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Favola

Polifemo e gli elefanti nani

Paolo Emanuele · 9 anni fa

Dell’Odissea televisiva, di cui ogni tanto nonno Umberto rivedeva volentieri qualche puntata in dvd, un episodio soprattutto aveva impressionato Stefano: quello in cui compare Polifemo, il ciclope dall’unico occhio posto in mezzo alla fronte. Quell’occhio che l’astuto Ulisse, per fuggire dalla caverna in cui il mostruoso gigante teneva prigionieri lui e i suoi compagni (ricordate la storia?), riuscì ad accecare con un palo aguzzo.

«Nonno, ma davvero è esistito questo Polifemo?» domandò il nipotino una volta, aspettandosi di sentirsi dire di no, naturalmente: certe cose gli antichi, la cui fantasia era molto più sviluppata di quella degli uomini d’oggi, potevano essersele soltanto inventate.

E invece la risposta fu: «Beh, in un certo senso Polifemo è esistito… solo che era un elefante!».

«Un elefante!» sgranò gli occhi il bambino accoccolato sul tappeto ai piedi del nonno. E rimase lì, in attesa di ascoltare il seguito, che non tardò.

«Vedi, Stefano – riprese il nonno –, 350 mila anni fa, forse addirittura 500 mila…».

«Prima del villaggio preistorico di cui mi hai parlato una volta?» l’interruppe il bambino.

«Oh sicuramente… forse allora l’uomo non era neppure arrivato nella zona di cui ora ti parlo, che è la Sicilia. Insomma, tantissimi anni fa, in questa bella isola che anche tu hai visitato insieme a papà, mamma e la sorellina, vivevano un sacco di animali strani ora estinti: erano ippopotami nani, tartarughe e varani giganti, cervi piccoli come cani o alti come giraffe, civette grandi quanto un gufo, uccelli che avevano dimenticato come si volava, e via dicendo».

«Come c’erano arrivati? Chi aveva le ali volando, altri a nuoto e altri ancora approfittando di alcuni lembi di terra (ora sommersi) che un tempo univano l’isola all’Italia, un po’come quel Ponte sullo stretto di Messina che prima o poi si farà. Fra i nuovi arrivati, i più numerosi erano…».

«Gli elefanti?» azzardò Stefano, già tutto preso dal racconto.

«Proprio così! Erano infatti perfettamente in grado di affrontare il mare aperto per la loro capacità di galleggiare e grazie alla proboscide che utilizzavano per respirare e captare a distanza, con l’olfatto, la vicinanza delle terre emerse. Solo che – continuò nonno Umberto – non si trattava di elefanti come quelli che hai visto al Bioparco o nei circhi: questi appartenevano ad una specie nana ed erano alti tutt’al più 90 centimetri, cioè poco meno di quel televisore lì. Tutto in loro era piccolo: la testa, le zanne… anzi le femmine non ce l’avevano nemmeno…».

«Cosa, la testa?» interloquì ancora Stefano.

«Spiritoso! Parlo delle zanne, naturalmente… Elefantini del genere, piccoli com’erano, si dimostravano molto più agili dei loro enormi discendenti di oggi. Insomma, devi immaginarli trotterellare come dei grossi cani e salire e scendere senza difficoltà anche tratti di terreno accidentato…».

«Sì, vabbè. Ma non ho capito cosa c’entri Polifemo».

«Ci sto arrivando, se hai un po’di pazienza. Questi piccoli pachidermi, che immagino ti sarebbe piaciuto portare al guinzaglio, avevano la loro tana per lo più in caverne. Ne siamo informati perché diversi loro scheletri, che ora formano l’attrazione di alcuni musei, sono stati scoperti in posti del genere. Quando i nostri lontani antenati trovarono quelle ossa, si stupirono. Erano infatti molto particolari: per esempio, c’erano crani enormi rispetto a quelli dell’uomo e con in mezzo alla fronte un grosso buco. Questo buco non era altro che l’apertura nasale dove si innestava la proboscide, ma chi poteva immaginarlo? Già da lunghissimo tempo quegli elefantini erano scomparsi dalla circolazione. Nacque così la leggenda dei ciclopi, giganti dall’unico occhio che vivevano in caverne e di cui il più famoso è stato appunto Polifemo».

(Fonte: Città Nuova)