Nella vallata del Tuccio, alla scoperta del “principe degli agrumi” del Sud Italia. Pregi e usi del bergamotto
Fiumara è il termine col quale, specialmente nel Sud Italia, vengono definiti quei fiumi o torrenti dal letto piuttosto largo e ciottoloso, tanto impetuosi d’inverno e d’autunno quanto scarsi d’acqua nel resto dell’anno. In Calabria la fiumara del Tuccio, la cui scaturigine si trova a oltre 1000 metri di altitudine in località Cufalo-Pantanizzi, prima di sfociare nello Jonio presso Melito di Porto Salvo, a 34 chilometri da Reggio, si è scavato il percorso nell’ampia vallata omonima. Protette dai suoi declivi e grazie alla tenacia e alle cure amorose dell’uomo, verdeggiano qui coltivazioni di alberi che non raggiungono i quattro metri d’altezza, carichi di frutti dal colore giallo simile ad una arancia o a un limone, e comunque da non confondersi con essi, anche se appartenenti alla stessa famiglia degli agrumi: è il famoso bergamotto (Citrus bergamia risso), di cui nel Reggino, lungo la costa che si estende da Villa San Giovanni a Brancaleone, si concentra quasi il 90 per cento della produzione mondiale. Questa zona, infatti, caratterizzata da un particolare microclima (la si definisce “tropicale temperata umida”), costituisce l’ambiente esclusivo di questa pianta in Italia: qui essa prospera come non avviene altrove, producendo frutti decisamente superiori, per qualità, a quelli delle coltivazioni “concorrenti” in Costa d’Avorio, Argentina e Brasile.
Già noto in epoche remote (tracce della sua essenza sono state rinvenute nelle tombe egizie e in una tomba di epoca romana a Salerno), il bergamotto costituisce ancora un mistero per quanto riguarda l’origine botanica. Dal suo seme, infatti, nasce l’arancio amaro o selvatico, e solo successivamente quest’ultimo può essere innestato a bergamotto: motivo per il quale si ipotizza che questo agrume sia nato dalla mutazione naturale dell’arancio amaro.
Pianta ibrida dunque, risultato di un incrocio naturale o voluto, comparsa nel Sud Italia verso il Trecento e il cui uso è documentato nelle corti rinascimentali italiane e anche all’estero. Come in Francia, dove nella seconda metà del Seicento un cuoco siciliano, Procopio Cutò, fece fortuna alla corte di Luigi XIV sia con i suoi sorbetti, granite e gelati all’essenza di limoni, arance e bergamotti, sia con un’acqua cosmetica profumata al bergamotto; mentre in Germania l’invenzione di un’altra acqua del genere, divenuta poi celebre col nome di “Acqua di Colonia”, fu attribuita di volta in volta a due italiani, emigrati in quella città nel XVII secolo: Giovanni Paolo Feminis e Giovanni Maria Farina, prima che nel 1907 una sentenza della suprema corte dell'Impero tedesco si pronunciasse a favore del Feminis.
Oltre che per le proprietà toniche (è consigliato in aromaterapia per la fragranza fresca e penetrante, che agendo sull’umore dispone all’ottimismo e alla serenità), l’olio essenziale che si ricava dalla sua buccia veniva utilizzato dalla gente del popolo come efficace antisettico, antipiretico, cicatrizzante…: effetti confermati da un secolo di ricerche scientifiche a livello internazionale. Soprattutto le più recenti indagini sulla sua composizione chimica hanno accertato le preziose qualità curative di questa varietà botanica e dei suoi derivati nel combattere virus e batteri, come pure nella prevenzione e cura di malattie ormai diffusissime quali il diabete, l’aumento di trigliceridi e di colesterolo, la steatosi epatica e il cancro.
Altro ambito d’utilizzo è quello agroalimentare e dolciario (superbo il “sorbetto al Bergamotto”, una crema vellutata fredda, candida come neve, dal retrogusto e profumo indescrivibili!). Altro esempio d’eccellenza è l’“Earl Grey”, uno dei tè aromatizzati più diffusi al mondo.
Per secoli questo “oro della Calabria”, come è stato definito, ha contribuito allo sviluppo economico e sociale del sud della regione. Ma quando, a partire dagli anni Cinquanta, l’industria chimica ha sostituito le sostanze naturali contenute nella maggior parte dei prodotti cosmetici e alimentari, sono arrivati tempi duri per i produttori di bergamotto, che però hanno continuato caparbiamente le coltivazioni tradizionali, anche se ritenute antieconomiche. Solo in anni recenti la maturazione di una nuova coscienza salutista e naturalistica, insieme al diffondersi dell’agricoltura biologica, ha fatto ritornare in auge questo agrume, rilanciando l’uso della sua essenza sul mercato mondiale. Non è mancato il sostegno dell’Accademia Internazionale del Bergamotto con sede a Reggio, vero collante tra i suoi estimatori.
Eppure bisogna tenere sempre alta la guardia, a motivo dei tentativi di introdurre nella zona dove esso viene coltivato impianti industriali d’altro tipo, ritenuti più redditizi. Essi costituirebbero un vero disastro per questo tipo di coltura, sensibile ad ogni alterazione del microclima attuale che solo consente il perfetto equilibrio dei 354 componenti dell’essenza estratta. Per questo sarebbe auspicabile che l’Unesco, già sollecitato in tal senso, metta sotto la sua tutela, dichiarandoli patrimonio mondiale dell’umanità, i “giardini di bergamotto” con i relativi frutti e l’essenza che ne deriva.
(Fonte: Città Nuova)
Nota: chi voglia saperne di più sull’«agrume più blasonato al mondo» può consultare, edito da Iiriti, Bergamotto 0. Affermazione storica, scientifica e gastronomica: un manuale completo di ricette per coloro che già apprezzano il bergamotto e per chi, invece, si appresta a conoscerlo. ISBN 978-88-6494-148-6
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