La liturgia della quinta domenica del tempo ordinario vuole rispondere alla domanda che continuamente l’uomo si pone circa le ragioni della sofferenza e circa il suo senso nel contesto dell’intera esistenza terrena. Tale domanda è rivolta direttamente a Dio. Il brano della prima lettura, tratto dal libro di Giobbe - come anche il Vangelo - ne dà la risposta. Giobbe è da sempre considerato un simbolo perenne della sofferenza umana, in un certo senso, è anche simbolo della sorte terrena dell’uomo. Profondamente penetranti sono le sue parole: “Così a me sono toccati mesi d’illusione, e notti di dolore mi sono state assegnate... Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi fino all’alba... Non ha forse un duro lavoro l’uomo sulla terra?... I miei giorni sono stati più veloci d’una spola, sono finiti senza speranza” (Gb 7,3-4.1.6). Si può dire che l’antica figura di Giobbe, di quest’uomo giusto, colpito da una terribile sofferenza – umanamente non meritata – è un grande interrogativo per l’uomo di tutti i tempi. è risaputo che la vita dell'uomo è avvolta dal mistero del dolore e della sofferenza che, come causa remota, sono frutto di quel primo peccato, che entrato nel cuore dell'uomo ne ha modificato totalmente la natura. Da natura creata per la vita l'ha fatta divenire natura votata alla morte. Ma essa non sempre è causata da un peccato personale. Il soffio di sofferenza deve trasformarsi per tutti in soffio di redenzione. Alla luce del Nuovo Testamento e della croce di Cristo essa diviene il passaggio obbligato dell'uomo che dalla morte deve passare alla vita, dalla terra al cielo, dal presente all'eternità, dalla lontananza da Dio alla vicinanza con Lui. La sofferenza è il cammino redentivo dell'uomo, di sé stesso e dei suoi fratelli, in Cristo, per Cristo, con Cristo, nel suo corpo, compiendo ciò che ancora manca perché il passaggio sia perfetto, totale, pieno. Il Vangelo ci fa vedere Cristo tra i malati. Cristo, sempre vicino alla gente che soffre; Cristo, che alla fine prenderà sulle spalle la croce – segno di obbrobrio – e su di essa finirà la vita, è Lui stesso la risposta, Dio dà in Lui la risposta al Giobbe dell’Antico Testamento e a tutti i Giobbe lungo i secoli e le generazioni. Questa risposta è discreta e insieme forte e definitiva. Cristo, dunque, è questa risposta di Dio all’uomo di tutti i tempi che soffre e che per comprenderla è necessario penetrare fino in fondo al suo Vangelo, il suo mistero. Quanto mirabilmente in Lui, in Cristo trovano compimento le parole del salmista: “Il Signore... risana i cuori affranti e fascia le loro ferite... Il Signore sostiene gli umili”! (Sal 147[146],3.6). Egli pure, Gesù, “si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori” (Is 53,4). In Lui si è rivelato, fino in fondo, Dio, che è amore. Cristo infatti è il sacramento di Dio. Così Egli si è presentato, prima nella casa di Simone e di Andrea (è noto che erano fratelli) accanto alla suocera di Simone che guarisce da una malattia, tanto che ella può subito mettersi a svolgere i servizi di casa. E, poi, quando “gli portarono tutti i malati e gli indemoniati” (Mc 1,32) perché alleviasse le loro sofferenze. Gesù guarì molti di essi (cf. Mc 1,34), così come aveva guarito la suocera di Simone. Gesù Cristo è una viva risposta di Dio stesso alle fondamentali domande dell’uomo, unite al senso della sua esistenza sulla terra, in particolare al senso della sua sofferenza. E, anche, quando, più tardi, si ritirò in un luogo deserto per pregare, arrivarono “Simone e quelli che erano con lui” per dirgli “tutti ti cercano” (cf. Mc 1,36-37). In questo modo il testo del Vangelo ci introduce in una situazione ben nota: Gesù insegna – Gesù guarisce i malati – Gesù in mezzo alla gente, vicino a tutti e vicino a ciascuno. Gesù un “uomo per gli altri” – per tutti e per ciascuno – e in modo particolare per i poveri e i sofferenti. Per quelli che lo cercano. Difatti, le parole “Tutti ti cercano” sono state rivolte un tempo a Gesù da Simone e dagli apostoli. Anche oggi è cercato da tanti sofferenti, Ma Gesù, si lascia trovare fino a quando lo vuole il Padre suo, perciò non si lascia né attrarre dal successo, né imprigionare nel mondo dell'immanenza, anche perché per Lui il miracolo è solo segno, deve cioè manifestare ad ogni uomo che c'è una guarigione più importante e una liberazione più duratura che bisogna chiedere ed è quella dal peccato, dalla disobbedienza a Dio; c'è un carcere che lega l'uomo alla sola terra e al solo corpo dal quale egli lo deve liberare per portarlo nella trascendenza, nel Cielo. Non lasciarsi tentare dai molteplici bisogni materiali dell'uomo, consente a Gesù di conservare intatta, pura, santa la sua missione; Egli può veramente giovare all'uomo perché lo porta nel Regno di Dio, nel quale è il Padre che guarisce, che si prende cura, che nutre e che salva, che ha misericordia e benevolenza per tutti coloro che ritornano nella sua casa. Se Gesù si ferma a guarire, Egli potrà fare ben poche cose; se invece va per i villaggi e per le città a proclamare la Parola della salvezza, Egli non inciderà sui pochi, ma sull'intera massa; ogni uomo potrà essere guarito dal Padre suo.
Il Vangelo della domenica
Riflessione sulla V Domenica del Tempo Ordinario
Paolo Emanuele · 10 anni fa