Sorelle e fratelli carissimi, La parola di Dio, in forma solenne e nello stesso tempo amorevole, ci ha ricordato poc’anzi che “siamo stati chiamati a libertà”. Questo appello giunge in modo particolare a voi, Parlamentari, Politici, Amministratori, convenuti in questa Chiesa Cattedrale per celebrare il vostro Giubileo. Tutti saluto cordialmente, con uno speciale pensiero per i Sindaci presenti tra noi. Ma, in questo giorno abbiamo voluto che fossero presenti anche i rappresentanti del mondo del lavoro: quindi i lavoratori, le lavoratrici, e le loro organizzazioni sindacali. Due mondi che spesso vengono presentati in conflitto. La Chiesa come una madre vorrebbe prenderli insieme e – il più possibile – prospettare e condividere un cammino comune, con obiettivi comuni insieme al mondo delle istituzioni e al mondo del lavoro. Il Giubileo della misericordia che stiamo vivendo insieme in questo giorno, ci rinnova l’appello alla conversione. è la chiamata che Dio ci fa per cambiare vita, per lasciarci toccare il cuore dall’amore di Dio, perché la conversione non è questione di un gesto o di un momento, ma è un cammino e un impegno che dura tutta la vita. Ce ne vuole per recuperare e ricostruire insieme lealmente la “nostra casa comune”! E l’apostolo San Paolo descrive questo impegno proprio nei termini di libertà. “Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù”. “Libertà” è una parola chiave della nostra esistenza e della nostra convivenza, essa è stata il motore di grandi cambiamenti sociali e politici. Essa è un bene prezioso, negato in diverse parti della terra e comunque, non sempre profondamente vissuto. Infatti la libertà è un diritto, ma anche una responsabilità. E ci sentiamo talmente liberi, da essere quasi insensibili addirittura al richiamo della coscienza, del bene e del giusto. La nostra civiltà occidentale ci ha fatto maturare nell’idea della libertà come capacità di autodeterminazione, che significa che nessuno può decidere di me. Siamo giustamente gelosi di questa prerogativa di autodeterminazione, però nel concetto di libertà umana siamo chiamati a includere la realtà della coscienza, del bene e del giusto! La libertà è anche una parola nel nome della quale hanno pianto e piangono miliardi di persone, tutte quelle generazioni di uomini e donne, anziani e giovani, nati e vissuti e morti schiavi di molte schiavitù, anche di quelle autoprocurate. Non dobbiamo dunque meravigliarci che sia la parola sulla quale ci incontra Dio. Ebbene, se esistesse una «carta d’identità» per i cristiani, certamente la libertà figurerebbe fra i tratti caratteristici. La libertà dei figli di Dio è il frutto della riconciliazione con il Padre operata da Gesù, che ha assunto su di sé i peccati di tutti gli uomini e ha redento il mondo con la sua morte sulla croce e trasformati con la sua risurrezione. Nessuno ci può privare di questa dignità. Una libertà donata come “liberazione”, che anche noi purtroppo potremmo sottovalutare e perdere. Gesù è l’uomo della scelta giusta, della libertà totale. è proprio questo Gesù che vogliamo guardare, per imparare ancora una volta, ancora meglio, che cosa è la libertà dei cristiani. Gesù esercita la sua libertà in maniera definitiva scegliendo la Croce. Gesù esercita la sua libertà, “prendendo la risoluzione di andare a Gerusalemme”, ovvero prendendo la risoluzione di offrire la propria vita per tutti: morire per poi risorgere, donarsi come il chicco di grano che si trasforma e moltiplica in spiga che porta frutto. La libertà di Cristo e la libertà dei cristiani è la libertà di consegnarsi per il bene degli altri. La libertà di servire non è un paradosso. Ogni mia scelta e azione avviene sempre davanti a Dio e davanti agli altri. Specie noi, istituzioni e rappresentanti del mondo del lavoro, dobbiamo sentire urgente e forte la responsabilità verso gli altri, e anche il ruolo di valorizzare le responsabilità degli altri. Eppure anche noi qui, chiamati ad essere le guide, i responsabili del bene comune, talvolta induriamo il nostro cuore, diventando incapaci di ascoltare la voce del Signore e le voci delle persone che si rivolgono a noi. Papa Francesco nell’Evangelii gaudium, scrive: “Chiedo a Dio che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo! La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune. Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! è indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini”. Non abbiamo paura, carissimi tutti, di fare un serio esame di coscienza, di riconoscere anche le nostre colpe, certi che il Signore ci ama e che ci ha già perdonato. A noi, però, l’impegno di rilanciarci, di vivere e di attuare tale conversione nella nostra vita. Mi fa riflettere l’insistenza di papa Francesco, nell’incontro avuto con i politici italiani nel 2014, nel richiamare il rischio di parte della classe politica di allontanarsi dalla gente, di chiudersi nel proprio gruppo, nell’avere un cuore indurito, idolatra, passando così da peccatori a corrotti. Ma stasera, è anche doveroso dire grazie e raccomandare al Signore tutti i buoni amministratori, i signori sindaci, i vari assessori e consiglieri, i lavoratori, i loro rappresentanti che con coscienza ogni giorno vivono la propria battaglia. Non è facile amministrare in una terra piena di emergenza come la nostra! Non è facile lavorare qui dignitosamente! Non è facile difendere i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici! I problemi sono tanti e gli ostacoli sono grandi come il mondo. Pensiamo anche agli stranieri che lavorano da noi. Per loro, e per i calabresi stessi, quanto spazio esiste per il giusto lavoro, per i giusti prezzi di mercato, per giusti contratti? Ma il coraggio, l’impegno e la tenacia non mancano a tanti di voi. Nel Giubileo del 2000, San Giovanni Paolo II aveva eletto come patrono dei politici e degli amministratori San Tommaso Moro. La sua figura è veramente esemplare per chiunque sia chiamato a servire l'uomo e la società nell’ambito civile e politico. Come statista, egli si pose sempre al servizio della persona, specialmente se debole e povera. Soprattutto, egli non scese mai a compromessi con la propria coscienza, giungendo fino al sacrificio supremo pur di non disattenderne la voce. Come San Tommaso Moro possiate essere coraggiosi testimoni di Cristo e integerrimi servitori della Repubblica, dello Stato e delle nostre popolazioni.
La parola del Vescovo
"Possiate essere coraggiosi testimoni di Cristo e integerrimi servitori della Repubblica, dello Stato e delle nostre popolazioni"
Gigliotti Saveria Maria · 8 anni fa