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La parola del Vescovo

S. Messa Esequiale di Don Eugenio Zaffina,

Gigliotti Saveria Maria · 9 anni fa

S. Messa Esequiale di Don Eugenio Zaffina,

Chiesa Cattedrale 11 aprile 2015

In una Cattedrale piena di fedeli laici e presbiteri, Il Vescovo di Lamezia Terme, Mons. Cantafora, insieme al Vescovo emerito Mons. Rimedio e al Vescovo emerito di Aversa Mons. Milano, ha celebrato il rito delle Esequie di Don Eugenio Zaffina. Di seguito il testo dell’omelia

Carissimi fratelli e sorelle, Eccellenze reverendissime, presbiteri e cari familiari di don Eugenio. Siamo riuniti in questa Chiesa Cattedrale nella quale da poco è risuonato e risuona il lieto annunzio del Risorto. Sì, il Signore è veramente Risorto! Quale annuncio più bello di questo, possiamo gridare di fronte alla morte del nostro fratello, Monsignor Zaffina? A questa notizia fa eco questa sera, la Domenica della Divina Misericordia, alla quale Don Eugenio era particolarmente devoto.Anche lui è entrato nella luce della Divina Misericordia.La morte non ha più potere su di noi. Essa è sconfitta per sempre in noi, dalla Pasqua del Risorto - “sepolti con lui nella morte e con lui risorti a vita nuova”. Anzi illumina con la sua misericordia, anche la vicenda di questo nostro confratello. Nel Vangelo, poi, a Tommaso viene concessa la grazia di toccare le ferite di Cristo e per mezzo di quelle ferite, riconoscere Cristo:il suo amore gratuito, il prezzo della nostra salvezza, del nostro riscatto. “Il Signore ha portato con sé le sue ferite nell’eternità. Egli è un Dio ferito; si è lasciato ferire dall’amore verso di noi. Le ferite sono per noi il segno che Egli ci comprende e che si lascia ferire dall’amore verso di noi” (Benedetto XVI, Omelia 15 aprile 2007). Le ferite di Dio per noi, sono un invito a lasciarsi ferire, ad arrendersi a tanto amore di Dio. Infatti, il ministero di un sacerdote è il mistero di uomo che resta ferito dall’amore di Dio. è un arreso all’amore gratuito del Risorto. Questa ferita di Dio in noi rende ragione del fatto che: “Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso”. Infatti, la piaga nel Costato e i fori delle mani del Cristo, restano per sempre, segno di un amore incancellabile, ferite luminose e gloriose. Ed è proprio a causa di queste ferite che il Cristo risorto non è un fantasma, ma è il Vivente che narra il suo amore per noi. Cari fratelli e sorelle, è questa la dimensione fondamentale della nostra vita e della nostra morte: “se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore”. E ciò è la conseguenza del fatto che noi apparteniamo al Signore: “sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore”. E questa appartenenza dice chi siamo, per chi viviamo e dove andiamo. La consapevolezza che nessuna forza, né umana né sovraumana, può spezzare questo vincolo di appartenenza. Neppure nella morte saremo dati in preda al nulla. Tutto questo genera nel discepolo del Signore la serena certezza “che la vita non è tolta, ma trasformata”. Addirittura, la stessa morte, ultima nemica dell’uomo, sarà per sempre distrutta: “o morte- abbiamo cantato stupiti nella Veglia Pasquale- io sono la tua morte”. Don Eugenio, nella luce della Pasqua, ha incontrato il Signore, il Vivente. In questa luce pasquale, è risuonato anche per lui, certamente il saluto di Cristo agli apostoli: “Pace a te, mio servo”. La morte, carissimi fratelli, svela a noi l’ultimo e definitivo incontro con il Signore della vita, il Kyrios: “Sono risorto e sono sempre con te, tu hai posto su di me la mia mano…”. Egli, quale Pastore, cammina con noi, per accompagnarci anche quando attraversiamo la morte, infatti “anche se vado per valle oscura, non temerò alcun male perché tu sei con me, il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”. Entriamo allora, nella sua Pasqua: “Cristo risorto non muore più, la morte non ha più potere su di lui”. Miei cari fratelli e sorelle, mentre risuona questa notizia nel nostro cuore,ci rivolgiamo al caro don Eugenio. Siamo in tanti, in questa Chiesa Cattedrale, sacerdoti, diaconi e fedeli di Bella e di tutta Lamezia, che abbiamo conosciuto, stimato e sinceramente voluto bene questo sacerdote. Tutta la Parola proclamata è particolarmente illuminante per comprendere il ministero sacerdotale; per capire il servizio pastorale fatto da don Eugenio alla nostra Chiesa. Egli lo iniziò in uno dei momenti più entusiasmanti della storia della Chiesa, quale poteva essere il periodo del Concilio Vaticano II. Appena ordinato venne inviato nella Parrocchia della Natività della Beata Vergine Maria a Bella dove vi rimase per tutti gli anni del suo ministero. Quale esempio di fedeltà e di perseveranza semplice ed umile nel servizio pastorale! Di don Eugenio dobbiamo ricordare una particolare e non comune apertura alle nuove realtà ecclesiali e ai movimenti. Egli ha saputo dare spazio ai laici! Ha saputo credere nelle nuove vie che lo Spirito ha indicato alla Chiesa, per dare nuovo slancio di fronte alle sfide dell’oggi. Ma egli non esaurì il suo sacerdozio nel ministero parrocchiale, più volte è stato Vicario Foraneo. Egli ha svolto tra i suoi confratelli il prezioso servizio della fraternità sacerdotale. Come insegnante poi ha spezzato il pane dell’Evangelo e della cultura. Nell’ultimo periodo della sua vita don Eugenio è stato visitato dalla malattia. Ho davanti agli occhi l’ultima volta che l’ho visitato in Ospedale il giorno prima di Pasqua: egli veramente riposava nella speranza di vita in Cristo, morto per lui. Alla mia domanda se era completamente sereno, ho intuito che con semplicità affrontava nella pace l’ultimo passaggio. “Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro”, ricorda S. Paolo. Il presbitero serve il Vangelo nella speranza che anch’egli possa parteciparne dei frutti nella vita eterna con coloro a cui lo ha annunciato. è ciò che speriamo per don Eugenio. è per questo che celebriamo i divini Misteri: perché Cristo, il Vivente spalanchi a lui, le porte della vita eterna nella quale ha sempre sperato. La Beata Vergine Maria possa intercedere per lui e per la Chiesa tutta. Amen