Amleto sul soglio di Pietro? Ora Amleto beatificato? Domani, Papa Francesco presiederà il rito di beatificazione di Paolo VI, un grande uomo di Dio che ha aperto le strade percorse poi dopo dai suoi successori. Non è un Amleto con l’aureola, ma un Papa di coraggio, dalla profezia vera, con una fermezza e un equilibrio da capitano in tempesta. Un commentatore di quegli anni 60 scrive: “Occorreva un Papa come Giovanni, impulsivo e semplice, per iniziare il Concilio, ed era necessario un Papa della misura di Paolo Vi, profondo e riflessivo, per salvarne lo spirito e impedirne le deviazioni”. Paolo VI si domanda: da dove riprendere la Chiesa? Da dove riiniziare il cammino? Quale la strada da percorrere? Quale la meta da raggiungere? La domanda è lecita, la risposta è chiara. “Cristo, Cristo nostro principio; Cristo nostra vita e nostra guida; Cristo nostra speranza e nostro termine”.
I biografi parlano di Montini come uomo portato all’equilibrio, alla moderazione. Forse proprio queste doti gli permisero di sostenere la barca di Pietro in una delle crisi più tempestose che l’abbiano mai coinvolta. E di fronte a chi voleva chiudere la Chiesa al mondo oppure mettere alla stregua del mondo la Chiesa stessa, l’intuizione profetica di Paolo VI è stata quella di ricollocare la Chiesa al centro del mondo non per adattarla al modo di pensare e di comportarsi del mondo, ma per studiare, amare e servire il mondo; perché “la Chiesa: abbia il senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità”. A Paolo VI bisogna riconoscere un’unica grande ansia verso il mondo: quella di incontrarlo, di incrociarlo nelle sue piazze e di cercarlo, senza mai assumerne né i pensieri, né i costumi e né le mode. C’è un passo di un testo mistico di Paolo VI, Pensiero alla morte, che dice la grandezza del cuore di questo Papa, uomo di Dio e uomo della Chiesa. In questi giorni in cui è prevalsa nell’immaginario comune, un’idea di Chiesa con contrasti, voti, levate di scudi e pugni di ferro, sembra bello ricordare l’afflato d’amore di questo Papa, umile, semplice, riflessivo, forte e profetico che ha traghettato la Chiesa nella modernità. Le si riporta qui, queste parole alte e mistiche di Paolo VI, con l’invito a gustare la semplice purezza di chi ha amato la Chiesa come la sua vita, facendone la propria sposa. Scriveva Paolo VI: “Prego pertanto il Signore che mi dia grazia di fare della mia prossima morte dono d'amore alla Chiesa. Potrei dire che sempre l'ho amata; fu il suo amore che mi trasse fuori dal mio gretto e selvatico egoismo e mi avviò al suo servizio; e che per essa, non per altro, mi pare d'aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse; e che io avessi la forza di dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all'estremo momento della vita si ha il coraggio di fare. Vorrei finalmente comprenderla tutta nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Corpo mistico di Cristo. Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla”. Non è abituale inserire una preghiera in un articolo, ma questa volta, concedetecene la licenza. Grazie Paolo VI, perché in quel dono d’amore alla Chiesa, hai servito la Chiesa e noi che ti conosciamo come pastore buono e dottore vero, ora possiamo guardarti come esempio di vita veramente beata. Verrebbe da chiederti una grazia, fa’che la Chiesa non perda mai il principio e il centro di tutto, Cristo. Fa’che non perda mai il “senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità”.
Don Roberto Tomaino