Nella lettera ai Galati di san Paolo Apostolo (capitolo 4, versetti 4-7) è presente un riferimento esplicito alla Vergine Maria. Si tratta di un testo dalle prospettive molteplici e di singolare densità, di altissimo interesse mariano perché racchiude una mariologia in germe, che poi avrà il suo sviluppo nei vangeli dell'infanzia e nella riflessione teologica dei Padri della Chiesa. Tale brano, che è stato a fondamento della mariologia dei primi secoli, ha portato la Chiesa, nel corso del concilio di Efeso del 431, alla proclamazione di Maria come “Theotòkos”, cioè “madre di Dio”, genitrice di Dio, perché ha dato alla luce non un uomo, ma Dio come uomo. San Paolo afferma: «Quando venne la pienezza del tempo Dio mandò suo Figlio nato da donna nato sotto la legge per riscattare coloro che erano sotto la legge perché ricevessimo la condizione di figli; e poiché voi siete figli Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del Figlio suo che grida: Abbà, Padre. Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per opera di Dio» (Gal 4,4-7). Lo storico dei dogmi mariani Georg Söll attesta che «dal punto di vista dogmatico l'enunciato di Gal 4,4 è il testo mariologicamente più significativo del NT, anche se la sua importanza non fu pienamente avvertita da certi teologi di ieri e di oggi. Con Paolo ha inizio l'aggancio della mariologia con la cristologia, proprio mediante l'attestazione della divina maternità di Maria e la prima intuizione di una considerazione storico-salvifica del suo significato» (G. Söll, Storia dei dogmi mariani, Roma 1981, 31). San Paolo, mediante l'attestazione della divina maternità di Maria, inserisce “la donna”, la Vergine Maria, totalmente al servizio dell'evento salvifico che impegna la stessa Trinità ed è a vantaggio di tutti gli uomini. Tale progetto di salvezza, in cui è inserita la Vergine Maria, continua anche oggi nella Chiesa come descrive il Concilio Vaticano II nella “Lumen Gentium”: «Volendo Dio misericordiosissimo e sapientissimo compiere la redenzione del mondo, “quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio, nato da una donna... per fare di noi dei figli adottivi” (Gal 4,4-5), Egli per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo e si è incarnato per opera dello Spirito Santo da Maria vergine. Questo divino mistero di salvezza ci è rivelato e si continua nella Chiesa, che il Signore ha costituita quale suo corpo e nella quale i fedeli, aderendo a Cristo capo e in comunione con tutti i suoi santi, devono pure venerare la memoria «innanzi tutto della gloriosa sempre vergine Maria, madre del Dio e Signore nostro Gesù Cristo» (Lumen Gentium, 52). Anche la “Redemptoris Mater” di Giovanni Paolo II conferma e approfondisce il testo della lettera ai Galati: «La Madre del Redentore ha un preciso posto nel piano della salvezza, perché, “quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio nato da donna…” (Gal 4,4) […]. Sono parole, infatti, che celebrano congiuntamente l'amore del Padre, la missione del Figlio, il dono dello Spirito, la donna da cui nacque il Redentore, la nostra filiazione divina, nel mistero della “pienezza del tempo”. Questa pienezza definisce il momento fissato da tutta l'eternità, in cui il Padre mandò suo Figlio, “perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Essa denota il momento beato, in cui “il Verbo, che era presso Dio, ...si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,1), facendosi nostro fratello. Essa segna il momento, in cui lo Spirito Santo, che già aveva infuso la pienezza di grazia in Maria di Nazareth, plasmò nel suo grembo verginale la natura umana di Cristo. Essa indica il momento in cui, per l'ingresso dell'eterno nel tempo, il tempo stesso viene redento e, riempiendosi del mistero di Cristo, diviene definitivamente “tempo di salvezza”. Essa, infine, designa l'inizio arcano del cammino della Chiesa. Nella liturgia, infatti, la Chiesa saluta Maria quale suo esordio, perché nell'evento della concezione immacolata vede proiettarsi, anticipata nel suo membro più nobile, la grazia salvatrice della Pasqua, e soprattutto perché nell'evento dell'incarnazione incontra indissolubilmente congiunti Cristo e Maria: colui che è suo Signore e suo capo e colei che, pronunciando il primo fiat della Nuova Alleanza, prefigura la sua condizione di sposa e di madre» (Redemptoris Mater, 1). Gesù, nato dalla vergine Maria, è venuto a liberare l'uomo dalla schiavitù del peccato e a renderci figli di Dio. Per questo possiamo chiamare Dio con il nome di Padre. C'è un capovolgimento di situazione: l'uomo può passare dalla situazione di schiavitù a quella di figliolanza in Gesù Cristo, ed è lo stesso Spirito Santo a introdurci nell'esperienza diretta, nella coscienza beata di sentirci figli e dunque amati da Dio. Quindi se Dio si è calato dentro la storia dell'uomo, l'eternità è entrata nel tempo e la salvezza ha raggiunto il suo culmine. La Vergine Maria, poiché occupa un posto unico nella dimensione della pienezza del tempo, donando il suo personale assenso all'incarnazione, diventa, come affermava Ireneo di Lione, causa di salvezza dell'umanità. La madre di Gesù è attivamente presente ed operante nella storia della salvezza sia a livello oggettivo attraverso il fiat libero che ha dato all'annuncio dell'angelo e rendendo così possibile l'incarnazione del Verbo, sia a livello soggettivo, per il fatto che continua a contribuire nel fluire del tempo alla salvezza del popolo di Dio attraverso la sua intercessione materna. Maria Santissima, come diceva sant'Agostino “è veramente la mistica scala per la quale è disceso il Figlio di Dio sulla terra e per cui salgono gli uomini al cielo”.
Mater Ecclesiae
“Non sei più schiavo, ma figlio”
Don Giuseppe Fazio · 4 anni fa