“Dopo Auschwitz il cancro è la prova che Dio non esiste”. Anni di studi e di nutrite riflessioni di filosofi e intellettuali, atei e meno atei, credenti in senso stretto o in senso largo, devono alzare bandiera bianca di fronte a un’osservazione - fatta passare per “scientifica” - che, in una mattinata di novembre, domina su tutti gli organi di informazione: Dio non esiste e ne è prova il cancro, il male del nostro secolo.
L’oncologo Umberto Veronesi non è nuovo a esternazioni di questo tipo e non è nuova quella inclinazione tipicamente italiana della “tuttologia”: non ci basta il nostro ambito di competenza, ma vogliamo andare oltre e dire la nostra su tutto. Ma trascorsa da pochi giorni la festa dell’Epifania, che ci ricorda come appartenga a tutti gli uomini il desiderio di mettersi in ricerca del Mistero, non è nostra intenzione commentare l’esternazione di Veronesi, quanto riflettere su ciò che sta dietro questa esternazione: c’è una grande parte del mondo scientifico e intellettuale odierno che se da un lato vuole negare qualsiasi prospettiva di Assoluto e di Trascendente, dall’altro ha il “chiodo fisso” di Dio e trova tutti i modi possibili per cercare di metterlo al centro della discussione
“Purché se ne parli…”, qualcuno direbbe. Ma la vicenda dei Magi ci riporta a una questione centrale della vita di ogni uomo: le certezze fondate sul sapere, sulla ricchezza e sul potere vengono messe da parte quando si intravede quella Stella che indica una direzione, che illumina una meta verso cui mettersi in cammino. E mettersi in cammino subito, senza fare calcoli e senza pianificare costi e benefici.
Ma siamo sicuri che esista davvero questa contrapposizione insanabile tra la fede e la scienza, tra la ricerca razionale dell’uomo e l’apertura all’Assoluto? Di certo non era così per i Magi, uomini di scienza pur con i limitati mezzi del tempo, i quali non solo si misero in cammino ma, giunti alla grotta, si prostrarono e adorarono il Bambino, riconosciuto come Figlio di Dio. E per dare una risposta “laica” a Veronesi vale la pena ricordare le osservazioni del Papa “laico” per eccellenza dell’intellighenzia italiana, il giornalista Eugenio Scalfari che, arrovellandosi come solo lui sa fare su Dio e le verità ultime, asserisce che “anche la scienza, a differenza della filosofia, cerca la verità ultima, non maneggiando idee, concetti, parole, ma usando numeri, formule, equazioni, potenze. La scommessa della scienza è di scoprire la chiave capace di aprire tutte le porte, fino all'ultima che custodisce il numero d'oro, la formula finale, la legge che chiarisce e svela l'ultima incognita. Ecco perché la Chiesa non si sente insidiata dalla scienza: perseguono infatti lo stesso obiettivo.” E non per farci amico Scalfari, ma vale la pena anche ricordare uno dei passaggi dei suoi numerosi colloqui (tra inventati e reali) con Papa Francesco quando nell’incipit di una delle domande dell’intervista, ricorda che “la società moderna in tutto il pianeta attraversa un momento di crisi profonda e non soltanto economica ma sociale e spirituale. Lei all’inizio di questo nostro incontro ha descritto una generazione schiacciata sul presente. Anche noi non credenti sentiamo questa sofferenza quasi antropologica”.
Volendo trarre delle conclusioni dalle affermazioni di due personalità diverse tra loro ma accumunate dall’aver fatto del “laicismo” una bandiera di vita, possiamo affermare che nessuno dei due riesce a liberarsi dal “chiodo fisso” di Dio. Lo si può negare utilizzando in maniera strumentale e poco originale la sofferenza e la fame nel mondo. Lo si può usare come argomento per qualche chiacchierata “radical chic” o per un’uscita in più sui giornali. Ma quel nome ritorna, in tanti modi e per tante vie. La questione centrale dell’esistenza umana si ripresenta e interroga ogni uomo mettendolo di fronte alla realtà delle cose: non si può negare quell’inquietudine che agita il cuore di ogni uomo e che lo spinge a cercare il senso ultimo di tutte le cose, a desiderare quella pace che il mondo con le sue convinzioni non potrà mai dare.
Ben venga, paradossalmente, chi per un momento di visibilità sui giornali sceglie di “negare Dio” o di intrattenere conversazioni intellettuali con il Pontefice. Perché, alla fine, volenti o nolenti, rimettono Lui al centro e rompono quella che per il filosofo Norberto Bobbio è la vera morte dell’uomo moderno, l’indifferenza, “il non saper che farsene di queste domande”
Poi c’è da fare un passo in più. C’è da fare come i Magi che, una volta adorato il Redentore, tornano a casa “per un’altra via”. Ognuno farà il suo cammino, ognuno arriverà a quella capanna per vie diverse e in momenti diversi. Arriverà per tutti quel momento in cui come Giulio, personaggio del romanzo di Tolstoj, illuminato dalla sua “stella”, l’amico Panfilio, riguarda la propria vita passata e “tutto gli pare un unico spaventevole errore. Egli non aveva vissuto, non aveva fatto altro che distruggere in se medesimo, con tutte le sue premure per la propria vita e con tutte le sue tentazioni, la possibilità della vita vera. – Io non voglio più distruggere la vita, voglio vivere, andare per la via della vita – disse a se stesso.”
“Eucaristia mafiosa”: dibattito a Lamezia con l’autore Salvo Ognibene
Le tante sfaccettature della storia del rapporto tra organizzazioni mafiose e Chiesa Cattolica. Una storia fatta di silenzi, di mancate condanne, di singoli casi di sacerdoti che si sono messi a servizio delle cosche. E poi la Chiesa di Monsignor Pennisi, Don Giacomo Ribaudo, Monsignor Silvagni, Don Giacomo Panizza, Suor Carolina Iavazzo: preti e suore che in nome della fede hanno messo a rischio la propria vita per annunciare il Vangelo dell’amore e della giustizia contro ogni sopraffazione e violenza. Un percorso segnato da tappe importanti come il primo documento pastorale dei vescovi siciliani contro la mafia fino alla storica scomunica di Papa Francesco a Cassano allo Ionio e al documento scritto una settimana fa dai Vescovi calabresi, nel quale viene ribadito con forza che la ‘ndrangheta è “opera del Maligno” ed è assolutamente incompatibile con il Vangelo.
A raccontare questo percorso, Salvo Ognibene che ha presentato il suo libro “Eucaristia mafiosa: la voce dei preti” nei giorni scorsi alla Biblioteca Comunale di Lamezia Terme, nell’ambito di un’iniziativa organizzata dall’associazione “Work in progress” di Girifalco.
Un titolo “forte”, quasi provocatorio, che per l’autore vuole sottolineare ancora di più che “non si tratta di un attacco alla Chiesa, ma di un tentativo di svelare l’atteggiamento contraddittorio di chi dovrebbe annunciare il messaggio di amore e di giustizia di Cristo e poi si piega agli interessi e alle logiche delle cosche”.
Contributi di sociologi e magistrati come Enzo Ciconte e Nicola Gratteri, interviste a sacerdoti dei comuni dell’Aspromonte, inchieste in territori dove “il parrino” (parroco) è ancora il principale punto di riferimento di tutta la comunità. Nel presentare il suo libro, Salvo Ognibene evidenzia che “esiste una certa ambiguità nell’atteggiamento della Chiesa nei confronti delle organizzazioni mafiose. Le parole forti pronunciate dai vescovi calabresi rappresentano una tappa fondamentale, ma a queste devono seguire i fatti. Perché si continuano ad amministrare i sacramenti ai mafiosi quando molti sacerdoti sanno benissimo chi sono, in un territorio, i capi cosca e gli affiliati?” Per Ognibene “è arrivato il momento per la Chiesa di scegliere da che parte stare, di mettere da parte ogni ambiguità e valorizzare quella Chiesa fatta di uomini e donne, sacerdoti e suore che hanno preso posizione e hanno fatto del Cristianesimo, ognuno a modo proprio, uno strumento di lotta alle mafie.”
Sulla stessa linea, il giornalista de “Il fatto quotidiano” Lucio Musolino, autore del servizio che l’estate scorsa ha portato il comune di Oppido Mamertino sulle pagine dei principali giornali nazionali con l’inchino della statua della Madonna di fronte alla casa del boss locale. Per il cronista “se la Chiesa calabrese dice che la ‘ndrangheta è opera del maligno, allora deve avere il coraggio di dire che sono opere del maligno anche i soldi della ‘ndrangheta e le offerte per l’organizzazione delle processioni”. “Contro la mafia tutti abbiamo peccato di omissione, anche la nostra categoria dei giornalisti – ha aggiunto Musolino augurandosi che “con la scomunica pronunciata da Papa Francesco a Cassano si apra una nuova fase che veda la chiesa calabrese protagonista in prima linea della lotta alla mafia e alla mentalità mafiosa”.
Per Don Giacomo Panizza, “pur salvaguardando l’opera di misericordia che la Chiesa deve compiere nei confronti di tutti i peccatori, dobbiamo ricordarci delle vittime, che il sangue degli innocenti grida vendetta al cospetto di Dio”. Riguardo al documento pastorale dei vescovi calabresi, per il sacerdote lametino “ci propone molte sfide che dobbiamo essere capaci di mettere in atto. Basta cominciare dalle piccole cose: un sacerdote sospettato di avere legami con le cosche deve essere allontanato da una certa parrocchia e da un certo territorio. Solo così alle parole facciamo seguire i fatti”.
Cultura e Società
“Purché se ne parli”. L’“incognita” Dio che torna sempre al centro del dibattito
Paolo Emanuele · 10 anni fa