Il testo dell'omelia del cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e Presidente della Cei, pronunciata durante la Santa Messa celebrata a Roma, nella Basilica di Santa Maria in Montesanto, in occasione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.
Carissimi,
sarebbe bello poterci intrattenere insieme a contemplare il mistero dell'Ascensione, così come ne abbiamo sentito nel vangelo e nella lettura dagli Atti degli Apostoli. Voglio solo accennare al fatto che l'ascensione di un uomo giusto non è una novità nella Bibbia: ricordiamo quella di Elia, il profeta, o, ancora prima, quella di Enoc. Benché non sia descritta nel Nuovo Testamento, noi cristiani sappiamo che Dio Padre non ha lasciato che il corpo della madre di Gesù, la Vergine Maria, si corrompesse: anche lei è stata assunta in Cielo.
Ma rispetto all'ascensione di Gesù, vi è una differenza. Ricordiamo quanto diceva il Signore a Nicodemo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo» (Gv 3,13). Gesù, in questo modo, spiega che ciò che riguarda in modo speciale lui non è tanto o solo il salire al Cielo, quanto piuttosto il fatto che egli da lì ne sia disceso.
Posso sottolineare questo aspetto ricordando come nel Catechismo della Chiesa cattolica si legge che «Lasciata alle sue forze naturali, l'umanità non ha accesso alla Casa del Padre, alla vita e alla felicità di Dio. Soltanto Cristo ha potuto aprire all'uomo questo accesso». Gesù torna al Padre perché dal Padre è venuto a noi; ma così permette a noi di andare al Padre: non con le nostre forze, ma con le sue.
C'è però un altro elemento su cui desidero soffermarmi, con il quale voglio anche collegarmi al bellissimo Messaggio che il Santo Padre, Francesco, ha composto per questa 55ma Giornata delle comunicazioni sociali.
Se infatti passiamo alla prima lettura, tratta dal libro degli Atti degli Apostoli, vi troviamo sì la descrizione della salita al Cielo del Signore Gesù, ma dobbiamo fare attenzione a un dettaglio. Vi si dice, infatti, che Gesù è tornato al Padre dopo essere stato per quaranta giorni con i suoi, mostrandosi «a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio» (At 1,3). Ebbene, Gesù è stato con i suoi, leggiamo nel testo greco degli Atti, «mangiando il sale con loro» (espressione che è comunque resa bene dal lezionario con «trovandosi a tavola con essi»; At 1,4).
L'evangelista Luca usa qui un'espressione proverbiale, addirittura nota ad Aristotele, che, nell'Etica Nicomachea, spiegava a suo figlio: «Secondo il proverbio, non si arriva a conoscersi reciprocamente prima di aver consumato una quantità di sale, e quindi prima di ciò non ci si può accettare e riconoscere reciprocamente come amici, prima cioè che ciascuno si mostri all'altro come degno di amicizia e di fiducia» (VIII, 4, 1156B).
Per essere amici, si deve “mangiare il sale” insieme, passare del tempo insieme, proprio come il Risorto ha fatto con i suoi, stando con loro per quaranta giorni.
Ecco, cari fratelli e sorelle, che in questo modo possiamo riprendere quanto ha scritto il Papa nel Messaggio a voi dedicato per questa Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. All'inizio di questo bellissimo testo – che vi suggerisco di leggere con attenzione – dice: «Per poter raccontare la verità della vita è necessario uscire dalla comoda presunzione del “già saputo” e mettersi in movimento, andare a vedere, stare con le persone, ascoltarle, raccogliere le suggestioni della realtà, che sempre ci sorprenderà in qualche suo aspetto». Ecco: stare con le persone, ascoltandole, comprendendo le loro preoccupazioni, e solo così – dopo, potremmo dire, aver “mangiato il sale” con loro – raccontare.
Non si può parlare di quello che non si conosce, senza – scrive ancora efficacemente Francesco – «consumare le suole delle scarpe», cioè, «senza incontrare persone per cercare storie o verificare de visu certe situazioni».
Carissimi fratelli e sorelle impegnati nel mondo delle comunicazioni sociali, sapete bene che questo tempo del quale parlate, scrivete, raccontate, è un tempo prezioso ma difficile. Sapete anche che una frase che voi dite (o non dite) può influenzare milioni di persone (come, per esempio, può accadere descrivendo gli effetti di un vaccino, o parlando in un certo modo di un avvenimento…).
A voi è chiesto di fare cultura, di aiutare gli uomini e le donne a cui vi rivolgete a vivere in questa società con impegno, coraggio, facendo conoscere loro la verità. Per sei volte, nel suo messaggio, Papa Francesco usa la parola “verità”! Voi, infatti, siete chiamati non a raccontare cose false, ma a narrare «la verità della vita» (Messaggio di papa Francesco), e questo è un impegno grande e un dono per tutti.
Ci domandiamo dunque: qual è l'informazione che voglio promuovere? Sono pronto ad aprirmi veramente all'altro e ad accoglierlo per quello che è? Sono domande che possono sostenere l'impegno a «comunicare incontrando le persone come e dove sono”.
In questo tempo così incerto vi auguro di essere cercatori di verità e non amplificatori di notizie dannose o che non costruiscono il bene comune. Fa tanto male vedere come, anche nella sofferenza, ci sia disinformazione. Il vero comunicatore, invece, è colui che riesce a mettere il mondo in comune, a costruire ponti di comprensione, a promuovere la pace attraverso la narrazione. E oggi ne abbiamo bisogno. Oggi, in particolare, vogliamo pregare per Gerusalemme e per Gaza: il popolo ha bisogno di pace. La famiglia Abramitica ha bisogno di pace. Pace!
Permettetemi ora un grande ringraziamento per come mi siete stati vicini durante la malattia. Lasciando lo scorso 3 dicembre il Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, ho scritto un messaggio che oggi rinnovo con gratitudine: «Mi sono sentito custodito da fratelli e sorelle, che erano attente alla mia persona prima ancora che al mio ruolo, che hanno raccontato un uomo malato prima ancora che la malattia di un cardinale. Grazie a questa vostra attenzione ho sentito vicina la presenza di tanti che hanno pregato per me». Grazie!
Mentre vi formulo i miei più sentiti auguri, in questa occasione così speciale dedicata a voi, invoco su di voi – a nome di tutti i Vescovi della Chiesa italiana – il dono dello “Spirito della verità” (cf. Gv 16,13).