Un contributo a cura di don Giuseppe Angotti, vicario generale
Secondo i sondaggi Swg su un campione della popolazione italiana pubblicato la scorsa settimana, il 40% degli intervistati ritiene di essere superstizioso: il 5% sempre, il 35% solo in alcune situazioni. E soprattutto è visibile un trend di aumento negli ultimi anni. Credevano al malocchio o alla sfortuna il 36% degli italiani nel 2015, il 37% nel 2017, oggi il 40%. Abbiamo chiesto al vicario generale Don Giuseppe Angotti un contributo sul tema
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, al numero 2111, mentre tratta della fede come virtù teologale, e quindi come dono che Dio profonde nel cuore di ogni uomo, si sofferma a parlare della “superstizione” chiarendo che essa è "la deviazione del sentimento religioso e delle pratiche che esso impone."
E continua sottolineando che [la superstizione] "può anche presentarsi mascherata sotto il culto che rendiamo al vero Dio, per esempio, quando si attribuisce un'importanza in qualche misura magica a certe pratiche, peraltro legittime o necessarie. Attribuire alla sola materialità delle preghiere e o dei segni sacramentali la loro efficacia, prescindendo dalle disposizioni interiori che richiedono, è cadere nella superstizione."
Da quanto richiamato, si comprende facilmente, quando si usa la ragione, come la superstizione e la fede abbiano una valenza ben differente anche se molti tendono a confonderle.
La parola superstizione indica, nella sua etimologia, la tendenza di una persona ad associare ad un determinato oggetto o evento il potere di condizionare, in qualche modo, la vita futura. Ma è proprio per questo che certe credenze popolari rendono schiavi gli uomini che, proprio perché superstiziosi, legano la loro fortuna a tal gesto o la loro sfortuna, per esempio, ad uno specchio che si rompe.
Avere fede, invece, significa credere ed affidarsi a Dio, alla Sua Parola, alla Sua Provvidenza, alla Sua protezione, al Suo Amore: è sapere e credere con la vita che solo Lui basta!
Chi ha fede in Dio, ma parliamo della fede non come mero fatto religioso ma come risposta esistenziale e personale a Dio nel quale credo perché mi scopro amato da Lui dentro una relazione di amicizia e di figliolanza, sa che la superstizione, di qualunque genere essa sia, non ha motivo di esistere.
E' la fede che ci dice che il nostro destino, il nostro futuro, ma anche il nostro presente, dipende dalle nostre scelte e dal volere di Dio che, di certo, non può volere il nostro male!
Le credenze superstiziose, inoltre, contrastano con la piena libertà dei figli di Dio e tendono ad indebolire la fiducia in Lui e nella sua amorosa provvidenza.
Sebbene la superstizione comune (quella cioè che fa parte del patrimonio culturale di una gran fetta della popolazione mondiale) non abbia di per sé nulla a che fare con la magia, che è certamente un peccato grave da confessare, essa può comunque essere il sintomo di una "mentalità parzialmente magica", e quindi non cristiana, che si illude di poter positivamente orientare gli eventi attraverso l'esecuzione di determinati gesti rituali o il possesso di determinati oggetti.
Chi prende sul serio questi rituali, credendoci veramente, alla fine scopre di esserne diventato schiavo perché, tra le altre cose, finirà col vivere con l'eterno dubbio se esse siano vere o meno e che, proprio perché nel dubbio, piuttosto che liberarsene vi ci ricorre con fedele istintiva abitudine: ossia, è tipico della mentalità del superstizioso che più ci crede e più ne diventa schiavo ritrovando però il suo cuore sempre più pieno di paure inesistenti e di inutili infondati timori vanificando così la verità di fede di essere stati resi liberi dal Sacrificio redentivo di Cristo sulla Croce: Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi senza più cedere sotto il gioco di qualsivoglia schiavitù, ricorda il grande Apostolo Paolo ai Galati.
Dobbiamo anche precisare però che alcuni gesti o modi di dire, alla fine sono diventati parte del folclore di determinati popoli e che non necessariamente sono da considerarsi gesti di superstizione: non ci sposa di venerdì o di martedì, diciamo “in bocca al lupo” piuttosto che “auguri” prima di una prova; non dirò mai “buona pesca” a chi va a pescare se non voglio essere ritenuto il colpevole di una mancata pesca e così via…
Quello che conta è non crederci e non andare in crisi quando qualcuno non le rispetta così come cercheremo di non colpevolizzare eccessivamente quanti, per motivi ansiogeni o prettamente caratteriali, si ritroveranno a vivere per esempio certe “dipendenze” in modo quasi ossessivo (paura di un numero determinato, di un colore, ecc) ma magari ci prodigheremo nell'aiutarli a comprendere l'infondatezza delle loro paure e nel sostenerli nell'impegno a superare ogni reazione superstiziosa.