LUIGI ANTONIO CANTAFORA Vescovo di Lamezia Terme Abbiamo ricevuto la luce vera, abbiamo trovato la fede vera Lettera alla Diocesi nell’Anno della Fede
Introduzione
Carissimi, l’apertura dell’Anno della Fede mi porta a rivolgermi a voi: Presbiteri, Diaconi e Fedeli tutti di questa amata Diocesi di Lamezia Terme. Con le parole di Paolo a Timoteo, chiediamo con insistenza giorno e notte al Signore di «poter completare ciò che manca alla vostra fede. Voglia Dio stesso, Padre nostro, e il Signore nostro Gesù guidare il nostro cammino verso di voi!» (1Tm 3,9-10). In comunione con la Chiesa Universale, anche noi ringraziamo Sua Santità Benedetto XVI per l’indizione dell’Anno della Fede.
Siamo certi di poter attingere a una rinnovata grazia per proseguire il cammino indicatoci dal Santo Padre, in visita a Lamezia Terme lo scorso anno.
Nell’omelia di quel memorabile 9 ottobre, il Papa ci ha esortato a fare affidamento alle risorse della fede, per abitare e vivere cristianamente la nostra terra e ci ha chiesto una reale ed intima conversione perché la fede diventi la sorgente che anima le decisioni importanti della nostra vita così, come le più piccole del nostro quotidiano, troppo spesso vissuto nel “fare come tutti”.
In quest’anno pastorale, consegneremo alla Diocesi il suo nuovo Progetto Pastorale: Indossiamo e custodiamo l’abito nuziale della carità. Esso è uno strumento, affidato alle mani generose degli operai del Vangelo che lavorano nel campo della Chiesa di Lamezia.
Noi lo vogliamo accompagnare con l’auspicio che sia letto, studiato e messo in opera, tenendo sempre viva la consapevolezza che la fede è «l’incontro non con un’idea o con un progetto di vita, ma con una Persona viva che trasforma in profondità noi stessi, rivelandoci la nostra vera identità di figli di Dio»[2].
1. L’Anno della Fede
L’anniversario del Concilio e del Catechismo
L’indizione dell’Anno della Fede trova la sua origine negli anniversari della convocazione del Concilio Vaticano II e della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Benedetto XVI ci ha però invitato a non rinchiudere l’Anno della Fede in una dimensione solo celebrativa e in una commemorazione fine a se stessa.
Gli incontri formativi e di catechesi che si svolgeranno in Diocesi, cercheranno di offrire una riflessione sui grandi personaggi e testimoni della Fede sia nella Sacra Scrittura che nella storia della Chiesa e di far conoscere in maniera più approfondita e feconda l’eredità del Concilio Vaticano II. Questo evento di grazia ha segnato il cammino della Chiesa mostrando come lo Spirito la assista e le indichi strade nuove, per poter dire Cristo agli uomini di ogni tempo[3].
Il magistero del Santo Padre è un aiuto imprescindibile per una lettura sapiente dell’assise conciliare e per un costante sforzo di attuazione del Concilio stesso. è dunque necessario che i documenti del Vaticano II siano conosciuti e assimilati per far sì che la sua forza rigenerante entri nelle nostre parrocchie, associazioni e aggregazioni laicali.
Con rammarico, notiamo che ci si è fermati per lo più a una ricezione piuttosto formale e superficiale, senza recepire, accogliere e dare spazio a tutta la salutare novità che il Concilio ha consegnato alla Chiesa intera. «I documenti del Concilio contengono una ricchezza enorme per la formazione delle nuove generazioni cristiane, per la formazione della nostra coscienza. Quindi leggetelo!»[4]. Allo stesso modo il Catechismo della Chiesa Cattolica, che offre una visione sistematica e completa del contenuto della fede, deve essere tenuto presente come un sicuro punto di riferimento per la catechesi e la professione di Fede sia individuale che comunitaria.
Una riflessione sulla fede
«Se oggi la Chiesa propone un nuovo Anno della Fede e la Nuova Evangelizzazione, non è per onorare una ricorrenza, ma perché ce n’è bisogno ancor più che cinquanta anni fa»[5].
Sentiamo rivolta a noi la Parola di Cristo agli Apostoli: «Dov'è la vostra fede?» (Lc 8,25) pertanto ogni fedele raccolga l’invito a una professione integrale della Fede, proclamata e testimoniata nella sua integralità.
Siamo consapevoli di vivere in un contesto umano, segnato da una grande indifferenza nei confronti del problema religioso. Anni or sono, la fede era minacciata dalle ideologie, dalle dittature politiche, anche da movimenti di pensiero atei, eppure Dio era e restava una possibilità, quantomeno da prendere in considerazione. Oggi, accanto a un anticlericalismo mai sopito, tra non pochi uomini e donne del nostro tempo è come se si dicesse: con Dio o senza Dio non cambia niente. Il Dio di Gesù Cristo e dei nostri padri viene, in totale indifferenza, relegato nell’insignificanza. Non s’avverte quasi più la mancanza di Dio, il grande assente di molte vite.
Alla religione dell’Incarnazione, del Dio visibile e vicino, entrato nella storia e a contatto con gli uomini e le donne di ogni tempo, si è sostituita una religione nella quale Dio poco o nulla incide. L’intera storia personale di ogni uomo o donna è affare privato! Se i missionari del Vangelo, in secoli di storia del cristianesimo hanno affrontato distanze geografiche insormontabili, per portare la Buona Notizia, oggi ci troviamo a dover superare distanze ideologiche ben più difficili e ardue delle prime: la diffidenza, l’indifferenza, la resistenza nei confronti di Dio e della sua Parola.
Parlando all’Assemblea dei Vescovi italiani il 24 maggio 2012, il Papa constatava amaramente che «il patrimonio spirituale e morale in cui l’Occidente affonda le sue radici e che costituisce la sua linfa vitale, oggi non è più compreso nel suo valore profondo, al punto che più non se ne coglie l’istanza di verità. Anche una terra feconda rischia così di diventare deserto inospitale e il buon seme di venire soffocato, calpestato e perduto». Il momento storico, che ci troviamo a vivere, riserva molte contraddizioni alla fede cristiana. Sembrerebbe che la fede sia incapace di mostrare il suo vero volto; anche la sua stessa trasmissione all’interno della famiglia e della parrocchia non sembra più incidere in maniera significativa ed efficace. Diversi fattori giocano un ruolo non indifferente per il determinarsi di questa situazione epocale.
Fede e fiducia
Alcuni maestri di vita spirituale, leggendo lo scenario odierno, ritengono che un motivo basilare dell’attuale crisi di fede sia la diffusa mancanza di fiducia dell’uomo contemporaneo nei confronti della propria vita e delle relazioni con il prossimo. La fede ha bisogno del supporto umano del fidarsi, perché anche se è dono di Dio, è atto massimamente libero.
è come se l’uomo del XXI secolo dopo le traversate ideologiche, i successi sfrenati del consumismo, il culto dell’indifferenza religiosa e l’ossequio alla tolleranza delle opinioni, si sia riscoperto solo, del tutto solo, incapace di fidarsi del suo simile. Invale la sentenza che l’uomo è lupo per l’altro uomo (homo homini lupus), più che il messaggio di Gesù, che ci rivela che l’uomo è fratello per l’altro uomo (homo homini frater). Se l’uomo chiude ogni possibilità reale di aprirsi all’incontro e alla relazione, non resta altro che il sospetto, nella cui cultura le nuove generazioni stanno crescendo. Educati a sospettare degli uomini che vediamo, come non sospettare di Dio che non vediamo? La fede appare come una necessità umana. Infatti come si potrebbe vivere, senza fidarsi di qualcuno? è possibile crescere senza avere fiducia in qualcuno?
è possibile amare una persona senza fidarsi di lei? Per questa necessità vitale del credere, dobbiamo dire che la crisi della fede nasce anche dalla crisi del semplice e umano credere. Non sfugge a nessuno che le difficoltà economiche e sociali che attraversano la nostra terra, in buona parte, derivino da una chiusura egoistica degli individui, dall’incapacità alla condivisione e alla solidarietà. Per questo motivo le nostre comunità cristiane devono presentarsi al mondo, come luoghi in cui è possibile fidarsi dei fratelli ed è possibile credere in Dio, in una viva relazione con Dio e in una reale relazione con il prossimo[6]. Tutto ciò ci aiuta a capire cosa sia effettivamente la fede; altrimenti ciascuno di noi può ritenersi credente col pensiero e non avere alcuna relazione personale con Dio.
Fede come adesione vitale
Per indicare l’atto del credere, il linguaggio veterotestamentario, fa riferimento a termini che evocano, da un lato, un senso di sicurezza, un fondamento su cui ci si può poggiare, e dall’altro richiamano l’aderire del bambino avvolto in fasce alla propria madre[7]. Il secondo aspetto viene espresso da un verbo da cui deriva il nostro “amen” (’aman). Pertanto “io credo”, vuol dire “io aderisco” a qualcuno che mi ama e mi sorregge. Questo ci aiuta a capire che la fede non è una realtà solo di ordine mentale, ma che essa abbraccia l’intera esistenza e ci permette di aderire a Dio, in una relazione vitale come quella di un bambino a sua madre.
Del resto, nel libro del profeta Isaia, troviamo: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15).
Così risplende ancor di più la parola del Signore: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3). Come hanno ribadito i Vescovi italiani: «Crede chi si lascia far prigioniero dell’invisibile Dio, chi accetta di essere posseduto da lui nell’ascolto obbediente e nella docilità del più profondo di sé. Fede è resa, consegna, abbandono, accoglienza di Dio che per primo ci cerca e si dona. Credere non è un atto irragionevole, …non pretende segni, ma offre segni di amore all’invisibile amante che chiama»[8].
L’opera della fede
Immersi in questo scenario, cedere alla tentazione del puro fare e della sterile organizzazione rischierebbe di vanificare la grazia del Signore. Viene in nostro aiuto la Parola di Dio. Le folle che si erano saziate del pane moltiplicato lungo il mare di Tiberiade chiedono a Cristo, quali opere si debbano compiere e il Maestro risponde: «Questa è l’opera di Dio: credere in Colui che egli ha mandato» (Gv 6,29). «La fede, infatti, che opera per amore, è la vera opera di Dio, ed è il principio, che abbiamo in noi di tutte le nostre buone azioni. “Infatti senza la fede è impossibile essere graditi a Dio” (Eb 11,6)»[9].
Così com’è altrettanto viva la parola dell’apostolo Pietro nel giorno di Pentecoste. Gli Atti ci dicono che coloro i quali avevano udito la sua predicazione, «si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”. E Pietro disse: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo”» (At 2,37-38).
La mia preghiera al Signore, Sposo della sua Chiesa, è che il dono di quest’Anno di grazia e la consegna del Progetto Pastorale Diocesano, rafforzino la nostra fede, attraversino i nostri cuori, li chiamino a sincera conversione, respingendo tutto ciò che è di ostacolo alla vita battesimale.
Fede e illuminazione
In questo Anno della Fede, accanto a noi troviamo l’Apostolo Paolo che veneriamo insieme a Pietro, come Patrono della nostra Chiesa.
Sulla via di Damasco egli, accecato da una luce giunta dal cielo, cade a terra e ode una voce: «Paolo, Paolo, perché mi perseguiti?». A diverse riprese, Paolo ha parlato di quell’episodio, nel corso del quale egli vede la gloria del Signore risorto. Cieco, è condotto dai suoi compagni a Damasco, dove rimane tre giorni senza bere né mangiare, finché viene mandato a lui un cristiano di nome Anania a guarirlo (cfr. At 9). Gli Atti ci dicono che, dopo le parole di Anania e l’imposizione delle sue mani, dagli occhi di Paolo, caddero come delle squame, prima di ricevere il Battesimo ed essere illuminato. Questo episodio ci aiuta a comprendere la dinamica della conversione e il dono della fede.
Infatti il cristiano è un “illuminato”, in quanto la grazia del Signore lo ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce (cfr.1Pt 2,9). Ma il Verbo divino comunica una sapienza che dà luce alla propria vita e storia; alla sua luce noi vediamo la luce (cfr. Sal 35,10), perché chiunque segue Cristo non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (cfr. Gv 8, 12). «E come potrebbe non essere desiderabile (il Verbo della vita), dal momento che ha portato verso la luce la mente avvolta nelle tenebre e ha reso più luminosi e acuti gli occhi dell’anima?»[10].
I Padri della Chiesa hanno giustamente chiamato il Battesimo, Illuminazione che sconfigge la cecità del peccato. La cecità di Paolo è provocata dalla folgore di luce che lo investe, ma la nostra cecità è dovuta al rifiuto della luce. Non è un caso che chiudendo il Sinodo, il Papa abbia visto nel cieco di Gerico l’immagine dei cristiani di questo tempo. Bartimeo non era cieco dalla nascita, ha infatti perso la vista successivamente. Ma l’incontro con Cristo gli consente di riacquistare la vista e vedere la luce. Anche noi abbiamo ricevuto la luce della fede, ma davvero «solo per un momento ci siamo voluti rallegrare alla sua luce» (cfr. Gv 5,35) per ricadere nelle tenebre? La fede non è più rilevante; spenta la luce ci siamo trovati barcollanti nel buio, indecisi sul cammino, ciechi e mendicanti di luce. C’è bisogno di un nuovo incontro con Cristo, Lumen gentium e Redemptor hominis, che ci illumini, che riapra i nostri occhi e ci indichi la strada.
In questo cammino non siamo soli; i santi, veri protagonisti della Nuova Evangelizzazione, ci accompagnano e testimoniano la bellezza di una vita spesa con Cristo[11].
2. L’Avvento nell’Anno della Fede
La celebrazione dell’Avvento, in quest’Anno della Fede, assume un significato ancora più ricco. L’Avvento è il tempo della memoria, della fiduciosa invocazione e dell’attesa colma di speranza, per la venuta del Signore.
Questo particolare tempo di grazia ci sprona ad una riscoperta del desiderio di Dio in noi e a un approfondimento integrale del contenuto della Fede, tenendo presente il fine ultimo della storia di ogni uomo e del mondo intero. Non possiamo ridurre l’attesa escatologica del Cristo all’attesa devozionale del Natale[12]. La preparazione liturgica al memoriale della prima venuta, porta in sé il desiderio della seconda venuta del Signore.
Cristo ritornerà per inaugurare un cielo nuovo e una terra nuova e per trasfigurare la creazione, che nel frattempo geme e soffre nelle doglie del parto (cfr. Rm 8,19 ss.).
Ma Cristo ritornerà per esaudire la preghiera della sua Chiesa, che dall’Ascensione lo supplica di compiere la sua promessa: «Io vengo presto!» (Ap 22,20). Cristo ritornerà per rispondere al grido di quanti nella storia hanno subito ingiustizia e violenza.
Con questa fede la Chiesa in Avvento audacemente prega con forza: Marana thà! Vieni Signore Gesù.
In questo tempo, nell’Inno delle Lodi Mattutine preghiamo così: «Chiara una voce dal cielo, si diffonde nella notte: fuggano i sogni e le angosce splende la luce di Cristo. Si desti il cuore dal sonno, non più turbato dal male; un astro nuovo rifulge fra le tenebre del mondo». La venuta di Dio, resa anche attraverso l’immagine del sorgere della luce, invita l’uomo a stare desto e vigilante. La Sacra Scrittura, attraverso la voce dei profeti, insiste sul sorgere della luce, come segno della venuta di Dio. «àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore» (Is 60,1-2).
Ancora nel Benedictus, il sacerdote Zaccaria canta al Signore e dice: «Grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio, per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1,79).
La fede, allora, è veramente illuminazione, in quanto la vita del credente risplende della luce di Cristo, che è venuto e che viene. Il senso di questo tempo liturgico, nell’Anno della Fede, è anche quello di tenere accesa la luce vera che abbiamo ricevuto e di attenderne sempre di più il rinvigorimento e compimento.
La fede ci spinge a prendere coscienza della mancanza di luce e della presenza delle tenebre che avvolgono ancora il nostro mondo. C’è una mancanza di redenzione che deve essere abbracciata e portata davanti a Dio.
Il rischio è di non voler vedere, di tenere la luce della fede abbassata, di permettere che i riflettori del materialismo divengano accecanti e vincano la luce della fede. Ma solo alla luce di Cristo, noi vediamo la luce vera; le altre col passare del tempo, appaiono sempre come abbaglianti che fanno deviare il cammino. «Come infatti chi vede la luce è nella luce e partecipa al suo splendore, così chi vede Dio è in Dio e partecipa alla sua luce. Ora, lo splendore di Dio dà vita: così, chi vede Dio entrerà nella vita»[13].
Credere significa guardare senza timore tutta la realtà alla luce di Cristo, senza cedere alla tentazione di abituarsi al buio, alla tenebra.
Il desiderio di Dio
Il Santo Padre, con l’apertura dell’Anno della Fede, ha dato inizio a un ciclo di catechesi, di cui la prima riguardava il desiderio di Dio. L’Avvento, come tempo di attesa, è il tempo del desiderio per eccellenza. Cristo è l’atteso, il desiderato.
Nella catechesi di mercoledì 7 novembre, il Papa, si riferiva ad una sorta di pedagogia del desiderio. Anche se Dio non è più apparentemente il desiderato delle genti, un certo desiderio di Dio non può essere scomparso dal cuore dell’uomo. Infatti ognuno si pone la lacerante domanda: «Che cosa può saziare la fame del desiderio?». In definitiva, l’uomo conosce bene ciò che non lo sazia, ma non può immaginare ciò che gli farebbe sperimentare la felicità vera, di cui ha nostalgia nel suo cuore[14].
Tutto questo ci pone in un cammino di attesa, di avvento per un pieno compimento del nostro cuore e della storia intera.
Insegna Sant’Agostino: «Con l’attesa, Dio allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l’animo e dilatandolo lo rende più capace»[15]. Ma noi che cosa ne abbiamo fatto dell’attesa del Signore? All’alba del nuovo Avvento questa domanda appare con tutta la sua urgenza e forza. Cristo è da noi atteso e desiderato?
L’Anno della Fede, nel tempo di Avvento, ci veda uniti nella preghiera per chiedere un animo e un cuore dilatato dall’attesa di Dio. Attraverso la catechesi e la predicazione, riscopriamo con coraggio i temi delle realtà ultime e fondamentali.
L’annuncio integrale della Fede passa attraverso la comunicazione e la testimonianza di tutto il messaggio evangelico. Solo in questo modo il desiderio si può riaccendere e la speranza di nuovo illuminarsi[16].
3. L’Anno della Fede e la Nuova Evangelizzazione
L’apertura dell’Anno della Fede è avvenuta durante la celebrazione del Sinodo dei Vescovi che, radunato dal Santo Padre, ha voluto riflettere sulla Nuova Evangelizzazione i cui destinatari privilegiati sono i battezzati non credenti.
Benedetto XVI ha usato più volte l’espressione “deserto spirituale” per riferirsi alla situazione attuale in cui la ricerca di Dio è stata estromessa dall’orizzonte umano. In questo contesto, la testimonianza di molti credenti rischia di perdere quella naturale franchezza apostolica e gioia, proprie dell’appartenenza a Cristo. Si tratta di ridare slancio e coraggio alla fede, ormai intiepidita, di molti credenti; questo sarà possibile solo se saremo in grado di rifondare la nostra pastorale sulla missione[17].
L’apostolo Paolo ha l’ardire di chiedere ai Corinti (che per ben tre volte sono stati visitati dall’apostolo): «Esaminate voi stessi, se siete nella fede; mettetevi alla prova» (2Cor 13,5).Appare chiaro, d’altronde, che la fede non è qualcosa di scontato, ma ha bisogno di ritrovare continuamente le sue motivazioni nell’ascolto rinnovato dell’Evangelo. Certo non va dimenticato che la sfida della Nuova Evangelizzazione non riguarda principalmente lo studio di strategie o tecniche pastorali, quanto il continuo impegno per la conversione. Solo la vittoria sul peccato rende splendente il volto dei credenti, illuminati dalla luce pasquale del Risorto[18].
Emerge con chiarezza che la questione della Nuova Evangelizzazione è anzitutto una questione di testimonianza, di diventare testimoni della fede in un mondo secolarizzato. Si avverte la necessità di recuperare una coscienza cristiana consolidata dal confronto vivo con il Vangelo e non col modo di pensare corrente, il costume e le mode.
Il primo parametro di verifica per un cristiano è e resta solo il Vangelo che risuona nella Chiesa. Solo se ci lasciamo convertire dal Vangelo, possiamo essere testimoni credibili e segno del Dio vivente.
Nuova Evangelizzazione e conversione
Centralità e riscoperta della fede equivalgono a impegno per la propria conversione. «Non si può parlare della Nuova Evangelizzazione senza una disposizione sincera di conversione. Lasciarsi riconciliare con Dio e con il prossimo (cfr. 2Cor 5,20) è la via maestra della Nuova Evangelizzazione. Solamente purificati, i cristiani possono ritrovare il legittimo orgoglio della loro dignità di figli di Dio, creati a sua immagine e redenti con il sangue prezioso di Gesù Cristo, e possono sperimentare la sua gioia per condividerla con tutti, con i vicini e con i lontani»[19]. Il Santo Padre così si rivolgeva ai Padri Sinodali: «La fede deve divenire in noi fiamma dell’amore, fiamma che realmente accende il mio essere, diventa grande passione del mio essere, e così accende il prossimo»[20]. Occorrono evangelizzatori appassionati in grado di evangelizzare a tutto campo senza lasciare nulla di intentato e nessuno escluso, secondo il noto Inno dell’Ora Terza: «Accéndat ardor proximos».
Se la verità di Dio è accolta in noi, essa diviene carità che come fuoco accende il prossimo. «Solo in questo accendere l’altro attraverso la fiamma della nostra carità, cresce realmente l’evangelizzazione, la presenza del Vangelo, che non è più solo parola, ma realtà vissuta»[21]. Pertanto, da evangelizzati, diveniamo evangelizzatori e da convertiti siamo annunciatori coraggiosi della conversione. è l’ora preziosa di mostrare a tutti, come il Vangelo cambi la vita. Chiediamo al Signore la grazia di liberarci dall’imbarazzo e dal falso pudore di annunciare francamente Cristo[22].
Tutti sperimentiamo che la semina evangelica, molte volte, passa attraverso la valle del pianto. Numerosi possono essere gli ostacoli, gli insuccessi, le incomprensioni, ma non perdiamo mai la gioia di evangelizzare.
Il contributo dei movimenti e delle associazioni laicali
Vogliamo condividere quanto il Papa ha ribadito sulla Nuova Evangelizzazione e desideriamo che ogni battezzato di questa Chiesa, ne sia consapevole. «La Nuova Evangelizzazione riguarda tutta la vita della Chiesa. Essa si riferisce, in primo luogo, alla pastorale ordinaria che deve essere maggiormente animata dal fuoco dello Spirito, per incendiare i cuori dei fedeli che regolarmente frequentano la Comunità e che si radunano nel giorno del Signore per nutrirsi della sua Parola e del Pane di vita eterna»[23]. L’annuncio del Vangelo è affidato ad ogni battezzato e deve innestarsi nel vivo della pastorale ordinaria promossa dalle parrocchie, dalle associazioni e dai movimenti. «Non si tratta qui di trovare una nuova tattica per rilanciare la Chiesa. Si tratta di deporre tutto ciò che è soltanto tattica e di cercare la piena sincerità…portando la fede alla sua prima identità, togliendo da essa ciò che è solo apparentemente fede, ma in verità è convenzione e abitudine»[24].
Spetta a noi aprire gli occhi e scorgere i segni della presenza e dell’azione dello Spirito di Cristo, che non abbandona mai la Chiesa. Anche il ruolo che i movimenti e le aggregazioni laicali rivestono in questo scorcio di storia è innegabile, eppure anziché essere accolti come doni provvidenziali di Dio, sono visti, talvolta, come un pesante ostacolo.
La forte carica esistenziale che connota lo stile del loro annuncio evangelico risponde ai più urgenti bisogni dell’uomo odierno, del cui baratro e della cui disperazione, purtroppo non siamo sempre consapevoli. «L’adulto oggi si lascia coinvolgere in un processo di formazione e in un cambiamento di vita soltanto dove si sente accolto e ascoltato negli interrogativi che toccano le strutture portanti della sua esistenza: gli affetti, il lavoro, il riposo»[25].
Non sfugga a nessuno il crescente numero di lontani che trovano in queste esperienze forti di fede e di annuncio, il vero volto del Signore. Si presenta ai nostri occhi uno spettacolo davvero consolante: molti lontani toccati dall’ardore missionario di laici adulti, quasi sono contagiati da questa generosità e avvertono il desiderio di lasciarsi accendere dal fuoco dello Spirito, donandosi all’apostolato con chi ancora non conosce Cristo.
La pastorale ordinaria può essere sostenuta e conservata solo se è canale del fuoco dello Spirito e si lascia attraversare dalle novità che il Signore consegna alla Chiesa, altrimenti vera per noi è la parola di Isaia: «Il tuo vino migliore è diluito con acqua» (Is 1,22). Un tesoro ancora nascosto e non messo a frutto è celato in queste nuove realtà. Non abbia ad accaderci come ai contemporanei di Cristo, per i quali ha detto: «A chi posso paragonare questa generazione? è simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”» (Mt 11,16-17). Ci sembra di poter fare un corale atto di fede, nel riscontrare che il Signore ha messo a nostra disposizione tutto ciò che occorre per portare avanti il peso di questa missione. Ci uniamo così alle parole del Papa al Sinodo dei Vescovi: «Anche se la Chiesa sente venti contrari, tuttavia sente soprattutto il vento dello Spirito Santo che ci aiuta, ci mostra la strada giusta; e così con nuovo entusiasmo siamo in cammino e ringraziamo il Signore»[26].
La testimonianza della fede nel sociale
Il Beato Giovanni Paolo II, ricevendo i Vescovi calabresi in visita ad Limina, aveva avuto modo di affermare: «Come non impensierirsi per l’estendersi dell’industria del crimine e della violenza? Come non preoccuparsi nel rilevare che la cultura della solidarietà, vanto della vostra secolare tradizione, sembra a volte sopraffatta da quella dell’interesse privato e dell’ideologia del successo senza scrupoli e senza pietà?»[27].
La missione che abbiamo ricevuto come Chiesa, di rendere visibile il volto di Cristo qui, a Lamezia Terme, richiede una peculiare attenzione al territorio e alle dinamiche sociali che lo attraversano. In particolare la famiglia e il lavoro appaiono davanti a noi come due mondi complessi in cui è presente il rischio concreto di mettere da parte Dio ed innalzare gli idoli dell’egoismo, del piacere, dell’interesse e del profitto. Non di rado, si assiste ad un impoverimento delle relazioni umane, alla dissoluzione delle famiglie sempre più frammentate, a comportamenti eticamente inopportuni di clientelismo e connivenza con il male.
Inoltre dobbiamo riscontrare, con grande sofferenza, che le difficoltà economiche delle famiglie della nostra terra non sempre trovano in noi una risposta solerte ed efficace, lasciando disattese le più semplici esigenze della carità cristiana e della fraternità umana. La Chiesa a Lamezia Terme non vuole essere solo una voce profetica, ma anche una presenza capace di offrire risposte adeguate alle diverse emergenze che contraddistinguono il nostro territorio. Il nostro impegno nella carità concreta e la diffusione del magistero sociale cattolico sono i binari del nostro cammino di evangelizzazione del sociale.
4. L’Anno della Fede è per tutto il popolo di Dio
I presbiteri e i diaconi
Ai carissimi presbiteri e diaconi della Chiesa di Lamezia esprimo la mia gratitudine per il servizio reso al Regno di Dio. L’Anno della Fede, carissimi fratelli, ci veda incamminati insieme nella comune conversione a Dio, sapendo che il buon Pastore«non cerca già il proprio interesse, ma quello dei figli ch’egli ha generato in Cristo mediante il Vangelo. Questo è il fine di ogni spirituale principato: disprezzato affatto il proprio interesse, mirare al vantaggio degli altri»[28].
Sono certo che vivremo con frutto quest’Anno della Fede se ci impegneremo a riscoprire il sacramento del Battesimo che abbiamo ricevuto e che ci ha resi Figli di Dio e membri del popolo cristiano. La preghiera, la meditazione e l’ascesi personale, insieme al cammino comune del presbiterio, riveleranno, con la grazia di Dio, che in nessun modo la fede cristiana può essere vissuta fuori dalla Chiesa di Dio e che noi, in virtù del Sacro Ordine, siamo ad essa legati con vincoli speciali di servizio e dedizione.
Con le parole della santa tradizione dei Padri Apostolici, «dico a tutti voi, che avete ricevuto questo sigillo, di custodire la semplicità e di non conservare il ricordo delle offese e di non ostinarvi nella vostra malizia o nella memoria dell’amarezza delle offese, di divenire uno spirito solo e di medicare o togliere queste funeste discordie, affinché il Signore delle pecore ne sia contento»[29]. Vi esorto paternamente a vivere l’obbedienza al Vescovo nella fede e con la fede.
La vita della Chiesa mostra come l’obbedienza sia e resti il banco di prova della fede di ogni ministro ordinato[30].
I religiosi e le religiose
Ai religiose e alle religiose, che con la loro presenza arricchiscono di vivo splendore la nostra Chiesa diocesana, rinnovo la preghiera per una fedeltà creativa al carisma originario, perché il dono concesso da Dio ad ogni famiglia religiosa, giovi al bene di tutta la Chiesa. Noi sappiamo che, senza questa preziosa collaborazione, resteremmo privi di quella viva tensione per la missione, che contraddistingue la vita religiosa[31].
Sentiamo il desiderio di ringraziare i consacrati e le consacrate per il servizio prezioso svolto nel silenzio e con sacrificio, a favore degli ultimi e dei poveri, attraverso la catechesi, la cura degli ammalati e la collaborazione nelle parrocchie e nei centri di spiritualità. L’invito paterno è di vivere con generosità il cammino diocesano della comunione. Un pensiero particolare è rivolto alle Sorelle Povere di Santa Chiara, la cui presenza in Diocesi è motivo di grande speranza per il bene della nostra Chiesa. Esorto i presbiteri e i diaconi, insieme ai laici, a gustare la presenza di queste nostre sorelle, la cui testimonianza di consacrazione al Signore offre a noi un richiamo ad una sequela generosa e decisa e un anelito all’Assoluto che deve sempre caratterizzare la vita e la predicazione del Vangelo. Sappiamo di essere accompagnati nel nostro ministero dalla loro costante preghiera.
I fedeli laici
Ai fedeli laici rivolgo un accorato appello a rinnovare la propria adesione a Cristo, perché la fede nel Signore Risorto diventi il criterio primo per le concrete scelte di vita. «Tutto ciò che fate in parole ed in opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre» (Col 3,17).
Sia la Parola di Dio la fonte ispiratrice delle vostre azioni. Riscoprite il Battesimo! è questo il contenuto di ogni conversione e la base di qualsiasi apostolato. Anche l’associazionismo cattolico, se prescinde da questo basilare punto, rischia di proporre cammini non cristianamente fruttuosi, mancando di generare ad una fede adulta e consapevole. Rispondete con generosità alla voce di Cristo che vi chiama ad essere i protagonisti della Nuova Evangelizzazione.
Nella preghiera comune al Signore, supplichiamo una rinnovata Pentecoste perché siano dati a tutti il coraggio e l’audacia di evangelizzare, con fatti e parole! Vi invito a seguire con generosità il vento dello Spirito, a percorrere le sue vie ed approfittare dei mezzi che la Chiesa mette a vostra disposizione per conoscere, vivere e testimoniare la fede.
Le parole dell’Apostolo Giacomo «Io con le mie opere ti mostrerò la mia fede» (Gc 2,18) mostrano un chiaro distintivo dell’identità del discepolo di Cristo. Il cristiano è eletto per servire, su modello di Cristo che si è fatto servo obbediente fino alla morte. Pertanto, servire la pace, la riconciliazione e la verità in una città, nella quale non sembra placarsi la spirale di violenza, è un’urgenza insopprimibile della vocazione cristiana. La Nuova Evangelizzazione si sviluppa in una realtà contraddistinta da una varietà e complessità di situazioni in cui solo i laici possono e devono essere testimoni credibili del Vangelo per certi luoghi e per alcuni uomini nel nostro territorio. Inoltre il vostro apporto e aiuto nel discernimento dei segni dello Spirito, nel tempo presente, è irrinunciabile ed unico a motivo del genere di vita nei diversi campi della società umana.
Tutto questo ci porta a ribadire che il cristiano non può pavidamente esimersi dal dare il suo contributo alla nascita e allo sviluppo di una società più giusta a misura umana e secondo la piena corrispondenza alla volontà di Dio, che tutto muove per il nostro bene. Da lontano scorgiamo semi di bene e di speranza, che dicono una rinascita della fiducia nelle istituzioni e la pratica e conoscenza della legalità. L’appello accorato del Vescovo di questa Chiesa è che cristiani adulti e maturi, sappiano spendersi e adoperarsi per il bene comune della città di Lamezia Terme e dei municipi presenti nell’intero comprensorio diocesano. Solo un servizio disinteressato alla cittadinanza, scevro da ogni tornaconto, può ridare dignità alla nobile missione del far politica. Questa terra, nonostante l’ora buia che attraversa, vuole giorni di pace[32].
Conclusione
Affidàti all’intercessione di Maria
Fratelli e sorelle rivolgiamo lo sguardo a Maria Madre di Dio, stella dell’evangelizzazione, proclamata beata perché ha creduto all’adempimento della Parola del Signore (cfr. Lc 1,45).
In Lei, Donna dell’Attesa, per la misericordia di Dio, ciò che umanamente era impossibile è diventato possibile. Nostra Madre è davvero segno di consolazione e di sicura speranza, in quanto in Lei vediamo come la salvezza dipenda da Dio. Per quanto possiamo fare o progettare, se tutto fosse lasciato alla debole fiamma delle nostre possibilità e forze, non potremmo mai raggiungere Dio.
Ma alla fiamma smorta e al lucignolo fumigante dei nostri cuori è stata accesa la luce pasquale del Signore, il Vivente, che è venuto e che viene. A immagine del sì di Maria, noi confidiamo che la risposta della nostra Diocesi, all’invito di custodire la veste nuziale della carità e testimoniare il dono della fede, porterà una nuova maternità apostolica ed ecclesiale (cfr. Gal 4,4.19.26).
«Anche noi dunque,
circondati da tale moltitudine di testimoni,
avendo deposto tutto ciò che è di peso
e il peccato che ci assedia,
corriamo con perseveranza
nella corsa che ci sta davanti,
tenendo fisso lo sguardo su Gesù,
colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.
Egli, di fronte alla gioia che gli era posta innanzi,
si sottopose alla croce,
disprezzando il disonore
e siede alla destra del trono di Dio» (Eb 12,1-2).
+ Luigi Antonio Cantafora
Vescovo di Lamezia Terme
Lamezia Terme, 2 dicembre 2012, I Domenica d’Avvento
[1] Il titolo di questa Lettera Pastorale è liberamente ispirato ai versetti di un tropario bizantino cantato dai fedeli dopo la comunione.
[2] Benedetto XVI, Catechesi, 17 ottobre 2012.
[3] «Il Concilio è stato un tempo di grazia in cui lo Spirito Santo ci ha insegnato che la Chiesa, nel suo cammino nella storia, deve sempre parlare all’uomo contemporaneo, ma questo può avvenire solo per forza di coloro che hanno radici profonde in Dio, si lasciano guidare da Lui e vivono con purezza la propria fede; non viene da chi si adegua al momento che passa, da chi sceglie il cammino più comodo. (…) Il Cristianesimo è un albero che è sempre giovane. L’attualità, l’aggiornamento non significa rottura con la tradizione, ma ne esprime la continua vitalità; non significa ridurre la fede, abbassandola alla moda dei tempi, al metro di ciò che ci piace, a ciò che piace all’opinione pubblica» (Benedetto XVI, Discorso ai vescovi che hanno partecipato al Concilio Ecumenico Vaticano II e ai Presidenti di Conferenze Episcopali, 12 ottobre 2012).
[4] Benedetto XVI, Omelia, 15 luglio 2012.
[5] Id., Omelia, 11 ottobre 2012.
[6] «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Benedetto XVI, Deus Caritas Est, 2005, 1).
[7] Il linguaggio veterotestamentario conosce diversi termini per indicare l’atto umano del credere. Tra questi bataH con il senso di confidare, tipico delle preghiere e degli inni; oppureHasah con il senso di rifugiarsi in cerca di una protezione sicura. In particolare batah rimanda al restare saldi e fermi, poggiati su di una roccia sicura come troviamo affermato in Isaia: «Se non crederete non avrete stabilità» (Is 7,9). Farà eco Paolo quando scriverà agli Efesini: «Edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù» (Ef 1,20).
[8] Conferenza Episcopale Italiana, Lettera ai cercatori di Dio, 2009, 5.
[9] Baldovino di Canterbury, Il Sacramento dell’Altare, 12,8.
[10] Clemente Alessandrino, Esortazione ai pagani, 11,2.
[11] Restano per noi memorabili le parole del Santo Padre pronunciate nella Messa di Inizio del Ministero Petrino: «Chi fa entrare Cristo, non perde nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! Solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana» (Benedetto XVI, Omelia, 24 aprile 2005).
[12] «Noi annunciamo la venuta di Cristo, non la prima soltanto, ma anche la seconda, più grandiosa della precedente. La prima fu contrassegnata dai patimenti, la seconda porterà il diadema della divina regalità. (…) Una duplice discesa: una nascosta e silenziosa come quella della rugiada sul falciato (cfr. Sal 71, 6), un’altra pienamente manifesta, quella futura. Alla prima venuta, fu avvolto in fasce e posto in una mangiatoia; nella seconda, si rivestirà di luce come di un manto (Sal 103, 2)» (Cirillo di Gerusalemme, Katechesis IE Photizomenon, 15,1-3).
[13] Ireneo di Lione, Contra haereses, liber IV, 20, 4-5.
[14] «La terra che sta sotto i nostri occhi non ci appaga: è solo un inizio, è solo la promessa di qualche cosa che è al di là; anche quando è tutta in festa con tutti i suoi fiori, anche quando mostra, in modo commovente, tutto quel che vive celato in lei, anche allora non ci basta. Sappiamo che c’è molto di più di quel che possiamo vedere» (J. H. Newman, Parochial and Plain Sermons, vol. IV, 13° discorso, Rivingtons, London, Oxford and Cambridge 1870, 209-211).
[15] Agostino, Commento alla Prima lettera di Giovanni, 4,6.
[16] «La luce di Dio brilla in questo mondo unicamente nelle luci della speranza, che la sua bontà ha acceso lungo il nostro cammino. (…) può mai esserci una luce migliore per noi, esseri pellegrinanti, di quella che ci rende liberi di procedere senza paura, perché sappiamo che al termine della via c’è la luce dell’amore eterno?» (J. Ratzinger, Il tempo dell’Avvento, Queriniana, 2005, 80).
[17] «La Nuova Evangelizzazione è la capacità da parte della Chiesa di vivere in modo rinnovato la propria esistenza comunitaria di fede e di annuncio dentro le nuove situazione culturali che si sono create in questi ultimi decenni. (…) I destinatari sono i battezzati delle nostre comunità che vivono una nuova situazione esistenziale e culturale, dentro la quale è compromessa la loro fede e testimonianza. La Nuova Evangelizzazione consiste nell’immaginare situazioni, luoghi di vita, azioni pastorali che permettano a queste persone di uscire dal “deserto interiore”, immagine usata da Papa Benedetto XVI per raffigurare la condizione umana attuale, prigioniera di un mondo che ha praticamente espunto la questione di Dio dal proprio orizzonte. Avere il coraggio di riportare la domanda su Dio dentro questo mondo; avere il coraggio di ridare qualità e motivi alla fede di molti delle nostre Chiese, questo è il compito specifico della Nuova Evangelizzazione» (cfr. Instrumentum Laboris del Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, 8-10).
[18] «In realtà, il richiamo alla Nuova Evangelizzazione è prima di tutto un richiamo alla conversione. Infatti, attraverso la testimonianza di una Chiesa sempre più fedele alla sua identità e più viva in tutte le sue manifestazioni, gli uomini e i popoli di tutto il mondo potranno continuare a incontrare Gesù Cristo» (Giovanni Paolo II, Discorso ai vescovi latino-americani, 12 ottobre 1992).
[19] Benedetto XVI, Omelia, 7 ottobre 2012.
[20] Id., Meditazione, 8 ottobre 2012.
[21] Ibidem.
[22] «La Chiesa deve andare verso tutti con la forza dello Spirito (cfr.1Cor 2,5) e continuare profeticamente a difendere il diritto e la libertà delle persone di ascoltare la Parola di Dio, cercando i mezzi più efficaci per proclamarla, anche a rischio della persecuzione. Con tutti la Chiesa si sente debitrice di annunciare la parola che salva (cfr. Rm 1,14)» (Benedetto XVI, Verbum Domini, 2010, 96). Invito a considerare anche questo testo di Paolo VI: «Conserviamo la dolce e confortante gioia d’evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime. Sia questo per noi – come lo fu per Giovanni Battista, per Pietro e Paolo, per gli altri Apostoli, per una moltitudine di straordinari evangelizzatori lungo il corso della storia della Chiesa – uno slancio interiore che nessuno, né alcuna cosa potrà spegnere. Sia questa la grande gioia delle nostre vite impegnate. Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo» (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 1975, 80).
[23] Benedetto XVI, Omelia, 28 ottobre 2012.
[24] Id., Discorso ai cattolici impegnati nella Chiesa e nella società in Germania, 25 settembre 2011.
[25] Conferenza Episcopale Italiana, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 2004, 6.
[26] Benedetto XVI, Discorso ai Padri Sinodali, 27 ottobre 2012.
[27] Giovanni Paolo II, Allocuzione ai Vescovi della Calabria, 1992.
[28] Gregorio di Nazianzo, Discorso II, 45,2.
[29] Pastore di Erma, Similitudine IX, 31, 4-5.
[30] «Sì, carissimi! è vero che anche noi siamo uomini; che anche noi, incaricati di portare voi, siamo deboli. (…) Sembrerebbe che noi per il fatto che stiamo in luogo elevato siamo i vostri comandanti; tuttavia è così schiacciante il peso della sollecitudine e della cura che abbiamo per voi che ci fa stare sotto i vostri piedi. Miei fratelli, ma che cos’è, che cos’è qualsiasi virtù che possegga il servo di Dio se gli manca l’obbedienza? E l’obbedienza che cos’è? A voi sta a cuore la carità; ora l’obbedienza è sua figlia, è la figlia della carità, la quale certamente non può essere sterile. Nessuno dunque vi inganni in qualche maniera; nessuno dica: “Io l’obbedienza non ce l’ho, ma ho la carità”. Non hai certissimamente neppure la carità. (…) Hai la carità? Mostramene il frutto! Fa’che io veda l’obbedienza e goda dell’obbedienza. Che io possa stringere fra le braccia la figlia per riconoscere la [fecondità della] madre. (…) Tolga Dio e dai vostri cuori e dal nostro animo addolorato l’idea di tumultuare in chiesa, l’idea di gridare, l’idea di farla da padroni. E ci conceda di godere sempre della vostra obbedienza» (Agostino d’Ippona, Discorso 359/B, 12).
[31] «Una diocesi che restasse senza vita consacrata, oltre a perdere tanti doni spirituali, appropriati luoghi di ricerca di Dio, specifiche attività apostoliche e metodologie pastorali, rischierebbe di trovarsi grandemente indebolita in quello spirito missionario che è proprio della maggioranza degli Istituti. è pertanto doveroso corrispondere al dono della vita consacrata, che lo Spirito suscita nella Chiesa particolare, accogliendolo generosamente con rendimento di grazie» (Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 1996, 48).
[32] «I fedeli laici non possono abdicare alla partecipazione politica (…). Le accuse di arrivismo, di idolatria del potere, di egoismo, di corruzione (…), come pure l’opinione (…) che la politica sia un luogo di necessario pericolo morale, non giustificano minimamente né lo scetticismo, né l’assenteismo dei cristiani per la cosa pubblica» (Giovanni Paolo II, Christifideleslaici, 1988, 42).