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Il Vangelo della domenica

Corriamo a tutta velocità, ma verso dove?

Gigliotti Saveria Maria · 8 anni fa

Oggi assistiamo al più straordinario potere di Gesù: quello di far retrocedere la morte. Abbiamo due cortei: uno, “guidato” da un morto, che esce triste-mente dalla città e va verso la tomba; un altro, guidato da Colui che è Via, Verità e Vita, gioioso, allegro, che vuole toccare l’altro corteo. Il morto è un bambino, figlio unico di una vedova che piangeva sconsolatamente. Già le era morto il marito e con lui l'unica fonte di sostentamento; ora le viene a mancare pure il figlioletto, unica garanzia di sopravvivenza per il futuro. Davanti a questo dolore, Gesù freme di compassione; non può tirar dritto come se nulla fosse, ma va incontro alla donna, le dice di non piangere, tocca il ragazzo e dice: “Sono Io a dirtelo: alzati!". Questo, oltre a mettere in evidenza la straordinaria potenza di Gesù, ci fa comprendere quali sentimenti ha il Signore di fronte al nostro dolore: non di indifferenza, non di lontananza, ma di compassione, di condivisione, al punto da toccarlo, da prenderlo, da farlo suo, morendo per noi pur di darci in cambio la Vita vera, la vita eterna! Vita questa che entra in noi se ci fidiamo di Lui, se abbiamo fe-de in Lui; allora tutto diventa possibile! E l’esperienza di molte persone dimostra che anche quando non arriva il miracolo atteso, qualcosa di più grande accade, che dà un senso nuovo a tutta la vita! Credere in Lui che cosa ci porta a fare? A seguire il suo “gioioso corteo” e non quello della maggior parte dell’umanità; a vivere nella Chiesa da risor-ti, con sentimenti nuovi, per ridare speranza e gioia ad un mondo sempre più disorientato, ricco di beni ma povero di senso e di amore! Sì, perché in questa donna in lutto c’è anche l’immagine di tutta l’umanità, che genera figli in cammino verso la morte. Tutto passa, dicevano gli antichi. Nell’uomo c’è un pianto per questo: un bimbo che nasce, nasce annunziando una gioia e un dolore: è una nuova vita, che però sarà una vita breve, non eterna. Spesso poi incontriamo situazioni di “morte del cuore” che spengono ogni speranza: un tradimento, un fallimento, una malattia, la disoccupazione… oppure viviamo una vita vana, nella continua ricerca del piacere, dell’appagamento, dell’autorealizzazione… Diciamocelo: abbiamo costruito una macabra civiltà della morte. Mettendo al centro le cose, il benessere, il piacere, il denaro, il diritto della forza, abbiamo intronizzato la morte. Corriamo a tutta velocità, ma verso dove? Finché non crolla “il castello di carte” e si spegne ogni luce all’orizzonte; allora ci sembra di non vedere più nulla, se non un domani fatto di crisi, di tristezza e di morte, ripiegati su noi stessi, accompagnati mestamente da altri che la pensano esattamente come noi. Ecco allora l’importanza del “corteo dei cristiani”, chiamati a fare come il loro Maestro: a saper vedere gli altri, con le loro gioie e dolori, attenti a quanto si muove attorno a loro, andando a cercare chi ha bisogno; a compatire gli altri, condividendo gioie e dolori, senza cade-re in uno sterile sentimentalismo che dopo un attimo di commozione si esaurisce nell’indifferenza totale; a toccare gli altri, cioè a prendere contatto con le loro difficoltà, a farsene carico, dedicandogli anche solo un po’di tempo e di energie: «Difficile dire se oggi noi cristiani annunziamo e viviamo l’amore, se condividiamo i dolori degli altri, se ci incamminiamo per portare speranza, certi che la morte è già sconfitta! Fa male leggere l'osservazione di David H. Lawrence: "I cristiani mettono l'accento solo sul dolore, sul sacrificio, sulla sofferenza. Non si soffermano abbastanza sulla risurrezione e sulla gioia di vivere nel presente". Gesù non guariva la gente nel corpo come scusa per salvare l'anima. Gesù amava le persone con-crete, voleva che vivessero come figli della Vita, di una vita che travalica ogni morte e che può sussistere perfino negli occhi di un malato terminale… è questa liberazione, questo slargamento dell'io, è il dono più grande del Cristo. Perché solo se si è liberati si comincia ad amare. E questo solo conta» (F. Scalia).