Una società di lupi e di agnelli
“Questo racconto è rivolto a tutti coloro che opprimono i giusti nascondendosi dietro falsi pretesti.” Si conclude così una delle più celebre favole di Fedro nella quale lo scrittore romano racconta la vicenda di un lupo e di un agnello che, spinti dalla sete, si ritrovarono a bere allo stesso ruscello. Il lupo provoca più volte il mite agnello che alla fine viene sbranato, soccombendo di fronte all’arroganza e alla presunzione del più forte. Ciò che risalta nel breve racconto di Fedro, è il fatto che il lupo non ha una ragione oggettiva per sbranare l’agnello: lo spinge il desiderio di sentirsi gratificato mostrando la sua forza, la sua prepotenza, la sua capacità di disporre a suo uso e consumo della vita dell’animale più debole. E poi c’è l’agnello, che reagisce alle provocazioni del lupo con mitezza e al tempo con la fermezza di chi contrappone alle bugie, una verità
Nella settimana che stiamo per iniziare, l’immagine dell’Agnello ritornerà più volte, tanto nella liturgia della Chiesa, tanto nei contesti più “laici” in cui si parlerà della Pasqua. Gesù si identifica con l’agnello che Mosé comandò agli Israeliti di sacrificare, il cui sangue avrebbe segnato le porte delle case e messo al riparo il popolo eletto dallo sterminio. Cristo si identifica con l’agnello che i sacerdoti di Israele immolavano sull’altare per espiare i peccati del popolo. Ma sul piano prettamente umano, Gesù nella sua Passione si identifica con la mansuetudine di tutti gli uomini che non reagiscono alla violenza con altrettanta violenza; di chi non ha mezzi per difendersi se non quello di testimoniare la verità; di chi sopporta con pazienza aspettando che sia qualcun altro a soccorrerlo e a rendergli giustizia.
L’umanità di Gesù “Agnello” è ben rappresentata dai tratti della favola fedriana in cui non c’è una ragione precisa, una causa oggettiva per cui l’agnello viene preso in giro e successivamente sbranato dal lupo. Nemmeno nella Passione di Cristo c’era una causa “oggettivamente” valida per mettere a morte quell’uomo, come lo stesso governatore romano riconobbe di fronte alla folla che chiedeva la crocifissione. C’era l’apoteosi della presunzione umana, il delirio dell’onnipotenza, l’accanimento superbo del più forte che punta a schiacciare il più debole: tutto questo rivediamo nelle ultime ore della vita terrena di e lo rivediamo ogni giorno nei tanti “agnelli” vittime di una società dove domina la legge del più forte e dove l’ostentazione del “machismo” tout court porta a vergognarsi delle proprie debolezze e delle proprie fragilità, come di un marchio infamante da nascondere. E poi, c’è un Agnello, Gesù, che pronuncia pochissime parole nelle ore della Passione e va incontro alla morte come “pecora muta dinanzi a chi la tosa”. Ma quelle poche parole sono parole di verità: egli controbatte alla prepotenza dei “lupi” raccontando le cose come stanno, testimoniando la Verità rispetto alla quale nessuna presunzione e arroganza umana dovrebbe resistere.
Rileggendo in questi giorni il racconto della Passione del Signore, ci accorgiamo che nella mitezza e nella sopportazione paziente del Figlio di Dio rivediamo tanti “agnelli” della nostra società, tante persone vittime ogni giorno di prevaricazioni e ingiustizie non perché facciano qualcosa per disturbare gli altri, ma semplicemente per il loro modo di essere. Sono tutti coloro che non contaminano l’acqua dove sta bevendo il lupo, né tantomeno cercano di ostacolare gli altri, ma proprio per la loro debolezza e la loro incapacità di reagire sono sfruttati, ridicolizzati e tante volte sacrificati sull’altare di interessi più grandi. Sono “agnelli” i lavoratori sfruttati che fanno silenzio per paura di perdere quella minima possibilità di portare a casa uno stipendio; sono “agnelli” tutti coloro che non si piegano ai canoni della società dell’ostentazione e della mitizzazione del successo; sono “agnelli” tutti coloro che rimangono fedeli alla propria coscienza, che mantengono la schiena dritta, che come Gesù aprono la bocca soltanto per affermare la verità
Lungo quel torrente, ci domandiamo allora: ha vinto il lupo o l’agnello? Certo l’agnello è stato sbranato e il lupo sembra aver avuto la meglio con le armi dell’arroganza e della sopraffazione. Ma più che provare indignazione per l’atteggiamento del carnefice o un vago pietismo per la sorte della vittima, la domanda che ci viene posta ci chiama in causa in prima persona ed è la seguente: noi da che parte stiamo? Perché se abbiamo costruito una società di lupi rapaci, è anche perché abbiamo dato troppo ascolto a chi ci ha ripetuto troppe volte che “chi pecora si fa il lupo se la mangia”. Senza ricordarci che il lupo ricorre alla violenza e alla sopraffazione perché disarmato di fronte alla verità dell’innocenza. Dimenticandoci che è dalla mitezza disarmante di un Agnello innocente che per ogni uomo è arrivata la salvezza.
Cultura e Società
Una società di lupi e di agnelli
Paolo Emanuele · 10 anni fa