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Cultura e Società

Eremita Viandante. Laicità e contemporaneità in san Francesco di Paola

Paolo Emanuele · 12 anni fa

Un volume che porta novità sulla figura del Santo Calabrese scritto da Filippo D’Andrea di Mons. Erminio Raimondo E’la sua seconda fatica letteraria su san Francesco di Paola del prof. Filippo D’Andrea, scritta dopo 15 anni dalla prima centrata sull’ascetismo sociale del Santo, dal titolo: S. Francesco di Paola. Asceta sociale. Ho detto fatica letteraria, e sottolineo fatica, perché non è così semplice scrivere un libro, e ancor di più scriverlo da laico cristiano sulla figura di un santo della statura di Francesco di Paola per la non sempre facile interpretazione delle fonti e per le sue stesse scelte di radicalità evangelica non facilmente proponibili a chi oggi vive tra le crescenti comodità del mondo senza alcun richiamo di un mondo eterno. Non si può scrivere un’opera del genere senza un grande amore al santo e senza una particolare predisposizione interiore, presupposti che non sono mancati al prof. D’Andrea, perché da sempre, sin dagli anni giovanili, frequentando la Parrocchia di San Francesco di Sambiase, suo paese natale, si è avvicinato e poi Pontificia Università Lateranense e collaboratore del Beato Giovanni Paolo II, P. Giuseppe Fiorini Morosini, oggi vescovo di Locri-Gerace, e altri ancora fino all’attuale Correttore Provinciale dell’Ordine dei Minimi, P.Rocco Benvenuto.

Nel titolo del libro Eremita Viandante troviamo già la chiave di lettura di tutta l’opera. Il termine Viandantenon è, o non è solo - come si può pensare (almeno così mi è parso di capire! ) - un riferimento geografico ai viaggi fatti dal Santo in Calabria e fuori della nostra terra di Calabria, ma una metafora dell’itineranza dell’anima alla ricerca della vera fonte della felicita e della vera libertà che San Francesco trova nella contemplazione di Dio principio, fondamento e fine di ogni valore umano. L’opera infatti più che storica è teologica. E qui vedo l’intento innovativo del prof. D’Andrea di approfondire e sfrondare la figura del santo dall’eccessivo devozionismo popolare finalizzato unicamente agli aspetti miracolistici - il più delle volte di ostacolo ad una adesione profonda al mistero della persona di Gesù Cristo– per far riemergere la specifica vocazione alla quale Dio ha chiamato San Francesco: l’annuncio del regno di Dio con lo specifico carisma penitenziale. La missione evangelizzatrice di San Francesco incomincia da una grotta situata sul pendio di un “fragoroso torrente immerso in un bosco”, in cui il santo è stato spinto dallo Spirito Santo per affermare il primato di Dio. “La grotta di Francesco – scrive il prof. D’Andrea – fu luogo di contemplazione del Crocifisso, tempio di dialogo con Dio, ma anche casa del popolo sofferente e chiedente liberazione dall’oppressione sociale e politica”. Dalla una grotta, dunque, parte l’evangelizzazione del santo eremita, e da una grotta - intesa come luogo di contemplazione e di incontro con Dio - potràripartire oggi la nuova evangelizzazione del mondo con l’apporto determinante dei laici.

Un libro da poco pubblicato da P. Raniero Cantalamessa porta il titolo Come la scia di un vascello. Questo titolo si ispira a una immagine di Chiarles Peguy che parla della preghiera cristiana come la scia di un vascello con una punta – le due mani giunte di Cristo – che va allargandosi fino a perdersi all’orizzonte.

Con un’altra immagine P. Cantalamessa richiama il punto di partenza di ogni apostolato laicale. Raffigura la potenzialità del laico come una specie di energia nucleare che si sprigiona da un atomo bombardato e spezzato in due dall’urto di una particella di uranio, il neutrone; i due elementi rompono a loro volta altri due atomi, questi altri quattro e così via … Un laico può fare la stessa cosa nel diffondere la luce benefica del vangelo mettendo a frutto il suo specifico carisma che trae la sua forza dal contatto continuo con Gesù Cristo.

“Contemplari et contemplata alii stradere“ - scrive San Tommaso -: prima contemplare, attingere la verità nell'ascolto e nella comunione con Dio e poi donare agli altri il frutto della propria contemplazione.Proprio così per Francesco: c’è nella sua vita un intreccio mirabile tra preghiera e azione. Nella grotta di Paola San Francesco si disseta alla sorgente divina per poi riversare quello che riceve durante l’orazione dal contatto con Dio nelle opere di giustizia, nell’impegno sociale, nell’attenzione agli ultimi del suo tempo. “Proprio la grotta, luogo di orazione, meditazione profonda, contemplazione – cito il testo del prof.D’Andrea (pag. 20) - San Francesco si incontrava con il popolo affamato di giustizia e di pace, di risposte di fede concrete”. Dovrebbe essere un esempio per tutti. “Noi – diceva S. Francesco di Assisi, il primo Francesco a cui è legata la vita del nostro patrono – noi abbiamo un eremitaggio sempre con noi dovunque andiamo e ogni volta che lo vogliamo possiamo, come eremiti, rientrare in questo eremo. Fratello corpo è l’eremo e l’anima l’eremita che vi abita dentro per pregare Dio e meditare” (Fonti francescane, Legenda perugina, 80).

Il libro Eremita errante edito da Progetto duemila di Demetrio Guzzardi con l’introduzione del Vescovo Morosini, affronta due temi fondamentali: i temi della laicità e della contemporaneità in San Francesco. Temi interessantissimi. San Francesco non faceva parte della gerarchia ecclesiastica. Non era né prete, né diacono. Diaconato e presbiterato sono i primi due gradi dell’Ordine sacro con cui si entra nel corpo ecclesiale per l’esercizio specifico di un ministero a servizio del popolo di Dio.E non mi sembra che San Francesco abbia avuto troppi rapporti con il clero del suo tempo. Era un laico.

Chi è il laico nella Chiesa? E’il cristiano impegnato nella costruzione della città terrena. In piena sintonia con i documenti del magistero e il Catechismo della Chiesa Cattolica il prof. D’Andrea definisce il laico cristiano come “colui che anche alla luce della penitenza quaresimale proposta dal nostro Santo vive pienamente l’indole secolare propria del laico nella fatica, nella sofferenza, nel consumarsi per gli altri, nel sopportare il peso quotidiano dell’impegno in ogni ambito di vita: la famiglia, il lavoro, la società, la politica, le istituzioni … l’essere dentro tutte queste dimensioni come strumento di edificazione della città dell’uomo e di Dio implica ineludibilmente una grande forza interiore radicata nella spiritualità penitenziale“ (pag. 148). Il prof. D’Andrea esplicita ancora con estrema chiarezza i contenuti della spiritualità laicale in una pagina stupenda che per me non riguarda solo il laicato del Terz’Ordine dei Minimi, ma ogni laico cristiano. Una efficace spiritualità laicale (pag. 149) comporta: Il digiuno dei momenti di serenità personale e familiare, l’astenersi dal partecipare a banchetti di guadagni immorali, la sofferenza di incedere nella coerenza assoluta con le beatitudini evangeliche nonostante le tentazioni sempre in agguato ed appetibili, il respingere le calunnie che sporcano pubblicamente la propria trasparenza etica …, la fortezza nel mantenersi integerrimi nonostante dichiarati fratelli nella fede tradiscano e si arricchiscano facendo parte di carrozzoni di corruzione, consolidando zone grigie prossime al malaffare o alle organizzazioni mafiose o poteri massonici. La penitenza sociale e politica, la penitenza pubblica sono pratiche ascetiche laicali che costruiscono la storia della salvezza. Non si poteva esprimere meglio di così il ruolo decisivo del laico nel permeare davvero la società e le istituzioni di lievito evangelico.

San Francesco come uomo laico ha pure una idea precisa nella mente sulla famiglia e sulla spiritualità del lavoro.

“La famiglia è il primo spazio per l’impegno sociale, ma ancora di più … la prima originaria espressione della dimensione sociale della persona” (pag. 44). In più occasioni San Francesco ritorna sulla fondamentalità di una piena e autentica vita familiare toccando diversi aspetti: genitori-figli, amore coniugale e fecondità, la famiglia come luogo di nutrimento morale e spirituale.

Veramente Illuminanti sono, poi, le sottolineature che il prof. D’Andrea dedica alla spiritualità del lavoro e all’impegno sociale di San Francesco.

La spiritualità del lavoro dell’Eremita Viandante nasce dalla sua stessa esperienza lavorativa quotidiana: … lavorava per tutto il giorno la terra con le proprie mani e quando era stanco, si ritirava in una piccola grotta. Francesco di Paola eraun lavoratore orante. Importante questo, perché “un’azione che non è fondata in quel “quid” che chiamiamo contempalzione- sto citando il testo -non è una vera azione”. San Francesco considerava il lavoro come luogo di evangelizzazione e di conversione. “Quando costruiva il convento, ‘lo monasterio’dove erano trecento masculi et feminae predicava declarando lo evangelio”. Il lavoro per San Francesco converte, cambia i cuori, mette sul terreno della guarigione interiore, morale. Egli lega sempre il lavoro alla giustizia sociale, alla condivisione, alla solidarietà, all’uguaglianza, dando il primato alla coscienza morale: “Felice chi si dà pensiero più della coscienza pulita che della cassa piena”.

“L’Eremita Francesco– scrive il prof. D’Andrea - è il Santo della spiritualità sociale, immerso pienamente nell’umano del suo tempo”.Il male sociale è per San Francesco conseguenza del male morale che si radica nel male spirituale. E proprio individuando il male morale nella assenza o nella cattiva vita spirituale che il santo calabrese rivolge il suo rimprovero ai potenti e agli umili, ma sempre con finalità di misericordia. “Sire - dice al Re di Napoli che gli voleva offrire un vassoio di monete d’oro per ingraziarsi il taumaturgo – restituite questi scudi d’oro a quelli che avete spogliato prima”. Ne ha anche per la povera gente, per i furbi. “Retornate la cerasa al padrone per carità”. Il metodo usato da S. Francesco, in breve, per sanare le ferite umane e sociali era un connubio tra giustizia e misericordia: “applicare la verga con la mamma e l’olio con il vino, cioè la giustizia con la misericordia e viceversa” (Quarta regola). La verità, secondo San Francesco, converte furbi e rapaci.

Non posso dire tutto. Sulla spiritualità sociale ci sono pagine veramente da meditare. Il libro bisogna leggerlo e leggerlo con attenzione.

Ma ancora più singolare, il prof. D’Andrea ci fa scoprire del nostro santo il significato evangelico della cultura: San Francesco non era un ignorante. Aveva una cultura di base, spesso citava le scritture in latino, ma in particolare seminava il valore della conoscenza per essere migliori come uomini. La scienza infusa dell’uomo di Dio ha fatto maturare tra i suoi discepoli delle successive generazioni il concetto della utilità della cultura, ma nell’umiltà, arrivando alla creazione di centri di studi di altissimo livello. Fede e cultura – commenta il prof.D’Andrea – sono come due buone sorelle. Francesco fu uomo di grande intelligenza capace di coraggio e di adattamento.

Non posso più dilungarmi, ma tante, veramente tante sono le stimolazioni che provoca la lettura del libro. Ovviamente richiede una lettura meditata, come ogni libro che si propone di aiutare l’uomo nella sua crescita spirituale e morale.

Concludo con un grazie al prof. Filippo D’Andrea per quanto ha scritto con l’augurio che l’opera possa incontrare il favore e il compiacimento di tanti lettori e devoti di San Francesco.