«Mariella, dove vai? Lì c’è pericolo di perdersi!». Niente da fare. Mariella, sei anni, incurante dei richiami di mamma Clara, davanti a due sentieri, uno dei quali noto, l’altro mai percorso, cosa aveva scelto? Il secondo, naturalmente. «Dai, vieni anche tu, fifona – disse alla cuginetta -, non ci succederà niente di male». Sì perché Mariella per natura era fiduciosa e ottimista. Per natura… ma da dove le venivano quella fiducia e quell’ottimismo? Indubbiamente dall’essere nata in una famiglia unita: grazie a mamma Clara e a papà Francesco, sia lei che era la primogenita, sia gli altri figli (in tutto sarebbero diventati cinque sorelle e due fratelli) avrebbero avuto sempre la certezza di essere amati di un amore la cui fonte era il Padre celeste. Figurarsi se genitori così non erano stimati e benvoluti in paese! Ancora oggi i più anziani ricordano il dottor Francesco (era medico) prestare gratuitamente la propria opera ai più poveri e non disdegnare di cavalcare un asinello per raggiungere chi, nelle zone più distanti, poteva aver bisogno del suo aiuto. Caro papà… da tempo Mariella non lo vedeva perché, richiamato alle armi in quel tempo di guerra, non era ancora ritornato. Ora Mariella e i suoi, da Napoli, dove anni prima si era trasferita la famiglia, erano tornati in Calabria, al loro paese natale, ospiti nella grande casa di nonno Gaspare e nonna Luigina. Ogni tanto la bambina s’immalinconiva pensando al papà lontano. Ma la sua indole allegra aveva presto il sopravvento, e allora trascinava altre compagnette nei giochi semplici e innocenti della loro età. C’era sempre così tanto da scoprire, da inventarsi! Per esempio – visto che a Mariella il coraggio non mancava – fare le “esploratrici” nella giungla, in realtà il bosco che circondava l’altura su cui sorgeva il paesello. «Vieni, fifona!» aveva detto alla cuginetta, mentre gli altri parenti sostavano sotto gli alberi dopo il picnic sull’erba; e senza indugio s’era inoltrata in quel sentiero che, per essere piuttosto selvaggio e ingombro di vegetazione, dimostrava di essere poco praticato dalla gente del posto. Camminavano, le due bimbe, tenendosi per mano, rompendo il silenzio del bosco con le loro grida scherzose (l’allegria di Mariella aveva contagiato anche la fifona), immaginando ora di essere dirette verso chissà quale terra sconosciuta, ora di veder spuntare dietro qualche cespuglio qualche folletto barbuto dal cappuccio a punta. Il sentiero costeggiava a tratti il fiume Oliva, di cui si udiva il mormorio come una voce amica. «Ascolta! - disse Mariella alla compagna, fermandosi di botto –: non ti sembra di udire una musica?». «Veramente io non sento niente… Senti, Mariella – già la riprendevano i suoi timori –, non sarà il caso di tornare dai nostri genitori? è già quasi sera…». «Aspetta ancora un poco. Io però la musica la sento… fa così». E con la sua vocetta infantile si mise a cantare: «Li-biam, li-i-biamo nei lie-e-ti ca-lici… » – era il “brindisi” della Traviata –, cercando di imitare il papà quando le cantava brani lirici con la sua bella voce tenorile, per poi chiederle: «Indovina di che opera è». «Che matta che sei!», scoppiò a ridere l’altra. In quell’istante furono sorprese da un richiamo lontano: «Mariella, Rosaria, venite! Stiamo per tornare a casa». Erano le rispettive mamme che richiamavano le pecorelle smarrite all’ovile. Le due bambine rifecero il cammino di corsa. Quando giunsero al posto dove erano attese, la sera – era una bella sera estiva, piena di pace – era ormai calata, quasi fosse scivolata silenziosa dalle cupole degli alberi. «Eccovi finalmente! è tardi ed è ora di tornare a casa. Ma prima guardate…». «Oh, mamma! Che bello!», esclamò Mariella. Negli angoli più bui e frondosi della piccola radura, una moltitudine di puntini luminosi palpitavano nell’aria. «Sì, le lucciole. Fantastiche, vero?», sorrise mamma Clara. Mariella, rapita come quando nella chiesa di Santa Maria delle Grazie fissava le candele accese davanti alle immagini sacre, contemplò in silenzio quello spettacolo. La schiera luminosa si univa, si sparpagliava qua e là come un pulviscolo dorato che tutto rendeva fantastico e misterioso. Chissà perché, le ritornò il pensiero del papà lontano e nell’intimo ebbe la certezza che l’avrebbe rivisto presto, così da riprendere i loro “duetti”canori. E accostandosi alla cuginetta, le venne da sussurrarle all’orecchio con tono quasi solenne: «Lo vedi? Quello è il respiro di Dio». (da Città Nuova)
Favola
Il respiro di Dio
Gigliotti Saveria Maria · 8 anni fa