Nella prima lettura di questa trentesima domenica del tempo ordinario, tratta dal libro dell’Esodo, vengono riportati gli appelli che l’autore del testo rivolge da parte di Dio agli uomini dell’Antica Alleanza, e che non perdono la loro attualità in nessuna epoca: “non molesterai...”, “non opprimerai”, “non maltratterai la vedova e l’orfano”, “non ti comporterai... da usuraio”, “se prendi in pegno... lo renderai”. L’autore del libro dell’Esodo con questi ordini così forti e perentori vuole farci riflettere sulla fondamentale realtà dell’esistenza di una “legge morale naturale”, insita nella stessa struttura dell’uomo, essere intelligente e volitivo. Dio non ha creato l’uomo a caso, ma secondo un progetto di amore e di salvezza. Per il fatto stesso che una persona è vivente e cosciente, non può lasciarsi condurre e dominare dall’arbitrio, dall’autonomia, dall’impulso degli istinti e delle passioni. Purtroppo viene oggi insegnato e propalato dai mezzi di comunicazione, specialmente dagli audiovisivi, un “umanesimo istintuale”, che esalta il valore arbitrario della spontaneità istintiva, dell’edonismo, dell’aggressività. Ma non è così: c’è una legge morale inscritta nella coscienza stessa dell’uomo, che impone di rispettare i diritti del Creatore e del prossimo e la dignità della propria persona; legge che praticamente si esprime con i “Dieci Comandamenti”. Il trasgredire la legge morale naturale è fonte di terribili conseguenze e già lo notava san Paolo nella Lettera ai Romani: “Tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male...; gloria invece, onore e pace per chi opera il bene” (Rm 2,9-10). Ciò che san Paolo riferiva ai popoli pagani, che non avevano agito in conformità con la conoscenza razionale di Dio, unico Creatore e Signore, e avevano disprezzato la legge morale naturale, ha un impressionante riscontro in tutti i tempi, e quindi anche nella nostra epoca: “Poiché disdegnarono la vera conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balia di una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia; di malvagità, di cupidigia, di malizia...” (Rm 1,28-29). L’abbassamento della morale, sia in campo sociale sia nell’ambito personale, causato dalla disubbidienza alla legge di Dio inscritta nel cuore dell’uomo, è la più terribile minaccia alla singola persona ed all’intera umanità. Nel Vangelo un dottore della legge interroga Gesù: “Maestro qual è il più grande comandamento della legge?” (Mt 22,36). Cristo risponde: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo e simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso”. “Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i Profeti” (Mt 22,37-40). Con queste parole, Cristo definisce quale è il fondamento di tutta la morale umana, e cioè ciò su cui si appoggia tutta la costruzione di questa morale. Cristo afferma che essa poggia in definitiva su questi due comandamenti. Se ami Dio sopra ogni cosa, e il tuo prossimo come te stesso, se ami veramente e realmente, allora certamente “non molesterai”, né “opprimerai”, “non maltratterai” nessuno, in particolare “la vedova o l’orfano”, “non ti comporterai, pure, da usuraio”, e “se prendi in pegno... renderai” (Es 22,20-25). La liturgia della parola di questa domenica, dunque, ci vuole insegnare in che modo si costruisce l’edificio della morale umana dai fondamenti stessi e contemporaneamente ci invita a costruire questo edificio proprio così. Allo stesso modo in ciascuno come in tutti: nell’uomo che è soggetto cosciente dei suoi atti, nella famiglia e nella società intera. Poiché dobbiamo onestamente approfittare della partecipazione alla liturgia odierna, dobbiamo pensare se e come noi costruiamo l’edificio della nostra morale. E se la coscienza incomincia a rimproverare le nostre opere, riflettiamo se a questa morale non manchi il fondamento dell’amore. L'amore verso il prossimo é la misura dell’amore verso Dio; non può amare il Signore chi non ama i fratelli, perché li sfrutta, li opprime, li tratta come bestie, si separa da essi, come se non fossero uomini. Tanti peccati di umiliazione, di sopruso, di ingiustizia; tanta malvagità avvolge le relazioni sociali; tanto egoismo e tanto odio, tanto razzismo inquina ancora il cuore di ogni uomo. L'amore è il dono totale di sé che l'uomo offre al suo Signore con piena partecipazione della volontà, dell'intelligenza, dei sentimenti, di ogni altra sua facoltà. Un uomo che non mettesse tutta la sua intelligenza nell'ascoltare il Signore, non amerebbe secondo verità, perché non mette se stesso, il suo sacrificio, l'intera consumazione di sé per compiere l'opera di Dio. L'amore che si deve a Dio, a Lui personalmente, non può essere disgiunto dall'amore verso il fratello. Ma il fratello bisogna amarlo nell'amore di Dio, cioè in conformità al comandamento del Signore. Amare diviene pertanto sacrificio, rinunzia, abnegazione, consumazione di sé, impegno di tutta la vita secondo scienza, coscienza, responsabilità, professionalità, aggiornamento, serietà nei rapporti con ogni uomo, nell'obbedienza totale al Signore come risposta alla propria vocazione. L'amore vero è creativo, inventivo, sempre nuovo ed attuale, misericordioso, pieno di carità. A questo amore, che è il compimento di tutta la legge e di tutti i profeti, il Signore chiama ciascuno dei suoi figli.
Il Vangelo della domenica
Riflessione sul Vangelo della XXX Domenica del Tempo Ordinario
Paolo Emanuele · 10 anni fa