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La parola del Vescovo

L'omelia del Vescovo nella Messa crismale

redazione · 13 anni fa

pubblichiamo l'Omelia di S.E. mons. Luigi A. Cantafora nella messa crismale di oggi celebrata nella Cattedrale di Lamezia Terme. Carissimi sacerdoti, ci ritroviamo insieme, in questo giorno santo, intenso, carico di significato, per rendere grazie a Dio per il dono dell’Ordine Sacro e per rinnovare il nostro sì, le nostre promesse.

Il Giovedì Santo, con la celebrazione della Santa Messa del Crisma e la celebrazione serale della Santa Messa in Coena Domini, è il giorno dei sacramenti. Essi non sono un semplice ricordo, ma segno vivo, efficace, nei quali il Signore si rende realmente presente con la potenza della sua Pasqua. I sacramenti vanno sempre più evangelizzati, perché non siano riti separati dalla vita, ma piuttosto si partecipi ad essi consapevolmente.

Di questa luminosa giornata desidero sottolineare il suo volto umano, con la presenza comunitaria dei presbiteri. Il nostro ricordo orante va anche ai confratelli assenti e a quelli che ci hanno preceduto presso il Padre, nel pellegrinaggio terreno.

Si uniscono alla nostra preghiera i diaconi, i religiosi e le religiose, i seminaristi e diversi laici: saluto tutti affettuosamente nel nome del Signore.

2. Ho pensato di meditare con voi su alcune parole della preghiera-testamento del Signore, che possono applicarsi alla vocazione sacerdotale.

Mi riferisco in particolare a queste espressioni della preghiera di Gesù: «Consacrali nella verità. La tua parola è verità…per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17,17.19). Esse vanno lette insieme ad un altro testo, in cui Gesù parla di sé come «colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo» (Gv 10,36).

Queste parole ci provocano in profondità e aprono varchi di luce per il nostro ministero, con le sue gioie e le sue fatiche.

3. Domandiamoci anzitutto che cosa significhi consacrato, santificato. Sappiamo che consacrato, santo è soltanto Dio. Però Dio consacra, santifica alcune persone che destina al suo servizio, al suo culto. Dio diventa proprietario di qualcuno, separandolo dal mondo.

Al contempo, però, il consacrato, che appartiene a Dio, vive nel mondo e per il mondo: ha cioè nel mondo una missione che gli viene da Dio.

Spiega Benedetto XVI che la realtà consacrata, «proprio perché donata totalmente a Dio… esiste ora per il mondo, per gli uomini, li rappresenta e li deve guarire»[1]. Separazione e al contempo missione sono due aspetti inseparabili della consacrazione.

Anche il popolo d’Israele, «popolo santo», consacrato, era separato dagli altri popoli, ma aveva una missione a loro favore.

4. Nei versetti del vangelo di Giovanni che abbiamo citato, si parla di tre consacrazioni.

Si dice che il Padre ha consacrato Gesù, che Gesù consacra se stesso e infine che egli a sua volta prega per i suoi, perché siano consacrati nella verità.

Il Padre ha consacrato Gesù. Si può osservare un parallelismo con la vocazione profetica di Geremia: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni» (Ger 1,5). Geremia appartiene a Dio, che lo ha separato per sé ed inviato come profeta per i popoli.

In Gesù consacrazione e missione sono inseparabili. Pensiamo al mistero dell’Incarna-zione: Gesù appartiene totalmente al mondo di Dio, è profondamente unito al Padre, è egli stesso Dio in persona, ma al contempo è veramente uomo, unito ad ogni uomo: «Gesù appartiene interamente a Dio e proprio per questo è totalmente a disposizione “di tutti”»[2].

A sua volta, Gesù dice: «Consacro me stesso».

San Giovanni Crisostomo spiega così: «Mi consacro, dono me stesso come sacrificio». Gesù si dona totalmente al Padre e ai fratelli. è il mistero della sua passione e morte.

Andiamo ora alla terza consacrazione. Gesù prega il Padre, perché i suoi discepoli siano consacrati nella verità. La verità è Gesù stesso: i discepoli partecipano così della consacrazione di Gesù, sono uniti profondamente a lui. Anche nei discepoli «deve compiersi questo passaggio di proprietà, questo trasferimento nella sfera di Dio e con ciò realizzarsi il loro invio nel mondo»[3].

Annota Benedetto XVI, nel suo secondo volume su Gesù di Nazaret, che nella consacrazione dei discepoli nella verità si può scorgere «l’istituzione del sacerdozio degli apostoli, del sacerdozio neotestamentario che, nel più profondo, è un servizio alla verità»[4].

5.Carissimi presbiteri, il nostro essere consacrati indica la profonda unione con Dio, e quindi la separazione dal mondo, unitamente all’invio, per la missione affidataci dal Signore.

Lasciamoci oggi interpellare da questa parola, che illumina la nostra identità di sacerdoti, di consacrati.

Interroghiamoci sul nostro essere radicati nel Signore e quindi sulla nostra separazione, sia affettiva che effettiva, dai criteri mondani. Da ciò dipende il nostro essere uomini di Dio, segni di Dio nella storia. I preti radicati nel Signore hanno un volto umano, non mondano. Anzi, rifuggono la mondanità che può insinuarsi in loro, facendo distaccare dalla preghiera e da una vita interiore profonda e spingendo a vivere l’apostolato con superficialità, alla ricerca di successo, apparenza, compromessi.

A ragione annotava l’allora cardinale Montini: «Guardate che è frequente fra noi preti uno stato d’animo, direi, di evasione, di lamento, di supposizione, che se fossimo in un altro posto andrebbe molto meglio. […] Il Curato d’Ars ci insegna che bisogna incumbere sopra la propria missione, qualunque sia, ed essere, direi, paghi di questa, dandoci a fondo e non desiderando nessuna evasione»[5].

Questo sguardo del Servo di Dio, ha delle implicazioni concrete nel nostro modo di concepire lo svolgimento di un servizio o di un ufficio anche delicato o, per così dire importante: siamo sempre servi di Cristo nella Chiesa! Non attacchiamoci al ruolo né tanto meno spadroneggiamo sugli altri, pensando di essere superiori.

Vi prego di rifuggire dalla tentazione sottile di dominare più che di far crescere i laici!

Papa Benedetto XVI ha invitato proprio noi sacerdoti di Lamezia a radicarci sempre più nel Vangelo e a distaccarci «con decisione da una certa mentalità consumistica e mondana, che è una tentazione ricorrente nella realtà in cui viviamo»[6]

I nostri fedeli attendono il prete come uomo di Dio, non asservito a mode e stili di vita mondani, ma piuttosto gioioso nel celibato, sereno nell’obbedienza, distaccato dalle cose materiali, totalmente dedito all’annuncio dell’Evangelo. Noi siamo chiamati a portare la bellezza dell’annuncio evangelico,la Paroladi salvezza!

Un prete triste è un controsenso. Il prete è chiamato ad essere gioioso, a rallegrarsi che la pecora perduta ritorni all’ovile, perché anche a lui talvolta può capitare di allontanarsi. Solo così diventa uomo che rilancia continuamente la speranza, perché sperimenta nella sua esistenza che la debolezza è visitata dal Signore.

Gli uomini e le donne di oggi non cercano nei preti degli eroi, ma uomini donati, umili e veramente spirituali, capaci cioè di incarnare e leggere nella fede le istanze e le sfide del nostro tempo.

6. Il Papa a Lamezia ha poi ricordato un altro aspetto importante per la vita del nostro presbiterio e della nostra comunità ecclesiale, su cui tanto ancora siamo chiamati a convertirci: «Imparate a crescere nella comunione tra di voi e con il Vescovo, tra voi e i fedeli laici, favorendo la stima e la collaborazione reciproche»[7].

Tante potenzialità e risorse della nostra diocesi vengono mortificate proprio dallo spirito di rivalità e di competizione. E la disunità tra i preti è una forte contro testimonianza.

Dobbiamo pregare e sforzarci di cercare l’unità come valore che precede il proprio parere e il proprio modo di sentire e vedere.

Vedo segnali positivi in questo senso, ma vi esorto a ricercare con più forza, con più fede, l’unità, la comunione.

Con queste disposizionila Pasquadel Risorto irromperà potentemente nella nostra vita aprendoci a gesti concreti di perdono, di amicizia vera, di condivisione. Vi prego: basta, con l’innalzare steccati e chiesuole! Cerchiamo sinceramente l’unità, per la quale il Cristo ha offerto se stesso. Sia questo il contrassegno di una Chiesa che desidera collaborare per la rinascita spirituale e civile del nostro territorio.

Il richiamo evangelico alla nostra consacrazione ci proietti inoltre nella missione di annuncio e testimonianza del Vangelo nel nostro tempo. Anche l’Anno della Fede, in cui entreremo nel prossimo mese di ottobre, è un appello forte a sentire quella sana inquietudine che spinga ad andare oltre i confini dei fedeli abituali e ad aprirci alla sollecitudine per gli “smarriti di cuore”.

Ricordiamo la parola del profeta: «Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, … Egli viene a salvarvi”» (Is 35,4).

L’annuncio autentico dell’Evangelo richiede al prete un prezzo alto. Se vuole essere un vero apostolo, questi è chiamato a portare la fatica della testimonianza umile, lasciandosi divorare dallo zelo per la casa del Signore: talvolta è crocifisso!

Concludo, carissimi, ancora con alcune parole di Benedetto XVI: «Il mondo ha bisogno di Dio – non di un qualsiasi Dio, ma del Dio di Gesù Cristo [...] Questo Dio deve vivere in noi e noi in Lui. è questa la nostra chiamata sacerdotale: solo così il nostro agire da sacerdoti può portare frutti»[8].

E Maria, madre del nostro sacerdozio, ci insegni l’appartenenza al Cristo e la fretta, l’urgenza dell’annuncio del Vangelo. Amen.

[1] J. Ratzinger (Benedetto XVI), Gesù di Nazaret. Seconda Parte, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, p. 102.

[2] Ibidem, p. 103.

[3] Ibidem, pp. 104-105.

[4] Ibidem, p. 106.

[5] G. B. Montini, Discorso, 18 novembre 1959.

[6] Benedetto XVI, Omelia, Lamezia Terme 9 ottobre 2011.

[7] Ibidem.

[8] Benedetto XVI, Omelia del Giovedì Santo, 13 aprile 2006.