza fondata a Lisbona nel 2000. Se volessimo infatti provare a scattare, anche sulla base dell’analisi dell’ultimo rapporto Cedefop, una fotografia sulla situazione attuale in termini di grado di diffusione della cultura EQF nell’eurozona la classifica al momento sarebbe davvero impietosa (solo 32esimi su 35 paesi). Una situazione dalla quale comunque potremmo risalire anche molto alla svelta, se solo si riuscisse a mantenere quella sintonia d’intenti a livello interistituzionale (regioni, enti territoriali, ministeri) che ci ha permesso di raggiungere questi primi grandi risultati. Tecnicamente una strada non semplice, che deve saper coniugare tutte le varie realtà territoriali ed istituzionali che presentano gradi di sviluppo anche abbastanza differenziati, integrare le esperienze migliori e valorizzare le best practices per formare sempre più un quadro unitario ed integrato. Ma la strada per andare in Europa appare già significativamente tracciata: un buon riferimento, anche sul piano operativo, è dato proprio dalla tabella dei Livelli EQF contenuta nell’ultimo rapporto italiano di referenziazione all’EQF inviato alla Commissione Europea. Un quadro dove finalmente possiamo vedere insieme tutti i principali ambiti di apprendimento formale espressi con il loro peso specifico in termini di valore e professionalità, di competenze e maturità di sviluppo dell’individuo e che rappresenta la strada maestra per quel difficile percorso che va compiuto a tutti i livelli, dalla scuola del primo ciclo fino ai master universitari. Uno stesso schema valido in tutta la penisola e che dovrà costituire il modello di riferimento per ripensare tutto: i cicli educativi, di orientamento e di sviluppo professionale per ogni cittadino, in modo coerente, leggibile e trasparente rispetto a quanto avviene per ogni cittadino europeo. Un modello quindi costruito come vuole l’Europa, basato sui learning outcomes, i “risultati dell’apprendimento”, non più quindi sulle mere “componenti dell’apprendimento”, come a dire la struttura che le rilascia o la durata dell’apprendimento che sono state finora utilizzate. Il fatto poi che nella tabella si continuino ad intravedere un po’di questi elementi, è solo una testimonianza di quanto sia difficile adottare fino in fondo questa nuovo paradigma: ma è solo questione di tempo, ogni istituto, scuola, struttura educativa dovrà presto adeguarsi al nuovo modello delle competenze, pena la sua esclusione sostanziale da ogni circuito internazionale di mobilità e di integrazione professionale. Basta fare riferimento al punto 3) dell’accordo sull’EQF in approvazione sui tavoli romani: “Miur, MLPS e Regioni concordano di adottare tutte le misure necessarie affinché a far data dal 1 gennaio 2004 tutte le certificazioni delle qualificazioni rilasciate in Italia ricomprese in tabella riportino un chiaro riferimento al corrispondente livello del Quadro Europeo delle Qualificazioni (ndr: traduzione di EQF) dell’apprendimento permanente”. Ed uno schema che, nello stesso tempo, rappresenta il modello di riferimento per valorizzare gli ambiti di apprendimento non formale ed informale, ovvero per tracciare un percorso più certo per la validazione delle esperienze lavorative come per la qualificazione professionale, come finanche per l’orientamento. Un ruolo quest’ultimo forse ancora da scoprire fino in fondo, essendo spesso il nostro paese all’avanguardia della ricerca su questo tema (in Toscana ad esempio si sono già messe a standard le competenze degli operatori del settore), ma certamente un ambito importante di riflessione: come potrebbe in effetti il processo di orientamento - a qualunque livello esso sia situato, in ambito educativo o puramente professionale - essere veramente efficace se non fosse chiara la mappa di valore degli obiettivi alla quale deve rapportarsi. Gli effetti di tale innovazione peraltro non sono ancora né direttamente né facilmente percepibili neanche per il cittadino, sarà quindi necessario non solo un po’di tempo per definire tutti gli aspetti tecnici (e molti programmi di lavoro interregionali o territoriali sono in effetti già orientati sulla produzione di importanti risultati da qui a pochi mesi), ma anche una modalità nuova di azione ispirata alla trasparenza, alla collaborazione ed alla partecipazione di tutta la comunità sociale.
Ricordando Seneca: non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili!