Porte e non muri
Dalla porta della fede alla porta della misericordia. Così il Vescovo sintetizza il percorso della Chiesa diocesana di Lamezia, parlando al comitato per il Giubileo Straordinario. Entrambe le porte sono legate al Concilio Vaticano II. La Porta della fede sempre aperta per tutti, era stata l’immagine usata da Papa Benedetto XVI per i cinquant’anni dell’apertura della grande sessione conciliare. La porta della misericordia è il segno giubilare di Papa Francesco che si incastona, invece, per i cinquant’anni della chiusura del Concilio Vaticano II. Ne viene fuori l’immagine di una Chiesa che vuole parlare delle sue porte aperte, la fede e la misericordia. Una Chiesa che si lascia attraversare e raggiungere da chiunque accetta di varcare quelle porte. Porte e non muri. Aprire una porta significa cercare, invitare, aspettare, accogliere e far accomodare. Non potrebbe avere missione più bella, la Chiesa nel mondo. La misericordia diventa allora non solo il dono di Dio, ma anche la missione di ogni cristiano nel mondo. Paolo VI concludendo il Concilio, diceva: «L’antica storia del Buon Samaritano è stato il paradigma della spiritualità del Concilio. Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno». Misericordiosi come il Padre è dunque il compito di ogni credente, in una Chiesa dalle porte aperte. Sembrano riecheggiare le parole di Natalia Ginzburg, nel volume «Mai devi domandarmi» (1970): «La fede non è una bandiera da portarsi in gloria, ma una candela accesa che si porta in mano tra pioggia e vento in una notte d'inverno. I credenti non devono sentirsi come un esercito di soldati che cammina in trionfo». Ecco, allora, la necessità di una paziente opera di ricostruzione dell’incontro, del dialogo, dell’uscire in cortile e sulla piazza per ritrovare la capacità di stare insieme, di parlare e di ascoltare, di guardarsi in viso e negli occhi e forse di amarsi. Tutto questo perché le porte sono aperte. Un teologo russo del Novecento, Evdokimov, scriveva che tra la piazza e il tempio non ci deve essere la porta sbarrata. La soglia deve essere aperta! Il profumo dell'incenso, i canti, le preghiere dei fedeli devono arrivare in piazza dove risuonano il riso e la lacrima, e persino la bestemmia e il grido di disperazione dell'infelice. Lo Spirito di Dio deve soffiare sia nella Chiesa e sia nella piazza. Che lo Spirito di Dio soffi anche qui, non solo ce lo auguriamo, ma lo speriamo e lo crediamo. Si potrà senz’altro aiutarlo, aprendo qualche porta in più e abbattendo qualche muro, sapendo che lo Spirito del Risorto può spalancare ogni muro, ogni resistenza e ogni chiusura.
Don Roberto Tomaino
Vita diocesana
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Paolo Emanuele · 9 anni fa