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Cultura e Società

“Che Dio mi aiuti”. Si può non giurare sul Vangelo ma non si può non amare la verità

Antonio Cataudo · 8 anni fa

“Che Dio mi aiuti”. Per tradizione consolidata, i presidenti degli Stati Uniti d’America concludono così la formula del giuramento, nel giorno del loro insediamento alla Casa Bianca. E sempre per una tradizione plurisecolare, mai formalizzata dalla legge, in quella che può essere è la patria della libertà e della democrazia dell’età moderna, il Presidente prima di insediarsi giura sulla Bibbia. Bibbia che,in quel contesto, più che rappresentare “solo” un testo sacro, è il simbolo di quei valori e principi imprescindibili per chi assume il compito alto di guidare i destini di una nazione: fedeltà, amore alla patria, senso del dovere e responsabilità verso i propri fratelli. Ed è cronaca di questi giorni, Sadiq Khan, primo musulmano ad essere eletto sindaco di Londra,che ha scelto una Cattedrale cristiana per la cerimonia di insediamento. E dall’Oltremanica e da Oltreoceano, ritorniamo nel Belpaese, dove non certo un clericale oltranzista ma Giuseppe Mazzini volle che sul primo tricolore della Repubblicana Romana campeggiasse il motto “Dio e Popolo”, convinto che solo il popolo avrebbe potuto realizzare quel piano provvidenziale garantito e voluto da Dio per l’Italia. Questi e tanti altri esempi luminosi, del presente o del passato, fanno apparire ancora più buia e vuota di senso l’infelice frase del presidente del consiglio Matteo Renzi che, commentando l’approvazione da parte della Camera del disegno di legge sulle unioni civili, ha rivendicato la sua laicità affermando di “non aver giurato sul Vangelo”. Gli si potrebbe tranquillamente rispondere dicendo che un simil giuramento, molto semplicemente, non è previsto nel nostro ordinamento costituzionale. Oppure lo si potrebbe invitare a rileggere uno dei passaggi di quella esemplare lettera aperta scritta da Enrico Berlinguer in risposta alla lettera di Mons. Luigi Bettazzi: in quella lettera, l’allora segretario del PCI affermava che la laicità non deve comportare “la rinuncia alle rispettive tradizioni ideali, né l'immiserimento di queste a un fatto esclusivamente privato, ma sollecita invece a che esse, alla luce del sole, abbiano il giusto posto e cerchino un reciproco arricchimento, proprio quando, come oggi, le energie del paese debbono unirsi solidalmente per risanare la società e lo Stato e modificare la direzione politica dell'Italia. Ma probabilmente non serve scomodare né la politica del passato, né i riferimenti del presente. La frase del presidente del consiglio, che fosse una battuta infelice o la chiara espressione di una linea politica laicista, può essere interpretata al tempo stesso come il sintomo e la “malattia” di un certo modo di fare politica e di un certo modo di approcciarsi alla vita pubblica che sta contraddistinguendo in maniera trasversale la società e la politica italiane da ormai tanti anni. Prendere le distanze dal Vangelo, per chiunque si trovi a ricoprire incarichi di potere, è “sintomo” della presa di distanza da tutto ciò che pone un limite al potere stesso; che segna uno spartiacque tra ciò che è bene e ciò che è male, tra ciò che è verità e ciò che è menzogna; che pone un limite alle smanie egoistiche dell’uomo solo al comando in nome della dignità e della libertà degli altri uomini. E al tempo stesso è anche “malattia”: la malattia del divorzio tra “fede” e vita pubblica e, più in generale, il divorzio tra valori e principi, religiosi o laici che siano, e l’esercizio del potere. Un potere che, slegato da ogni riferimento valoriale, diventa il campo anarchico dove si può fare di tutto e di più a vantaggio di uno solo o di pochi. E’vero, il presidente del consiglio in Italia non è tenuto a giurare sul Vangelo. Ma un dovere ce l’ha: quello di giurare sulla propria coscienza che non può mai lasciare nel cassetto, ma deve portare con sé a Palazzo Chigi, al Quirinale, a Montecitorio e a Palazzo Madama. Che si voglia o meno poggiare la mano su quel testo sacro, Renzi sa bene che l’affermazione dei diritti fondamentali di tutti gli uomini, l’impegno per la giustizia e la fratellanza hanno la loro radice in quel Vangelo che ha contribuito a fare dell’Italia un Paese civile e democratico. Quindi, è vero, possiamo anche non giurare sul Vangelo. Ma mai potremo negare, per dirla con le parole del più famoso concittadino di Renzi, Dante Alighieri, che “tutti gli uomini sono tirati dalla natura superiore ad amare la verità”.