Vertice in Vaticano sull’emergenza migranti. Sabato a mezzogiorno, nell’atrio dell’aula Paolo VI, hanno preso la parola Osayande, un giovane nigeriano che ha visto morire accanto a sé in mare la propria famiglia, e quattrocento alunni delle scuole medie calabresi, arrivati alla stazione vaticana con il treno dei bambini. Papa Francesco si è presentato all’incontro portando in mano il giubbotto salvagente di una bimba siriana morta mentre cercava di raggiungere con i genitori la spiaggia di Lesbo: insieme ai disegni donatigli dai piccoli durante la visita al campo profughi dell’isola greca, il Pontefice custodisce il salvagente tra le sue cose più care, da mercoledì scorso, quando, durante l’udienza in piazza San Pietro, lo ha ricevuto dalle mani di óscar Camps, responsabile dell’associazione spagnola Proactiva Open Arms, in lacrime per non essere riuscito a salvare quella giovanissima vita. Per prima cosa, il Papa ha stretto in un abbraccio il ragazzo nigeriano che gli ha subito confidato di aver trovato a Lamezia Terme, in don Giacomo Panizza e nella sua comunità per minori stranieri, quel riferimento che lo ha portato a essere accolto da una famiglia italiana. Insieme hanno ha recitato l’avemaria, nel ricordo di tutti i migranti morti in mare. E soprattutto nel ricordo di quella piccola siriana: aveva appena sei anni, ha detto il Papa, e non sappiamo neppure quale fosse il suo nome. Ma «ognuno di voi — ha chiesto ai ragazzi calabresi — le dia il nome che vuole, nel suo cuore. Lei è in cielo e ci guarda. Chiudiamo gli occhi, pensiamo a lei e diamole un nome». Con la certezza, ha aggiunto, che la Madonna la stringe in un abbraccio per darle un bacio. Con i bambini Francesco ha quindi dato vita a un vivacissimo scambio di pensieri su come e perché accogliere i migranti. Prendendo spunto dal disegno di Giuseppe, che il Papa ha chiamato accanto a sé per spiegare la bellezza di un gruppo di bambini, con i colori della pelle diversi, che giocano insieme. E poi il dialogo aperto, senza giri di parole, con Antonio, Guglielmo, Ariston (fuggito dallo Sri Lanka) e Sabba. L’emergenza dei migranti è stata affrontata dal Papa e dai suoi giovani interlocutori a partire dall’immagine evocativa delle onde del mare: quel mare che in Calabria è tanto bello ma che, purtroppo, a volte diventa persino sepolcro per i migranti in cerca di salvezza, di una vita migliore, di un lavoro. Nel botta e risposta con i ragazzi, il Pontefice ha sollecitato tutti a destarsi dall’indifferenza e a rompere gli indugi per accogliere gli altri come fratelli. L’accoglienza — ha spiegato — significa prendersi cura dell’altro. E a questo proposito ha attualizzato la parabola del buon samaritano, invitando i presenti a compiere gesti concreti di accoglienza: stringere la mano, allargare le braccia e avere anche quella tenerezza che porta a dare un bacio, una carezza. «I migranti non sono un pericolo, ma sono in pericolo» ha ripetuto il Papa, citando una frase della lettera che gli hanno scritto i bambini per chiedergli di incontrarlo. E su questa verità il Pontefice ha insistito, chiedendo di ripetere più volte e a voce alta: «Non sono un pericolo, ma sono in pericolo». Perché lo straniero non è pericoloso e cattivo. E non deve spaventare solo perché ha un colore diverso della pelle, un cultura o una religione differente. La vita, infatti, è condividere, perché siamo tutti fratelli e abbiamo Dio come padre. Sollecitato da un bambino che gli ha chiesto come si possa dirsi cristiani, andare a messa, e poi rifiutare i migranti, Francesco ha parlato apertamente di ipocrisia. Invitando a non essere egoisti, ma ad avere il coraggio di compiere scelte generose di condivisione. Da parte loro i bambini hanno espresso al Papa la loro indignazione di fronte alla mancata accoglienza che è sempre «un’ingiustizia». E Antonio, dieci anni, è arrivato a dire che le persone che non fanno accoglienza «sono bestie». In realtà — ha precisato il Papa — Antonio non voleva insultare nessuno ma il cuore dell’uomo deve essere capace di tenerezza. Francesco non ha mancato di ricordare i veri valori del gioco e dello sport, il senso di «fare squadra insieme», riprendendo le parole di una bambina romana secondo cui lo sport insegna l’amicizia, a «non barare e a rispettare il prossimo». E ha risposto alla domanda di un’altra ragazzina romana su cosa prova a essere Papa. Semplice, la risposta: «me lo ha chiesto Gesù». Il treno con i bambini, un Frecciargento partito da Lamezia alle 6, è arrivato alle 11.20 alla stazione vaticana. Ad accompagnarli la presidente del gruppo Ferrovie dello Stato, Gioia Ghezzi. Ad accoglierli i cardinali Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato, e Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, promotore dell’iniziativa nell’ambito del Cortile dei gentili. I ragazzi sono arrivati cantando «Portati dalle onde», accompagnati anche da sessanta coetanei che fanno parte dell’orchestra Quattrocanti di Palermo, un realtà che sta offrendo grandi opportunità di riscatto a molti giovani proprio attraverso la musica. E da cinquanta rappresentanti dell’associazione romana Sport senza frontiere, impegnata nelle periferie nel garantire opportunità di svago gratuite per favorire l’inserimento sociale. (da L'Osservatore Romano)
Chiesa
Anche una delegazione di bambini lametini all'incontro con Papa Francesco
Gigliotti Saveria Maria · 8 anni fa