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Cultura e Società

Non recidiamo il filo...

Paolo Emanuele · 9 anni fa

Perché continuiamo caparbiamente a studiare una cultura antichissima? Cosa ci unisce a uomini che pregavano moltissimi dei? Perché ci interessiamo ad una civiltà che spiega i fenomeni atmosferici con dei miti nel III millennio, e dunque nell’era in cui è la scienza a fare la voce grossa? O ancora perché analizziamo la storia e gli autori classici? Se i programmi scolastici sono troppo estesi, non converrebbe forse focalizzarci su avvenimenti più recenti? La cultura classica è ormai diventata un peso, una zavorra da eliminare al più presto per studiare altro. Non importa che lì siano racchiusi il nostro trascorso e le nostre tradizioni, perché la società impone di trovare un lavoro, e ahimè, trovare un lavoro conoscendo solo il Latino e il Greco non è facilissimo. La cultura classica è un filo, di Arianna che si snoda per un Labirinto dedalico lungo duemila anni. Fino a ieri, lo tenevamo saldamente in mano, come Teseo, acquistando sicurezza, poiché sapevamo di avere qualcosa di nostro, che ci avrebbe ricondotto al sicuro, da dove veniamo. Ci potevamo preoccupare semplicemente del nostro Minotauro, il futuro, perché avevamo ben chiaro il nostro percorso, le nostre radici. Adesso però, dopo aver goduto per anni delle bellezze greche e latine, abbandoniamo la nostra Arianna all’oblio, proprio come l’eroe Teseo, per ingratitudine. Il nostro filo, infatti, minacciato dalla globalizzazione, si fa sempre più sottile, noi stiamo per lasciarlo cadere e dimenticarcene. Così saremo in balia del futuro senza sapere da dove veniamo. Girandoci indietro, vedremo un passato prossimo, che non ci dà fiducia e minaccia di sparire dietro l’angolo. Una società che ci vuole cosmopoliti, mira a scalzare l’albero della nostra cultura adottando anche una lingua, l’inglese, che per la sua semplicità ha ormai monopolizzato il nostro mondo. Ci fa credere che il nostro filo sia inutile, o ce ne fa addirittura vergognare, come Dedalo confondeva le vittime del Minotauro, non facendo trovare loro l’uscita del Labirinto. Ci spinge a lasciarlo, a volte persuadendoci. Nei nostri discorsi ogni due per tre inseriamo una parola inglese, è più “fresh”, del resto. Ma riappropriarci del nostro filo, per tornare ad affrontare il nostro futuro con determinazione, con la consapevolezza di essere eredi di un popolo degno di memoria, è fondamentale al giorno d’oggi. Servi dell’omologazione, guardiamo sul nostro “smartphone” le “news” sui “social”, ma contaminare una lingua come l’italiano equivale a rovinare un patrimonio di etimi che sarebbe da custodire gelosamente. Farcire ogni nostro discorso, poi, con un prestito linguistico, è perdere la nostra identità, è quasi vergognarsi della propria lingua, preferendogli un idioma, che potremmo definire “del denaro”. Pertanto, è da considerare gravissima la condizione in cui verte il Liceo Classico prima di tutto lametino, e più in generale italiano, in netto svantaggio rispetto agli altri istituti per numero d’iscritti. La volontà dunque di attualizzare e far riscoprire anche ai ragazzi la cultura classica deve essere sicuramente un obiettivo comune e fondamentale, per salvare il nostro passato, un patrimonio, di tutte le arti, eccellente ma non commerciale, che forse non attira, ma cela al suo interno perle che tutto il mondo ci invidia. Si tratta ancora una volta di una mancata valorizzazione, ma stavolta rischia di costare caro: un’eredità di opere la cui lettura è sempre più limitata. Colpevole è forse il passare del tempo o forse ancorala percezione di questo retaggio come noioso e in ogni caso poco allettante.Fatto sta che, con la stessa prontezza con cuiaccogliamo nella nostra lingua lemmi stranieri ogni giorno, che nonostante l’infinità di parole italiane, sembriamo incapaci di sostituire; ignoriamo lo splendore delle nostre lingue e culture madri. Ciò su cui dobbiamo riflettere non è allora l’utilità della conoscenza dell’inglese che serve per restare al passo con il resto del mondo, bensì sulla tutela della nostra lingua e di quelle da cui essa proviene, apprezzare icapolavori che i nostri predecessori hanno prodotto, al fine di non lasciar infettare l’italiano da termini che non gli appartengono.