Sergio Tanzarella, professore di Storia della Chiesa alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, dove dirige l’Istituto di Storia del Cristianesimo “Cataldo Naro”, e docente anche all’Università Gregoriana dialoga con Rita Giaretta, suora orsolina, fondatrice con altre consorelle della Comunità “Rut” di Caserta col fine di accogliere donne immigrate in situazioni di difficoltà e vittime della tratta degli esseri umani. Il volume sostiene la Cooperativa “neWope” a cui sono stati ceduti i diritti d’autore. Sono suore, come afferma Tanzarella, che “non sono ripiegate su se stesse, né appaiono inacidite dalla generica condanna dei mali del mondo, ma danno prova che il Vangelo rende sempre possibile la vita, anche nelle condizioni più estreme” (p. 7). In questa comunità diretta da suor Rita Giaretta “si avverte forte (…) la sensazione che non è il male ad avere ancora vinto” (p. 7).
Sono suore “maestre di libertà e di autonomia” che non si sono fatte ingabbiare dalla tentazione di istituzionalizzare i bisogni, che precipita nell’anonimato della solidarietà, quindi solo un servizio tecnico e non una vicinanza alla debolezza umana (cf. p. 9), ma si vede la persona, la persona coi suoi bisogni.
Si tocca con mano una Chiesa che “spezza le catene” (p. 11), che condivide tutto a partire dalla elaborazione del progetto. Si è dedicato con intelligenza “un tempo per decifrare i segni”. Ed è “Un progetto di presenza che si ristruttura di continuo e che è disposto ad adeguarsi alle persone e non a piegare le persone ad un progetto” (p. 12).
Suor Rita – afferma Sergio Tanzarella – è un “antipersonaggio”. Non appartiene a quella categoria di preti e suore che “si gongolano nel vedersi appiccicata addosso la ridicola medaglia di ‘preti antimafia’e nel saltellare da scuole a teatri accompagnati da scorte armate fino ai denti” (p. 17).
“Una testimonianza quindi declinata con le categorie del quotidiano della gente comune, nella condivisione profonda della condizione dell’umanità senza artifici e senza spiritualismi rassicuranti. Le suore – continua Tanzarella nella sua introduzione - hanno accordato i propri orologi tanto bene da essere sempre in avanti sulla storia tanto da intravedere ciò che specialisti, politici e pastori non vedono ancora, e spesso rischiano di non distinguere mai” (p. 17-18).
“Restituire la speranza ai poveri” (p. 18) è possibile solo da parte di una chiesa povera, giacché libera dalle tentazioni del potere e dal possesso. Dunque, non una chiesa sacra ma santa, non una chiesa “perfetta”, ma una chiesa delle beatitudini.
Un concetto stupendo di Dietrich Bonhoeffer viene ripreso dal prof. Tanzarella: Dobbiamo imparare a valutare gli uomini più su quello che soffrono che per quello che fanno o non fanno” (p. 22). Un altissimo convincimento con il quale si vedono le persone per quello che soffrono come uomini di testimonianza e per la costruzione della città dell’uomo.
Balza in mente la spiritualità penitenziale di san Francesco di Paola compresa come impegno faticoso di fare storia, storia liberante e di salvezza. E ciò si scontra con l’autoreferenzialità non assente nella chiesa istituzionale (cf. p. 21), come anche le sirene del successo che ammaliano uomini e donne consacrati.
La vita religiosa è spezzare le catene sia degli incatenati che degli incatenanti, e questa missione abitando la terra di nessuno, ove vi sono vuoti legislativi o addirittura leggi così ingiuste che frenano il bene etico.
Si ha bisogno di una chiesa che scruti l’orizzonte guardando oltre la vita devota ed il liturgismo ripetitivo che non dialoga con Dio, per salire sul camion “dove la giustizia diviene la conseguenza e la ragione della fede” (p. 27).
“Il fremito della speranza” ha spinto suor Rita Giaretta nel desiderio che “giunga presto il tempo in cui giustizia e pace si baceranno” (p. 46). Ed ha trovato dentro le donne in stato di schiavitù per prostituzione un’incontenibile “fame di vita” (p. 50).
La carità attiva svolta nella comunione umana è presente fortemente in suor Giaretta : “Da soli, oggi, non si può essere profeti” (p. 58). Per cui l’impegno verso i deboli è più incisivo e costruisce futuro se si riscopre la valenza della comunione operativa. E le donne raccolte ed accolte dalla Comunità Rut “vogliono una Chiesa che sappia offrire proposte alte, coraggiose, con passo più avanzato, con presenze forti presso chi è escluso, chi è vittima di ingiustizie” (p. 58). Si tratta di superare, esplicita con forza il prof. Tanzarella, una chiesa dei “garantiti” e della “sicurezza” e della “stabilità” chiusa nel “recinto del sacro, del culto” (p. 59). E poi, dice suor Rita: “I privilegi a lungo andare, rendono stonata la voce della Chiesa. Una voce che ‘per compiacere’diventa o troppo silente, o inflessibile e altre volte acquiescente, non è più una voce profetica” (p. 61).
Netta la citazione di mons. Bregantini, con cui ho avuto per lunghi anni una reciprocità di collaborazione nella pastorale sociale e del lavoro in Calabria (lui segretario della Commissione Regionale ed io prima rappresentante laico e poi segretario, successivo alla sua elezione episcopale): “Io non vedo la fede di un prete, ma posso notare il suo stile di vita, e il suo stile di vita mi testimonia la sua libertà interiore” (p. 61).
“Sempre cerco di far capire alle ragazze – dice Suor Rita - che Casa Rut è una terra di passaggio, una terra che però profuma di casa” (p. 75). E citando Madre Teresa di Calcutta afferma che perfino nelle comunità religiose “s’insinua il rischio di amare senza amore e di vivere senza vita” (p. 122). Ed il pericolo di essere irretiti dalle catene dei finanziamenti pubblici e privati è fortissimo (p. 126), per cui l’unica posizione autentica di credibilità è la “cattedra della povertà” (p. 123-4).
Nel libro è riportata una stupenda lirica di Mario Luzi: “A che pagina della storia, a che limite della sofferenza/Mi chiedo bruscamente, mi chiedo/Di quel suo ‘ancora un poco/ e di nuovo mi vedrete’detto mite, detto terribilmente/e lui forse è là, fermo nel nocciolo dei tempi,/là nel suo esercito di poveri/acquartierato nel protervo campo/in variabili uniformi: uno e incalcolabili/come il numero delle cellule. Delle cellule e delle rondini” (p. 29: Mario Luzi, Tutte le poesie, Garzanti, Milano 1988, p. 472).
Un libro piccolo: un racconto di vita, di speranza, di verità, di futuro, di chiesa luminosa perché illuminata, con pensieri coraggiosi e parole chiare. Un piccolo libro di un grande messaggio.
Rita Giaretta e Sergio Tanzarella, Osare la speranza. La liberazione viene dal Sud, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2012, pp. 159, prezzo 10,00 euro